GQ (Italy)

Quella sfida al Sistema

Per il suo libro-inchiesta su VATILEAKS è sotto processo al tribunale pontificio. Il giornalist­a più temuto dalla Santa Sede ha visto per GQ Il caso Spotlight: «Una fotografia impietosa di un certo modo di esercitare il potere»

- Testo di GIANLUIGI NUZZI

Il caso Spotlight è un film che percorre strade narrative mai scontate, evita le scorciatoi­e emotive, la furbizia della lacrima facile. Una pellicola ruvida, anche abrasiva nel descrivere la violenza peggiore che sgomenta: l’abuso sessuale, impunito per di più, di un adulto su un bambino. Ho seguito ogni scena del film con gli occhi lucidi per accorgermi solo alla fine che non ero commosso dal dolore dei piccoli − lasciato con britannica sapienza sempre alla deduzione − ma dal coraggio dei grandi nel denunciarl­o, nel rompere le catene dei silenzi, della coltre di complicità e pavidità di cui infamie come questa godono per inabissars­i nella buona società di una città dalle ipocrisie nascoste.

Se qualcuno svela i segreti, le élites si alleano tra loro

Essere negli Usa, a Boston, dove il film diretto da Tom Mccarthy con Mark Ruffalo, Michael Keaton e Rachel MCAdams è ambientato, o nella provincia italiana, poco cambia: Il caso Spotlight scolpisce un sistema di potere ancora oggi presente. È “il sistema” in cui chi comanda nel proprio mondo (politico, ecclesiast­ico, accademico, economico, delle profession­i, pubblico, giudiziari­o e delle forze dell’ordine) si incontra con le altre élites, tesse alleanze, costruisce carriere, conclude affari in una sorta di monopolio, sbarrando gli accessi a chi è privo di requisiti. Contrariam­ente a quanto si possa pensare questo “sistema” è regolato da pochissime leggi non scritte. Sono ammessi colpi bassi, doppi giochi, tradimenti, tollerate persino truffe e ricatti.

Ma alcune regole restano inviolabil­i. Il sistema si salda in un unicum quando qualcuno cerca di scardinarn­e i segreti, mettendo a repentagli­o il potere di un membro che ha raggiunto una posizione significat­iva o apicale non solo per le proprie compe- tenze, ma talvolta anche grazie alla qualità di notizie e segreti imbarazzan­ti che possiede. Il sistema reagisce all’unisono per sanare la falla. Intralcia indagini giudiziari­e e giornalist­iche, insabbia commission­i d’inchiesta, depista la ricerca. Un’azione senza sconti, di autotutela, indispensa­bile per evitare tutto ciò che desta scandalo e turbamento nella collettivi­tà. Infatti, quando una situazione diventa insostenib­ile, il membro viene espulso per evitare che la crisi diventi struttural­e, che si allarghi il contagio, che altri debbano rispondere di responsabi­lità rimosse, sepolte, indicibili.

Il caso Spotlight è l’impietosa fotografia di questo sistema. Ci fa calare con realismo a Boston nell’estate del 2001, quando un gruppo di cronisti investigat­ivi − appunto la squadra Spotlight del quotidiano Boston Globe − ricompone lo sconvolgen­te mosaico di trent’anni di abusi sessuali compiuti da una settantina di sacerdoti in città. Una storia drammatica­mente vera che ha contribuit­o alla lotta alla pedofilia portata avanti da Benedetto XVI con determinaz­ione mai vista prima nella Chiesa.

La missione del giornalist­a è di andare in profondità

Il caporedatt­ore del team Spotlight, Walter Robby Robinson (Michael Keaton), organizza la ricerca: vittime, testimoni, fiancheggi­atori, complici, pedofili, agenti. I cronisti ascoltano decine e decine di persone, ricostruis­cono con dovizia, pignoleria e tatto storie di violenze, portando il film in una dimensione di estremo realismo. È un film di impegno, fortemente america-

CO L P I B A S S I , TRADIMENTI, R I CAT T I : T U T TO È TO L L E R ATO

no, che non strizza l’occhio al pubblico, indorando la tragedia con qualche banale storia d’amore tra i protagonis­ti. Il bene è il coraggio di chi cerca e combatte la verità, il male è il tradimento più profondo, quello compiuto su chi si attrezza a crescere e che rimarrà per sempre segnato dalle violenze patite. Perché è anche questo che emerge: il pedofilo trasforma i bambini in ergastolan­i innocenti, alcuni poi da vittime diventeran­no a loro volta carnefici. Una catena senza fine che pellicole come questa aiutano a rompere.

Nel film si intreccian­o e sviluppano quindi più inchieste: quella sulla pedofilia certo, ma anche una − inconsueta peraltro − sul giornalism­o. Oggi assistiamo ogni giorno al funerale del giornalism­o d’inchiesta, soffocato dalla crisi economica, metastasi nei media, e relegato a posizioni periferich­e nella galassia dell’informazio­ne.

Tutto finisce nella basilica più cara a Papa Francesco

Ebbene, in questo declino il nuovo direttore del Globe Marty Baron, catapultat­o da Miami e oggi al Washington Post, ha l’intuizione di non ridurre orizzontal­mente i costi ma di valorizzar­e la qualità del giornale, dando il mandato più ambizioso ai colleghi di Spotlight: firmare un’inchiesta non solo sui casi di pedofilia che hanno segnato i ragazzi ma soprattutt­o sulla rete di protezioni, un autentico sistema fognario, che a ogni grado ha coperto questa ignominia. Fascicoli proces- suali spariti, indagini insabbiate, avvocati che si vendono le vittime per rimborsi irrisori, notizie occultate: il mosaico di responsabi­lità e connivenze che Spotlight fa emergere è inquietant­e. Come si dice in casi come questo, ce n’è davvero per tutti. Tuttavia il film ricorda anche che la missione del giornalist­a non è solo quella di raccontare fatti e delitti, ma di andare in profondità per svelarne la rete di complicità che li sorregge. Colpire una singola responsabi­lità sarebbe un sollievo per la vittima ma non eviterebbe nuove tragedie. Per questo Mike Rezendes, giornalist­a inquieto, interpreta­to da un potente Mark Ruffalo, dedica settimane a scavare in ogni storia pur di scolpire responsabi­lità sempre più alte nelle gerarchie. E arriva al cardinale Bernard Francis Law, che realmente è stato arcivescov­o di Boston dal 1984 al 2002, quando si dimise proprio per lo scandalo dei preti pedofili, non avendo denunciato i sacerdoti coinvolti. Per ricompensa, il Vaticano lo nominò fino al 2011 arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore, dove tuttora è arciprete emerito. Una scelta clamorosa? Mica tanto: ancora oggi, in Vaticano, proprio per non destare troppo scandalo si preferisce rimuovere, trasferire, piuttosto che perseguire.

Ma per un destino sconosciut­o agli autori, Spotlight ci porta proprio fino al pontifica- to di Francesco. Perché, se c’è una basilica particolar­mente amata dal papa argentino, è proprio questa, visitata almeno una ventina di volte negli ultimi anni da Bergoglio. A Santa Maria Maggiore, dopo il contestato Law, arrivò lo spagnolo Santos Abril y Castelló, uno dei primi a mettere in guardia Francesco dai pericoli in curia. In una lotta tra bene e male, destinata a continuare per sempre. Insomma, il sistema, soprattutt­o nelle sue espression­i negative, è capace di riprodursi, inabissars­i e soprattutt­o proteggers­i. Dai giornalist­i d’inchiesta e da film come Il caso Spotlight.

P E R E V I TA R E

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