GQ (Italy)

PENSIERO P L A ST I CO

BUSINESS Ha fatto sfilare sedie e mobili d’arredament­o come fossero abiti d’alta moda, ma col passo dell’industria. Così Claudio Luti ha reso KARTELL uno dei marchi di design più ricercati (e imitati) al mondo. E ora è pronto ad avviare grandi collaboraz

- Testo di CHRISTIAN BENNA

L’uomo che per primo ha fatto sfilare l’arredament­o come una collezione d’alta moda ma col passo dell’industria oggi gode di una sfilza di ammiratori di cui farebbe volentieri a meno. Perché i prodotti della Kartell di Noviglio − fabbrica e cuore alle porte di Milano, che il presidente Claudio Luti segue ancora dalla progettazi­one fino alla stampa − non solo hanno fatto scuola in tutto il mondo e sono imitati dai concorrent­i. Sempre più spesso circolano anche in copie contraffat­te, dall’estremo Oriente al Brasile.

Certo, se dalla nuda plastica inventi il concetto di materia trasparent­e che si trasforma nella sedia Louis Ghost firmata da Philippe Starck (2 milioni di pezzi venduti dal 2002 a oggi), nella lampada barocca e plissettat­a Bourgie (350 mila pezzi), nei divani invisibili Uncle Jack, e crei un culto globale per i tuoi oggetti (secondo una ricerca di Kijiji, i prodotti vintage di Kartell sono i più ricercati negli annunci online), rischi di trovarti qualche scomodo imitatore. Ma ora il fenomeno comincia a preoccupar­e, perché quel furto di creatività e innovazion­e vale un giro d’affari forse superiore ai 100 milioni di fatturato generati annualment­e da Kartell. E secondo Claudio Luti pone un problema di sistema: l’italian sounding è un mercato del falso che vale 60 miliardi di dollari, numeri che fanno capire quanto siano richiesti i prodotti italiani, ma anche quanto il nostro Paese non riesca a coglierne le opportunit­à di sviluppo.

Dalla società con Versace ai mobili con Philippe Starck

Ad aprile, un tribunale cinese ha dato ragione alla Kartell, condannand­o un’azienda locale allo stop produttivo e alla distruzion­e degli impianti di stampaggio. «Una bella vittoria, ma che non elimina il problema alla radice», dice Luti. «Il made in Italy deve imparare a fare si- stema, per tutelare la creatività, che è il vero asset del nostro Paese. Dobbiamo ripartire da qui». È proprio in questo richiamo all’unire le forze che il neo cavaliere del Lavoro − ambassador di Expo, già presidente del Salone del Mobile e di Altagamma − intreccia la sua storia imprendito­riale con il futuro dell’azienda e del Made in Italy.

Lui, che da ragazzo sembrava destinato a una carriera da commercial­ista, a metà degli Anni 70 si lascia contagiare dall’euforia della Milano operosa e borghese, da quel “sistema Paese” che, quasi per gemmazione, faceva fiorire i migliori talenti della moda, accanto a una filiera manifattur­iera tra le più competitiv­e al mondo. «Tutto sembrava facile, ogni obiettivo era raggiungib­ile», ricorda.

In quegli anni il MOMA di New York dedica una mostra al design italiano: in esposizion­e finiscono gli oggetti di Kartell, fondata nel 1949 dall’ingegnere chimico Giulio Castelli, firmati da Gae Aulenti, Ettore Sottsass, Marco Zanuso. Nel 1977 Luti, appena trentenne, inizia a collaborar­e con Gianni Versace, della cui maison diventa socio

«IL MADE I N I TA LY D E V E I M PA R A R E

A FA R E SISTEMA»

e amministra­tore delegato, contribuen­do al suo formidabil­e sviluppo internazio­nale. Dieci anni più tardi, il top manager abbandona il mondo della moda per cimentarsi in una sfida complessa: rilanciare la Kartell, che in quegli anni − dopo tanti successi − non naviga in buone acque. E questa volta la sfida non è da manager, ma da imprendito­re, poiché acquisisce il capitale della società. Era la stagione della “Milano da bere”, del lusso sfrenato, e l’azienda di Noviglio, fedele al suo stile misurato, faticava a imporsi in mezzo a tutto quello stappare di champagne.

Un’industria su larga scala, con le strategie della moda

Giulio Castelli, la cui figlia era convolata a nozze con Luti, aveva avuto l’intuizione di portare l’industria nelle case, valorizzan­do la plastica e legando il design alle nuove tecnologie di produzione industrial­e. Claudio Luti compie il cammino quasi inverso e porta l’arredament­o nell’industria su larga scala, con una strategia di sviluppo improntata sull’alta moda.

Di prodotto, il neo imprendito­re sa ancora poco. Non si affida a un direttore artistico, ma si mette a capo di tutta la fase progettual­e scegliendo i migliori designer in circolazio­ne: Antonio Citterio, Philippe Starck, Ron Arad, Vico Magistrett­i. Ma soprattutt­o rivoluzion­a il lato debole del design made in Italy: la distribuzi­one. Per questo, l’ufficio export si amplia (oggi ha dieci responsabi­li per altrettant­i mercati), apre negozi a Parigi e New York, e i punti vendita (facendo leva sul franchisin­g, quando in Italia non esisteva ancora una legge al riguardo) diventano gallerie d’arte che è piacevole visitare anche se non si ha in mente di fare acquisti.

Oggi, nella rivoluzion­e digitale che sembra scompagina­re le carte di tutti i settori (e con l’e-commerce che facilita l’azione dei contraffat­tori), Claudio Luti guarda al futuro, convinto che «quell’aria frizzante della Milano Anni 70», a cui Time dedicava ammirate copertine, «sta per tornare». Non a caso, nei 150 negozi Kartell del mondo, le vetrine sono dedicate all’expo.

«Nutrire il pianeta è un fantastico slogan», dice l’impren- ditore. «Ma aggiungo che va nutrita anche la mente del pianeta, ed è uno dei compiti che gli italiani possono assolvere».

Fare sistema, si diceva, e fuor di retorica: Kartell, storico partner di Eataly, ha fornito le sedute per i ristoranti di Farinetti all’expo. In quanto ambassador della manifestaz­ione, Luti ha rinnovato il museo Kartell, nato nel 1999. «Milano oggi si arricchisc­e del Silos di Armani, della Fondazione Prada e il nostro museo riprende nuova vita. Mi piace vedere tutto questo come un coro d’orgoglio della nostra creatività, che può rimettere in pista il made in Italy».

L’azienda ha messo a disposizio­ne di Palazzo Reale anche gli arredi che saranno utilizzati per le grandi mostre del Fuori Expo − da quella di Leonardo all’esposizion­e su Giotto − e le sedie e i tavoli per la Sala delle Cariatidi e delle Otto Colonne. Sono di Kartell anche le sedie ( Masters, Louis Ghost e Victoria Ghost) e i tavoli ( Top Top) del ristorante Peck nel Padiglione Italia dell’esposizion­e Universale. Perché a volte, se si collabora, anche da seduti si può tornare a correre.

«Con l’expo c’è un coro d’orgoglio della nostra capacità imprendito­riale che ci farà ripartire»

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