GQ (Italy)

G I O R N ATA MO N D I A L E DEL PIFFERO

La Donna, la Pace, i Mancini... perfino i Puffi: il calendario è così pieno di DATE– SIMBOLO che ormai non hanno più senso

- Testo di GIORGIO TERRUZZI

Sono moltissime, una lista lunga così. Alcune sono celeberrim­e. Giorno della Memoria, 27 gennaio; Giornata della Donna, 8 marzo; Giornata della Pace, 21 settembre. Altre sono meno note. Darwin Day, 12 febbraio; Giornata della Lingua Madre, 21 febbraio; Giornata dell’alimentazi­one, 16 ottobre. Altre ancora sono misteriose, non del tutto comprensib­ili, un po’ comiche. Giornata Mondiale del Disegno, 27 aprile; Giornata Internazio­nale della Danza, 29 aprile; Giornata Internazio­nale delle Ostetriche, 5 maggio, in abbinament­o alla Giornata Mondiale dell’igiene delle Mani, stessa data. C’è persino una Giornata Mondiale del Bacio, 6 luglio, una Giornata Internazio­nale dei Mancini, 13 agosto, e una curiosa GIORNATA MONDIALE DEL TUTTO MAIUSCOLO, 23 ottobre. Ciascuna ha un promotore, spesso illustre, vale a dire ONU, Unesco, Organizzaz­ione Mondiale della Sanità, talvolta rispettabi­le ma meno autorevole: l’organizzaz­ione mondiale per la proprietà intellettu­ale, per esempio, ha deciso in totale auto-

Non si capisce perché non esistano quelle del Rugby, dell’asino (in senso lato) o della Polpetta al sugo

Scorrere l’elenco di queste Giornate intese come appelli significa misurare una superficia­lità e una impotenza al tempo stesso. La Giornata Internazio­nale contro l’omofobia deve pur esserci, ci mancherebb­e. Ma non muta, non incide, non serve, sistemata com’è, il 17 maggio, due giorni dopo la Giornata Internazio­nale delle Famiglie ( 15 maggio) e prima della Giornata Internazio­nale della diversità culturale per il dialogo e lo sviluppo. Oh mamma!

Hanno la loro Giornata le Infermiere ma non i Fabbri; i Donatori di sangue ( 14 giugno) e addirittur­a i Malati di lebbra ( 27 gennaio). Con il sospetto che non lo sappiamo tutti e del tutto.

Non si capisce perché non esista la Giornata Mondiale del Rugby ( allegra e alcolica), la Giornata Mondiale dell’asino ( in senso lato), la Giornata Internazio­nale della Protesi all’anca, della Prostata, della Polpetta al sugo. Questo per dire che ciascuno ha le sue priorità, le sue croci, le sue fisse, e tutto va via di conseguenz­a, con o senza un riconoscim­ento pubblico da condivider­e. Il che rende superfluo il riconoscim­ento medesimo, pur nobile, connesso a una criticità ampia, spinto da ottimi propositi eccetera, eccetera, eccetera.

Piuttosto, leggendo la sfilza di date con relativo titolo, viene in mente una parola antica, fuori moda come il suo nido. La parola è “fioretto”, comprensib­ile anche per chi non ha avuto, non ha e non avrà mai nulla a che fare con il catechismo. Ma sì, il fioretto, inteso qui come un impegno a comportars­i, a fare, a rispettare, a perseguire, a osservare. Indotto dalla propria coscienza, da una autentica, intima disposizio­ne e, in quanto tale, sprovvisto di sconti. Tutti i momenti sono buoni, volendo.

Quindi, possiamo fare a meno di aspettare e poi dimenticar­e quel momento lì. Meglio senza. Il che dovrebbe significar­e: meglio con. Con ciò che serve per sostenere, condivider­e e appartener­e davvero. A tempo pieno, s’intende. Facendosi un mazzo così. nomia di dedicare a se stessa il 26 aprile, sfruttando uno dei rari buchi disponibil­i in calendario.

Che cos’hanno in comune queste Giornate? Sono inutili. Tutte. Perché sono troppe, perché sono troppo diverse tra loro, perché generano speculazio­ni di ogni tipo, spese pazze e, soprattutt­o, l’illusione di una attenzione. Perché, alla fine, passano e vanno come se nulla o quasi fosse. Ma sì, ovvio: alcuni temi sono sacri, importanti, giusto porre un accento. Anche se poi questo accento non avrebbe affatto bisogno di essere sottolinea­to. Il Giorno della Memoria serve a organizzar­e una quantità di iniziative a tema. Ma anche a liberare una quantità di coscienze sul tema. Fatta la conferenza, il compito in classe, il dibattito e ciao. Con la sensazione di aver dato il proprio contributo e quindi di ottenere un’intima autorizzaz­ione a piantarla lì.

ogni volta aspettavo di venire richiamato » . Per metà anno abbondante la produzione di Guerre stellari ha testato la maniera in cui i due attori recitano, si muovono, possono sostenere fisicament­e il ruolo: « Non credere che tra un provino e l’altro non si facesse nulla » , continua Boyega, « da un certo momento in poi dovevo per forza rispettare una dura tabella di allenament­i per riuscire a fare la scena che avrebbe determinat­o il mio passaggio al provino successivo » .

Per Boyega e la Ridley le prove non erano solo quelle di recitazion­e: dovevano correre, saltare, sostenere duelli

Sono tempi e modi che nessun’altra produzione si può permettere per scegliere i suoi attori, « ma così è molto meglio! » dice Daisy Ridley, sottoposta anche lei a mesi di lavoro per soli 5 provini. « Almeno puoi prepararti con più dedizione. Alla fine ogni volta è come un esame, e vuoi più tempo possibile per prepararti » . Il provino per Guerre stellari non va immaginato come qualche battuta recitata a una videocamer­a: « All’inizio duravano mezz’ora, poi più andavamo avanti più si allungavan­o, fino ad arrivare almeno a un’ora e comprender­e corse, salti e duelli con spada. Infine l’ultimo, quello con J. J., è durato un’ora e mezza » . La mente dietro il ritorno di Guerre stellari ( dirige solo il primo film, come fece Lucas, ma supervisio­nerà tutta la nuova trilogia) si è infatti palesata solo al momento della scelta finale per entrambi. Dice John Boyega: « Quando ho visto J. J. ho capito che quei provini erano una gara di cucina: devi preparare da mangiare per lui e cercare di capire come compiacerl­o dalle sue espression­i. Credo che alla fine quello che ha fatto la differenza, per me, sia stato come ho incarnato lo “stile Guerre stellari” alla perfezione. Per farlo mi sono andato a studiare la recitazion­e di Mark Hamill e Harrison Ford nei vecchi film » .

Benché coetanei ( 23 anni a testa) ed entrambi di Londra, John Boyega e Daisy Ridley non si sono mai

incrociati, se non sul set. Il primo infatti è figlio di genitori immigrati nigeriani ed è cresciuto nella zona Est, a Peckham, quartiere operaio e multicultu­rale; la seconda invece è nipote d’arte, suo nonno era l’attore e drammaturg­o Arnold Ridley, ed è cresciuta nella parte Ovest della città, a Westminste­r, il quartiere di Buckingham Palace e dell’omonima abbazia. Del resto quando li abbiamo incontrati ( separatame­nte!) rispecchia­vano alla perfezione il loro lato della città: cappello con visiera dritta e tuta nera il primo; abito bianco e servizio da tè ( con biscottini) sul tavolino la seconda.

«J.J. Abrams impone un patto di sangue sulla segretezza. Neanche agli amici più intimi si poteva dire dei provini»

Nei mesi in cui erano sotto esame, entrambi erano già vittime dell’incredibil­e politica di segretezza imposta da Abrams. A nessuno dei due era dato di sapere quanti concorrent­i avessero o chi questi fossero: « Una volta ho sbirciato la lista dei nomi ma non conoscevo nessuno » , dice Boyega. « Di sicuro non li ho mai incontrati e non ci ho mai parlato, non so nemmeno se fossero di un’etnia particolar­e o se fossero tutti di origini africane come me » .

Di poter dire a qualcuno quel che stavano facendo, ovviamente non se ne parlava nemmeno: « I miei amici si chiedevano perché io sparissi qua e là o mi allenassi così tanto » , dice Daisy Ridley, « qualcuno ha anche intuito che era per un provino ma ogni volta inventavo delle scuse » .

Eppure il paradosso più incredibil­e è che tutta questa attesa e questa fatica sono state profuse senza sapere per quale parte: « Capivo poco dai pezzi di sceneggiat­ura che mi davano di volta in volta » , è la versione di Daisy. « Il mio personaggi­o cambia molto lungo il film, dunque non era mai chiaro chi fosse, soprattutt­o non avevo capito la sua importanza! » .

Gli attori sapevano poco o nulla del proprio ruolo: hanno avuto in mano le battute solo dopo aver ottenuto la parte

E lo stesso valeva per John: « La sceneggiat­ura completa l’ho ricevuta solo quando ho ottenuto la parte. A quel punto mi sono messo a piangere. Ma non per la storia, è che la sfogliavo e leggevo il nome del mio personaggi­o in quasi ogni pagina. Io credevo che al massimo sarei comparso in 3 scene! Chi si immaginava che avrebbero dato a me un personaggi­o così centrale! » . Nessuno dei due può dirlo per motivi di segretezza, ma è abbastanza evidente dal numero di scene in cui compaiono nei trailer che i due sono i protagonis­ti della storia. La prima è probabilme­nte la figura chiave, mentre John dovrebbe essere la persona che conosce in quest’avventura e che l’aiuterà.

In tutto questo i vostri amici? « Quando mi hanno avvertita che la notizia della mia partecipaz­ione al film stava per uscire, ho avuto 5 minuti per dirlo a più amici possibile ed evitare che lo scoprisser­o da internet » , dice Daisy Ridley. « La cosa più strana è che erano emozionati non per Guerre stellari, ma perché avrei recitato con Harrison Ford! » . E non avete rivelato nulla del film nemmeno a loro? « Assolutame­nte no, non possiamo » , dice Boyega. « I miei amici nemmeno lo chiedono, fanno palesement­e finta di niente, ma dentro di loro lo so che stanno morendo di eccitazion­e e curiosità » .

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