Yanis Varoufakis
ga un signifcato di quel titolo a cui molti di noi non avevano mai pensato.
« È successo qualcosa, è successo qualcosa, è successo qualcosa», ripete ossessivamente il piccolo Jamie, protagonista di Revival, dopo che il reverendo Jacobs gli ha fatto passare fra le orecchie una strana musica elettrica. E ha ragione.
È davvero successo qualcosa, e non solo a King e Carrère. Qualcosa di molto diverso dall’indulgenza verso l’attualità di personaggi alla Éric Zemmour e alla Michel Houellebecq, che alla fne risolvono la sottomissione dell’occidente all’islam in una paradossale versione della teoria jiadhista: la ripetizione dell’identico, la continuità sotto altra bandiera. Non, dunque, dal credere nella conversione, ma nel far credere alla conversione. Questa la paradossale scelta di continuità, tipica di ogni epoca occidentale, per mantenere soldi, sesso e potere. Troppo facile.
E comunque, con Carrère e King il fantasma della religione fa un salto quantico proprio nel cuore secolarizzato dell’occidente. Distanti per prologo personale ma accomunati dall’epilogo – entrambi ricchi, borghesi, ipercelebrati, egoriferiti, straordinariamente dotati –, Carrère e King non hanno mai avuto debolezze per il Regno dei cieli. Eppure, se per il francese ogni occasione quotidiana – la noia, i fallimenti, la routine – diventa spunto per un’inchiesta medico legale sul cristianesimo, per l’americano la verità di un viaggio durato cinquant’anni, il calvario di un musicista drogato di successo e perseguitato da demoni artifciali, svela il mistero dell’aldilà, la vita dopo la vita e un fatale progetto di redenzione.
Il cristianesimo rimane “accecante” per entrambi
Affermati intellettuali occidentali che si defniscono scettici, agnostici o semplicemente atei, decidono insomma di accostarsi al mistero emerso da un piccolo gruppo di ebrei seguaci di un singolare personaggio vissuto in Galilea ai tempi di Augusto.
Un bambino nato dopo una fuga rocambolesca, sopravvissuto a una strage voluta da un re e condannato infne dal solito politico romano, che proprio come quelli di oggi non aveva il coraggio delle proprie idee né ascoltava quelle della moglie. Uno strano soggetto, quel Cristo, che prima fu radiato dal sinedrio, poi lapidato e infne messo in croce. Tutto per aver detto parole forse poco illuministe ma di certo molto il- luminanti: essere il fglio di Dio, predicare l’amore incondizionato del prossimo, prendere su di sé i peccati del mondo.
King lavora da trent’anni nell’anonimato del Maine, con l’amatissima moglie Tabitha e la figlia Naomi. I suoi best seller hanno venduto più di 500 milioni di copie in tutto il mondo, ispirando capolavori cinematografci come Shining, Le ali della libertà, Il miglio verde, Stand by Me. Da poco ha iniziato a tenere un blog, che conta migliaia di fan, ma di lui non si sa praticamente niente.
Di Emmanuel Carrère, invece, si sa fn troppo. Non ce la fa a non parlare di sé, dei suoi bagni a Capri, del suo primo matrimonio fallito, della madre aristocratica che lo considera il più grande scrittore vivente.
Ma, ancora, c’è un ma: per entrambi il cristianesimo resta “accecante”. Non importa che King lo risolva nel segreto della Grande Madre, nel fantasma del reverendo che ha tradito il piccolo Eden di un’infanzia, nel progetto di un’umanità superiore e terribile.
E dunque, non importa nemmeno che Carrère ripercorra le vicende del tessitore calvo di Tarso – il fanatico persecutore dei cristiani che si converte sulla via di Damasco – e di Luca, il medico macedone che diventerà l’ombra di Paolo di Tarso prima del suo “revival”. La rinascita nel più colto e visionario degli evangelisti.
L’importante è non credere all’equazione. Perché crederci signifca volere la teocrazia, lo spazio dove religione e politica tornano a innamorarsi facendoci precipitare da Youporn al burka, dalle Femen alla sharia, dall’empireo illuminista del fscal compact agli inferi oscurantisti del Califfo.