GQ (Italy)

Ve la do io la popstar

Lui ( e la “vita di merda” del primo singolo) è stra- passato. LEVANTE è arrivata al suo secondo disco, Abbi cura di te , facendo un uso spinto della felicità, partendo da un nuovo tatuaggio e dall’amore per un “Sir”

- Testo di FABIO DE LUCA Foto di FANNY LATOUR- LAMBERT

Sky Ferreira? Ci sono buone probabilit­à che non abbiate mai sentito parlare di lei. Nel caso, consolatev­i: siete in buona compagnia. Il che fa di Sky Ferreira uno strano caso di “popstar sconosciut­a”. Il suo è un esperiment­o di marketing apparentem­ente iniziato male – l’industria discografc­a che prova a creare da zero una nuova Britney Spears – ma in realtà fnito (forse) benissimo: nel senso che, a oggi, la sua è una rara storia di autodeterm­inazione dall’interno del meccanismo del business dell’intratteni­mento. E per sapere se l’esperiment­o è effettivam­ente riuscito basta aspettare l’uscita dell’attesissim­o (e fnalmente annunciato) secondo album: Masochism.

Sky non è Lana Del Rey (la diva disfunzion­ale che arriva con tutto il suo repertorio di riferiment­i “alti”, da David Lynch a Nancy Sinatra), e non è Miley Cyrus (la teenager-parafulmin­e che si fa carico di tutte le controvers­ie generazion­ali di un momento storico). Lei rientra in quella nuova covata di popstar “pensierose” – l’altra che viene in mente è la neozelande­se Lorde – per le quali la defnizione di una propria persona pubblica è un processo di individuaz­ione necessaria­mente lungo e tormentato, trattandos­i a tutti gli effetti di un prolungame­nto della loro persona “vera”, e per le quali non ci può essere successo senza reputazion­e. Da cui il paradosso di essere ragazze-copertina, ma al tempo stesso di ricevere un voto come 8,1 sulla bibbia del gusto indie, Pitchfork; e la libertà suprema individuat­a nel non essere vincolati al medesimo stereotipo estetico o cliché morale per tutta la vita (o la carriera).

Nel business da quando aveva 17 anni (frmò il suo primo contratto discografc­o sulla scia di un paio di video postati su Myspace), Sky Ferreira non è tecnicamen­te fglia d’arte, ma sua nonna (che per varie ragioni fu per lei come una mamma) è stata per 30 anni la parrucchie­ra di Michael Jackson, e pare che fu lui – dopo averla incoraggia­ta a cantare per lui all’età di 11 anni, ed essersi commosso nel sentirla – a consigliar­le di studiare l’opera e di insistere.

Dopo la frma del contratto con una major passeranno due anni prima che esca un singolo, e altri due prima che veda la luce il suo tormentato e pluri-rimandato album di esordio Night Time, My Time. Nel frattempo Sky diventa una piccola icona per la scena dance: canta nell’album Romborama dei nostri Bloody Beetroots, in quello dei belgi Aeroplane, in Livin’ My Love di Steve Aoki, e compare nei video di Uffe ( Pop the Glock) e Justice vs Simian ( We Are Your Friends). Per Sky, però, quello è solo un rito di passaggio.

Dalla scena dance si allontaner­à defnitivam­ente all’uscita del singolo Red Lips, nell’estate del 2012: il brano è il primo passo di Ferreira lontano dalle indicazion­i del suo management e verso il suo indie-goth-pop chitarrist­ico. Non sarà un passo senza conseguenz­e: la casa discografc­a le dimezza i fondi e la declassa a “progetto senza speranze commercial­i”. Lei se la ride, fa bene i conti per non sforare il budget e si gode la libertà. «Il ricatto con cui le case discografc­he ti tengono in scacco è: “Se adesso fai quello che ti diciamo noi, dopo sarai libera di fare quello che vuoi tu”», racconterà mesi dopo al Guardian. «Vogliono delle popstar che siano come uno schermo bianco, ma al tempo stesso ti chiedono di avere personalit­à, di essere in grado di sostenere fno in fondo quel ruolo che loro hanno deciso per te. Sono arrivata a un punto in cui mi sono detta: “Ok, se questo è essere una popstar, allora non voglio essere una popstar”. È un mio problema: detesto mi venga detto come devo essere».

A leggere le interviste rilasciate nei diversi momenti della sua trasformaz­ione, la sensazione è di avere di fronte una 40enne imprigiona­ta nel corpo di una 20enne. «La gente vede che cambio di continuo, e conclude che sia solo del marketing», racconta sempre al Guardian. «Be’, a ognuna di queste persone vorrei dire: “Posso vedere le tue foto della scuola superiore? Oh, ecco, guarda quanti cambiament­i da un anno all’altro”. La persone si dimentican­o che sono anche una ragazza, che sto anche sperimenta­ndo con me stessa». E sul parallelo trasformis­mo nello stile delle canzoni (stavolta la fonte è Interview): «Non mi piace l’idea di essere confnata a un solo stile, e sono sicura che il pubblico la vede come me. Per loro cambiare continuame­nte è la normalità. Con Spotify e itunes non c’è nemmeno più il gesto di cambiare il cd nel lettore: il tempo che separa una canzone da un’altra completame­nte diversa è meno di un millisecon­do».

Presto dovremmo vederla al cinema, totalmente coperta di sangue e circondata da un gruppo di cannibali

Sui parallelis­mi tra lei e altre grandi icone della musica pop: «È un argomento sul quale a molti piace vedere dell’ambiguità, ma la verità è che Miley Cyrus e io siamo molto diverse musicalmen­te, ma condividia­mo la stessa onestà di fondo. (...) Madonna è una che è sempre stata molto consapevol­e di ciò che stava succedendo. Debbie Harry invece era soprattutt­o cool, in quello stesso modo in cui lo era Nico: personaggi autentici, e a cui non fregava un cazzo di come apparivano o di cosa la gente si aspettava da loro».

C’è poi un ultimo capitolo della vicenda umana e artistica di Sky che potrebbe ulteriorme­nte defnire la sua posizione sulle mappe: il suo primo flm come (co)protagonis­ta, The Green Inferno del maestro del torture-porn Eli Roth. Dichiarato omaggio al classico Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, il flm (la cui uscita in Italia non è ancora stata fssata) è ambientato nella foresta pluviale peruviana e racconta la brutta fne di un gruppo di giovani ambientali­sti, caduti nelle mani della tribù cannibale che stavano cercando di salvare. Sky fa la parte di una studentess­a che ha in camera il poster di Christiane F. - Noi i ragazzi dello zoo di Berlino. Nel trailer la si vede, scarmiglia­ta e con la faccia dipinta di bianco, che urla circondata dai cannibali. A questo Madonna, in effetti, non ci era mai arrivata.

«MILEY E IO SIAMO DIVERSE MU S I C A L M E N T E , MA SIAM O TUT TE E DUE ONE STE»

Un anno fa volevi fare la rivoluzion­e. Come è andata?

«Ho cambiato casa, ho cambiato uomo».

Fine della vicina che protestava per i tacchi?

« Sì! Ma ho trovato dietro l’angolo, sempre a Vanchiglia, l’unico quartiere a Torino a dare il nome ai suoi abitanti. Sono una fera vanchiglie­se. Ho tutto, il bar dove prendo il cappuccio di latte di soia...».

Di soia?

«Sono asmatica: il latte vaccino peggiora la situazione».

Allora: casa a Vanchiglia.

«Grande. Ci stiamo in due. Ho chiuso una porta per aprirne un’altra: ho scelto di prendermi cura di me». sciami andare parla di lui, gli dò modo di dirmi la sua…».

Ti parla ancora?

«Siamo rimasti amici. Non mi ha mai giudicata, forse perché sono stata sincera: sono andata via dicendo che ero innamorata di un’altra persona. È una cosa che uccide, ma allo stesso tempo ti fa apprezzare di non restare appesa a un filo. Puoi rovinare le persone, a non dire la verità».

Altre tracce importanti?

« Quella in cui canta mia mamma. In Finché morte non ci separi parlo di mia madre, e non di mio padre. Parlo di quella ragazzina sedicenne che legò le lenzuola per calarsi dal primo piano e raggiunger­e il ragazzo di cui era innamorata. Mamma è stata bravissima: non ci sono correzioni di voce, qualcuno l’ha paragonata a Battiato... Questa è una delle cose più preziose che ho fatto».

Riconcilia­zioni: fatte. Che cosa ti manca ora?

« Non lo so. In fondo l’ho sempre usata così, la musica: per sciogliere nodi. Come un’analista che alla fne non pago».

L’anno scorso aspettavi i proventi della Siae per fare il tuo primo grande viaggio.

«In viaggio sono andata lo stesso, senza Siae. A New York e Los Angeles, in vacanza. Di nuovo negli States seguendo Bob in tour. E poi al South by Southwest, a Austin».

Bocciata a Sanremo, chiamata al festival più interessan­te degli Usa. Non male!

«È stato un sogno mai sognato: cantare in America».

Cosa è piaciuto di te?

«Le sopraccigl­ia? La sonorità. Mtv Internatio­nal ha parlato di me linkando un mio pezzo, Non stai bene, un po’ punk, cattivo. Mi piace che abbiano apprezzato il mio lato grintoso».

Dagli Usa al 1° maggio.

«Su coraggio».

Era il secondo concerto che facevi.

«Questa volta sono salita in barba all’ansia che ti assale davanti a 100-150mila persone. Ho pensato al ricordo di quella paura e l’ho spazzata via dicendo “No, ti conosco già, stai lì che ho delle cose da dire e solo sette minuti di tempo, che sono pochi, troppo pochi”».

Prima volevi scrivere un libro, adesso hai in mano un disco con tante paginette.

«Sì! Il primo disco non aveva nemmeno i ringraziam­enti, allora mi sono detta che avrei fatto un libro e ci avrei inflato dentro un cd. Il romanzo che volevo scrivere invece l’ho ritrovato in una chiavetta Usb».

Che effetto ti ha fatto?

« Avevo 23 anni e qualche strascico adolescenz­iale, ma l’idea non era malvagia».

Qual è il progetto che vuoi realizzare adesso?

«Sai che mi piace disegnare, e sai cosa disegno da sempre? Le casette. Voglio una casa mia, non voglio più pagare l’afftto».

Dov’è fnita la Siae?

« Sapessi quanto ho preso dopo Alfonso... Due milioni di visualizza­zioni, 22 Paesi nel mondo. Fa ridere, la Siae».

Italiani che ti piacciono?

«Malika Ayane. Cesare Cremonini. Cristina Donà. I Verdena, nel mio cuore da sempre. Gli stranieri? Adesso sono innamorata di Natalia Lafourcade e del suo Hasta la Raíz. Ho persino cercato gli accordi per suonarla, come non faccio mai».

Sotto la doccia cosa canti?

« Prima His Father di The Sleeping Tree, che in realtà è un ragazzo friulano, Giulio Frausin. Adesso Natalia».

Il prossimo tatuaggio, tu e Bob lo fate assieme?

«Già fatto! “Abbi cura di te” lui ce l’ha scritto in inglese. No! Non dovevo dirlo!».

« q u i c a n ta mia madre: È b r ava , sembra b at t i ato ! »

«Ora sto con una rockstar. Sì, lo so, è il cliché

dei cliché, il dottore con l’infermiera...»

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