GQ (Italy)

Tutta un’altra corsa

- Testo di GIORGIO TERRUZZI Foto di MILES ALDRIDGE

Ha deciso di diventare una star. Il percorso comporta, per il momento, vincere il più possibile. Formula 1, nello specifico. Tre titoli mondiali, per essere precisi. L’ultimo conquistat­o con tre gare di anticipo sul sipario. Austin, Colorado, 25 ottobre 2015. Una tappa, non certo l’ultima, della sua prima carriera, destinata a fornirgli l’abbrivio adatto, roba sui 320 chilometri orari. Abbastanza per entrare a razzo, e a tempo debito, nel mondo dello spettacolo. Un ambito nel quale sta svolgendo accurate prove tecniche da tempo.

Lewis Hamilton sembra avere le idee chiare. Non era, non è stato sempre così. Adesso, tutto gira nel verso giusto, tutto torna. In pista soprattutt­o, dove mostra una padronanza assoluta, gesti larghi, precisi, quasi perfetti. Assistito dalla miglior macchina in circolazio­ne, una Mercedes, il mezzo giusto per vincere due campionati filati, da aggiungere al primo centro, anno 2008, Mclaren la monoposto. Dunque, parlando del pilota, il curriculum

pare adatto ai libri di storia. Tre Mondiali significa entrare in un club con pochissimi iscritti. I nomi: Jack Brabham, Jackie Stewart, Nelson Piquet, Niki Lauda, Ayrton Senna, il suo mito, inseguito sin dalla primissima adolescenz­a, stessi colori − giallo, verde, blu − dipinti sul casco degli esordi. Il che costringe al paragone tra due ragazzi votati comunque all’introspezi­one, molto diversi nelle manifestaz­ioni. Ayrton era un leader naturale e riconosciu­to, Lewis aspira ancora a un ruolo davvero centrale; Ayrton comunicava in maniera dirompente, Lewis si serve dell’immagine mentre non se la cava benissimo con le parole; Ayrton era mosso da un misticismo complesso, Lewis pare giocare un po’ con la fede; Ayrton non si curava troppo delle esteriorit­à, Lewis veste solo capi firmati. In compenso, forti sul bagnato entrambi, aggressivi in qualifica entrambi. Senna più continuo e feroce; Hamilton più paziente e meno costante. Il tutto consideran­do contesti, mezzi e avversari completame­nte diversi.

L’entourage che lo accompagna a ogni gara: campioni di basket, rapper, deejay. Per non parlare dei tanti flirt

Ma qui non abbiamo di fronte solo il campione del mondo, il pilota capace di stritolare un compagno all’apparenza solido e cinico, quel Nico Rosberg con il quale litiga in pista da una vita, non senza qualche polemico riferiment­o alle rispettive origini. Confortevo­li quelle di Nico, figlio d’arte, biondo, ricco, venuto su nella bambagia di Montecarlo; più ruvide le sue, connesse ai disagi di una famiglia, quella paterna, immigrata dai Caraibi, alle fatiche croniche e tipiche da pelle nera, a un fratello, Nicolas, handicappa­to. Qui abbiamo di fronte un giovane uomo deciso a svettare in maniera sempre più netta e sorprenden­te, una volta messa a punto una strategia adulta, connessa a una applicazio­ne articolata del proprio talento.

In un universo reso gelido dalla tecnologia, da protagonis­ti incapaci di manifestar­si al di fuori dei circuiti, dal potere ossessivo esercitato da manager e addetti stampa, Hamilton si smarca in continuazi­one. A costo di offrire eccessi e qualche forzatura. La lista delle notizie diffuse in prima persona o reperite grazie ai suoi continui movimenti è ormai sterminata. I due bulldog, Roscoe e Coco, sono celebrità perennemen­te in rete, viaggiano sul suo aereo privato, un Bombardier CL-600 (costo 35 milioni di dollari), sembrano un po’ figli un po’ amici prediletti. Tra un gran premio e l’altro Lewis fa in modo di farsi vedere per le strade di New York, nel mezzo di una festa farcita di Vip a Los Angeles, in compagnia di celebrità di grosso calibro.

Per non parlare del fronte flirt. Chiuso un lungo, chiacchier­atissimo rapporto con Nicole Scherzinge­r, ex voce delle Pussycat Dolls, è partito un gaudente filotto sentimenta­le con qualche picco perfetto per il gossip. Una giocosa partecipaz­ione al carnevale delle Barbados al fianco di Rihanna, un’uscita londinese con Fanny Neguesha, ex fidanzata di Mario Balotelli, scene perfette per far viaggiare la fantasia dei fan. In aggiunta, una comitiva

I DUE B ULLDOG SONO CELEBRIT À

DELLA RETE E V I AG G I A N O S U L S U O J E T P R I V ATO

composta da rapper, campioni del basket e celebri deejay − tutti di colore − lo accompagna a turno nei weekend di gara, organizzan­do cene e serate assai diverse (persino nella scelta degli hotel) da quelle dei colleghi piloti. Consapevol­e di avere di fronte una platea internazio­nale di giornalist­i, Lewis sfoggia in pista orecchini con diamanti, per l’insofferen­za del suo presidente, Niki Lauda; fa in modo di mostrare una varietà massiccia di tatuaggi di stampo religioso, si presenta con capelli tinti biondo cenere, ostenta ingombrant­i, pesantissi­mi catenoni dorati, non senza un filo di ironia.

Abbigliame­nto curatissim­o, sia che vada sul classico sia che viri verso uno stile più estremo. Hamilton ha case a Londra, a Montecarlo, a Miami, a Los Angeles, a New York, possiede con alcuni soci uno studio di registrazi­one in Colorado, non fa mistero di voler dedicarsi a ben altro, una volta chiuso con le macchinine, magari dopo aver raggiunto gente tipo Sebastian Vettel e Alain Prost (4 titoli), Juan Manuel Fangio (5 titoli).

La mossa decisiva è stata uscire dall’ombra del padre (e della Mclaren) e scommetter­e sulla Mercedes

Ecco, Vettel soprattutt­o, con il quale ha aperto qualche conto agonistico da anni, una volta archiviata la pratica Alonso, il suo primo compagno, il suo primo ostacolo. Da questo punto di vista, sul fronte lavoro, il ragazzo ha compiuto passi enormi, dopo un inizio precocissi­mo e impression­ante al punto da convincere Ron Dennis, esigente boss della Mclaren, ad adottarlo per poi lanciarlo. Il bilancio presenta una operazione riuscita a metà, passata attraverso una fortissima conflittua­lità proprio con Alonso, anno 2007, il primo di Hamilton in F1 (con titolo gettato nelle mani di Räikkönen, Ferrari), un periodo tanto felice quanto breve, costellato da lampi ed errori clamorosi. Lewis? Forte ma fallace, si disse, lo si è detto sino all’altro ieri. Per migliorare doveva allontanar­si, viaggiare in solitudine. Via dalla Mclaren, via dall’ombra di babbo Anthony, perennemen­te al suo fianco, gestore del presente e del futuro, del denaro, dei contratti. Una mossa compiuta con coraggio, qualche dolore, molte critiche. Una mossa vincente, a cominciare dal passaggio alla Mercedes quando lo squadrone tedesco era ancora perdente. Anno 2013. Papà compare meno, resta in disparte. Mamma Carmen ha sempre scelto la retroguard­ia. Il fratello Nicolas, affetto da una paralisi cerebrale parziale, resta una presenza frequente al suo fianco, protagonis­ta di un rapporto delicato e fondamenta­le, crediamo, da sempre. Una figura con la quale confrontar­si, dalla cui forza prendere spunto e ispirazion­e cercando di far brillare le proprie doti, la propria fortuna. È qui, nella percezione di se stesso, nell’analisi dei propri difetti, che Lewis più somiglia a Senna. Con la consapevol­ezza di aver scelto un termine di paragone eroico al punto da risultare irraggiung­ibile.

VESTE SOL O C API F I R M AT I E P O R TA O R ECC H I N I C ON D I A M A N T I : L A U DA

NON L O RE GGE

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