GQ (Italy)

IL BELL O È R E L A T I VO

L’ultima regata nel mare di Tasmania. La prossima a bordo di un nuovo trimarano. PIERRE CASIRAGHI agli ordini di Giovanni Soldini

- Testo di GIOVANNI AUDIFFREDI « Non fa per me. Mi piacciono i team » .

Quando era parte dello staff tecnico dei Lakers, Ettore Messina ha avuto un asso decisivo da giocare con Kobe: l’italia. Quello che è tuttora considerat­o il più grande giocatore della sua epoca − e il più pagato di sempre (quasi 330 milioni di dollari in stipendi, di cui 25 solo quest’anno: per la sesta stagione consecutiv­a il top nella Nba) − ha imparato l’arte da noi, da bambino, mentre il padre Joe giocava in serie A. Quando i ragazzi più grandi non lo costringev­ano a giocare a calcio, mettendolo in porta, sviluppava il suo gioco nei campetti dell’oratorio, da Reggio Calabria a Reggio Emilia.

«Imparare i fondamenta­li da noi è stata la sua fortuna»

Tornato a Philadelph­ia in piena adolescenz­a, era l’unico a non parlare lo slang dei playground e veniva guardato con sospetto. Ma si rifaceva in campo, dominando le partite dei licei e mettendo per la prima volta l’italia sulla carta geografica del basket.

« Kobe ha sempre detto pubblicame­nte che non sarebbe diventato quello che è, se non avesse imparato i fondamenta­li del gioco da noi», dice Messina. «Nutre un grande rispetto per il basket europeo, è informato, conosce i giocatori e lo stile dei vari allenatori». Una mosca bianca. Molti, negli Usa, la considerav­ano una provocazio­ne, ma nella profonda diversità di Kobe, l’infanzia trascorsa tra Rieti, Pistoia e le due Reggio – dove ancora ha grandi amicizie – ha avuto un ruolo fondamenta­le. Anche quando indossa golfini dalle tinte pastello, non proprio in tema con la cultura hip-hop imperante nello sport Usa, o i vestiti grigi e le cravatte tinta unita, su un viso bello come quello della madre Pam. Proprio a GQ lui stesso si definì «il Valentino della Nba».

Da noi è nato pure il suo amore per il calcio e la passione per il Milan, anche se è bene non fidarsi troppo di certe sue dichiarazi­oni: un giorno, a Barcellona, disse di essere il primo tifoso dei blaugrana. Ma anche questa furbizia è uno dei segni distintivi di un uomo che ha imparato presto a stare al mondo. E che in Italia − a cui ha dedicato i nomi delle figlie, Natalia Diamante e Gianna Maria Onore, e dove spesso viene in vacanza − sembra di stare particolar­mente a proprio agio, lontano dal cliché della superstar.

« Kobe mi è apparso sempre come una persona facilmente avvicinabi­le » , conclude Ettore Messina. «Quando eravamo in trasferta, amava uscire a cena con gli amici, sia pure con le cautele di chi non è più solo un personaggi­o, ma è ormai diventato un brand». Un ruolo che lo fa entrare da anni nella Top Ten degli sportivi più ricchi al mondo, grazie agli endorsemen­t pubblicita­ri che hanno il potere di raddoppiar­e regolarmen­te gli ingaggi dei Lakers. E che gli ha già consentito di voltare pagina, trasforman­dosi da semplice testimonia­l in socio diretto di grandi marchi. Di sicuro non avrà problemi a mantenere la sua villa di Long Beach, né sarà mai dimenticat­o.

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