GQ (Italy)

Le casette del Signor Wolf

- Testo di WALTER MARIOTTI Foto di MATTIA BALSAMINI

Tanti viaggi, tanti soldi e tante donne. La vita di Giuseppe Gola specializz­ato in scienze politiche a Berkeley, ma che perfino i giornalist­i chiamano “ingegnere” si potrebbe riassumere così. Però sarebbe ingeneroso, oltre che fuorviante.

Sessant’anni, da 33 fa il general contractor nella cooperazio­ne internazio­nale, in particolar­e per l’onu con cui ha appena vinto una gara da 150 milioni di dollari, dopo che, pochi anni fa, ne aveva vinta un’altra da 100. Cifre non banali, per la fornitura di 6mila moduli abitativi in oltre 30 aree di crisi, dal Mali al Brasile. “Casette” di nuova concezione, quelle che esporta Gola, intelligen­ti e belle: la sua società, Agmin, le costruisce a pochi chilometri dall’arena di Verona, con un concerto di eccellenze del made in Italy: la veronese Piva Group ( alluminio), la trevigiana Elettroven­eta (impianti), la vicentina Eca Technology (climatizza­zione), il gruppo Marcegagli­a (strutture). Ma la notizia non ha né superato le cronache locali né reso più fluidi i rapporti con le banche.

«Nel mondo ci sono troppi balordi con i soldi e il cervello sbagliato»

Perché?

«Semplice. Perché nessuno in Italia sa cosa sia la cooperazio­ne, qual è il suo ruolo nel mondo. E poi c’è l’eterno tema delle nostre banche, dell’accesso al credito. Il vero buco nero del sistema Paese».

Andiamo con ordine. Che cosa significa general contractor?

«Togliendo la culla e la bara, è quello che si occupa di tutto ciò che ci sta in mezzo. Beni non di lusso ma di prima necessità».

Organizzat­e i campi profughi?

«Organizzia­mo tutto. Dall’emergenza alla sopravvive­nza, dal trasporto di ospedali mobili − come lo “Smile trading”, una clinica che nel 2008 portai da Nassirya al confine tra Iraq e Kuwait − al monitoragg­io delle elezioni in Guatemala nel 2003».

Superlogis­tica, diciamo.

«Diciamolo. Voli, mezzi speciali, reclutamen­to degli autisti di città, cuochi da campo, valigette di sicurezza, armi di protezione, cerimonial­e per i presidenti, scorte di cibo per i bambini malnutriti del Darfur».

Siete bravi a risolvere i problemi?

«Parrebbe di sì. L’ultima gara con l’onu l’abbiamo vinta a Brindisi, in un contest tra settanta agenzie da tutto il mondo».

Quanti siete?

«Venti nello staff di Agmin, più decine di altri profession­isti reclutati alla bisogna. A

Lei comanda, paga o viaggia?

«Tutte e tre. Adesso però viaggio molto meno, anche se mi piace ancora. A diciotto anni ho fatto il mio primo giro del mondo e in trent’anni ho visitato 140 Paesi. Quelli che per l’onu sono in via di sviluppo li ho visti quasi tutti. In ogni caso, oggi viaggiare è diventato molto pericoloso».

«Non c’è paragone. Sono andato per anni in Iraq, Siria, Zaire, Sudamerica. Semplici voli di linea, alberghi, vita notturna: tutto liscio e sensazione di libertà e tranquilli­tà. Ho incontrato donne che viaggiavan­o da sole, per piacere o per lavoro. Oggi sarebbe impossibil­e anche solo immaginarl­o».

Che cosa è successo?

«Sono saltate le regole che avevano gestito il mondo fino a ieri. È una situazione paradossal­e: da un lato ci sono chip, droni, satelliti che permettono di avere la situazione sotto controllo ovunque in tempo reale, dall’altro nessuno ci capisce più niente, le consuetudi­ni non valgono più, le previsioni si rivelano ogni giorno sbagliate. E poi ci sono in giro troppi balordi con i soldi e il cervello sballato».

La frase che ha appeso davanti alla sua scrivania dice: “Non puoi raggiunger­e il tuo obiettivo senza perderti in lunghi giri”. È il suo motto personale?

«Di tutta la mia vita. E anche il senso dell’imprendito­ria, secondo me».

Ne ha fatti tanti di giri a vuoto come imprendito­re?

«Sì, soprattutt­o quando vivevo in Arabia Saudita. Del resto, il deserto si presta. Ma l’italia non è da meno: si è costretti a perdere molto tempo, qui».

Suo nonno era il rettore dell’università di Padova e sua madre una nobildonna ligure.

«Non sono nato male, per carità, ma ho fatto tutto da solo».

È diventato ricco aiutando i poveri?

«Se ricco significa permetters­i di non lavorare, no. Se significa avere cin-

«MI OC CUPO

D I T U T TO Q U E L LO C H E

C’È TR A LA CULLA E LA B ARA»

quanta milioni di euro in banca, nemmeno. Se significa avere la possibilit­à di fare quello che ti piace, sì. Molto ricco».

Si è sposato tre volte. E ha avuto molte storie.

«Anche qui il senso del giro è girare. E soprattutt­o essere sincero».

Le donne apprezzano?

«Si fidi. Non essendo bello, ho puntato sulla simpatia».

Qual è il punto della cooperazio­ne? L’aspetto umanitario?

« Dell’umanità non frega niente a nessuno».

E allora perché si fa?

«Per tre semplici motivi. Primo. Se voglio un seggio all’onu, nel consiglio di sicurezza, dove si gestisce davvero il business, devo aiutare Mauritania e Burundi. Secondo. Se faccio parte del G8 o se la Fiat deve vendere in Angola o in Tanzania, devo cooperare con loro. Terzo. Se intervengo in Iran o in Nigeria, forse arriva in casa un migrante di meno».

Torniamo all’etica. Perché non gliene frega niente a nessuno?

»È un problema organizzat­ivo. La cooperazio­ne funziona così: l’80% del budget serve per la macchina, il 10 per chi sta male».

Manca un dieci per cento.

«Nessun sistema è perfetto».

Quali sono i settori chiave della cooperazio­ne del futuro?

«Sanità, educazione, ambiente».

Aree cruciali. Perché i politici non capiscono?

«Perché sono incompeten­ti, disonesti e incapaci, salvo poche eccezioni».

Ne dica una.

«Maria Elena Boschi. Molto capace, oltre che bella. Chapeau ».

Di Matteo Renzi cosa pensa?

«È un po’ superficia­le, ma ci sta. E comunque ha fatto una cosa enorme, ha rottamato i D’alema, i Bersani, le Bindi. E sta provando a cambiare le cose in un Paese che per vent’anni ha votato Silvio Berlusconi».

Nordest potevano risuonare.

«L’ho sempre considerat­o una disgrazia. Le sue qualità, innegabili per certi versi, non le ha utilizzate per aprire il mercato ma per il contrario, un’idea dello Stato tutta sua. Disdicevol­e, proprio come quella che ha mostrato di avere della donna».

Non è che a forza di girare il mondo si perde la stima del proprio?

«Gli italiani si bevono tutto, non sanno filtrare. Sono servi e pecoroni, gli va bene chiunque, basta che gli garantisca una vita

E allora si evade?

« Non faccia corti circuiti, sto dicendo che il tema dell’evasione è complesso e non si può generalizz­are. Prendiamo le pensioni. In Italia sono basse perché si mantengono privilegi assurdi: 3mila miliardi di debito pubblico bilanciati da 3.900 di ricchezza privata. In ogni altro luogo si penserebbe che qualcosa non va».

Colpa delle banche, dunque? La sentivo critico prima.

«Il 94% del sistema produttivo italiano è fatto di piccole e medie aziende, come la mia. Ma in Italia le banche finanziano le grandi imprese o chi è legato alla politica, mentre quelle piccole sono chiamate a finanziare le banche. È un sistema rovesciato e quindi perverso. I funzionari della banca che dovrebbero darmi i soldi per realizzare le casette non dovrebbero giudicare la mia azienda, ma almeno il contratto dell’onu. Ma come si fa a giudicare un documento internazio­nale di trecento pagine scritto in inglese e corredato di analisi tecniche di professori ed esperti? Bisogna aver voglia di capirlo e valutarlo».

Come finirà?

«Per noi bene, troveremo finanziame­nti e consegnere­mo le casette. Per l’italia non sono così ottimista. È un Paese a rischio, avrebbe proprio bisogno di un piano di cooperazio­ne».

« S O LO U N DECIMO DEL BUDGET V A DAV V E R O A C H I S TA

MALE» «Qui nessuno sa cosa sia la cooperazio­ne e le banche finanziano solo le grandi imprese»

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