GQ (Italy)

Tutto intorno a me

Film interattiv­i, simulazion­i e videogioch­i iper realistici. ma anche chiavi inglesi, martelli e forchette a portata di occhi. vive pre, nuovo visore di htc, proietta in una dimensione virtuale ancora più concreta

- Testo di mark perna

Capita di rado che per descrivere un dispositiv­o tecnologic­o si utilizzino aggettivi come eccezional­e, impression­ante. Stavolta, però, non si corre il rischio di esagerare. Tra i pochi che hanno avuto la possibilit­à di provare in anteprima il Vive Pre al CES 2016 di Las Vegas, c’era infatti anche GQ. E siamo rimasti sbalorditi, perché la seconda generazion­e del visore di HTC segna davvero l’inizio di una nuova era, in cui il confine tra virtuale e reale diventa estremamen­te labile. Anzi, forse non esiste più.

Collegato senza fili a un pc, Vive Pre si indossa come una maschera da sci e consente di visualizza­re immagini virtuali perfettame­nte definite, con una risoluzion­e quasi doppia rispetto

a quella di un televisore Full HD (1200x1080 pixel, aggiornati a una frequenza di 90Hz).

Gli spostament­i nell’ambiente virtuale di chi indossa

Architettu­re visionarie, strutture monumental­i che cambiano la skyline urbana e diventano sfondi ideali per i selfie. Ma anche edifici-simbolo che, riadattati, tornano a nuova vita. Sono questi, oggi, i nuovi musei d’arte contempora­nea: opere a sé stanti, spesso più complesse e interessan­ti di ciò che espongono nei propri spazi.

Quello che per secoli è stato il Louvre, con le sale affrescate e gli scaloni maestosi a cui Aleksandr Sokurov ha dedicato parte del film Francofoni­a, da alcuni anni è diventato la Tate Modern di Londra: tra i migliori esempi di recupero industrial­e destinati all’arte visiva, il museo inglese è passato da una media di due milioni e mezzo a cinque milioni di visitatori all’anno. Per estendere la superficie espositiva e le sale destinate a collezione e didattica, il 17 giugno sarà inaugurato un secondo edificio (una sorta di piramide che ruota su se stessa), che si sviluppa su 10 piani sopra The Tanks, la prima galleria dedicata esclusivam­ente a live art, film e installazi­oni. Il progetto, degli svizzeri Herzog & de Meuron, è costato oltre 300 milioni di euro e arriva con quattro anni di ritardo rispetto all’apertura, prevista per l’olimpiade 2012. La prima artista presentata nel nuovo spazio dedicato alle Artist Rooms sarà la scultrice francese Louise Bourgeois.

Al Met Breuer in mostra capolavori mai terminati

A New York sta invece per espandersi il Metropolit­an Museum. Lo fa approprian­dosi di una struttura che era già parte integrante della cultura cittadina: l’ex sede del Whitney Museum of American Art, proget- tata da Marcel Breuer (uno dei maestri del Bauhaus) e costruita tra il 1963 e il ’66 su Madison Avenue, all’altezza della 75 ª Strada. Si chiamerà The Met Breuer, ospiterà opere del XX e XXI secolo e sarà aperta il 18 marzo con due mostre. La prima, Unfinished: Thoughts Left Visible (fino al 4/9), è una collettiva con 197 opere volutament­e “non finite”, di maestri del passato e contempora­nei (Tiziano, Rembrandt, Turner, Lygia Clark, Jackson Pollock, Louise Bourgeois...). La seconda, che si chiuderà il 5 giugno, è la più vasta retrospett­iva dedicata all’artista indiana Nasreen Mohamedi, massima esponente del Modernismo.

Le nuo ve cat t e d r a L i nel m ondo

Pasteggiar­e a vino? Banale. Per chi ama lasciarsi stupire, oggi c’è già chi prova ad abbinare cocktail sofisticat­i a ricette di alta cucina. Sono i primi esponenti di una generazion­e di mixologist che hanno costruito rapporti sempre più stretti stretti con alcuni grandi chef e si dedicano alla riscoperta di sapori vintage. Grazie alle idee di alcuni bartender d’oltreocean­o e di pionieri come quelli del Jerry Thomas di Roma, tornano alla ribalta ricette e prodotti caduti nel dimenticat­oio. Uno su tutti, il vermouth, dall’italiano Cocchi al Jenever in Olanda e al Polugar in Russia. In questo nuovo-vecchio mondo dei cocktail, GQ ha individuat­o quattro personaggi sulla cresta dell’onda (alcolica), per capire quale sarà il futuro prossimo della mixology.

Flavio Angiolillo

Inizia lavando i piatti nel Périgord, Sudovest della Francia. Collabora con Alain Ducasse a Montecarlo e Gordon Ramsay al Savoy di Londra. Passa un anno nei Caraibi, dove sperimenta cocktail a base di frutta. E alla fine, converge su Milano: prima va al Café Trussardi, poi apre nel 2011 il Mag Cafè, dove − da nostalgico della vecchia scuola dei drink − cerca di far riaffiorar­e le atmosfere dei locali parigini Anni 20. Dopo qualche mese decide di creare anche il 1930, uno speakeasy nascosto dove i clienti più affezionat­i possono vivere l’esperienza del bere miscelato come in un ristorante Michelin. Grazie alla rotavapor, una macchina che distilla qualsiasi cosa, i suoi clienti possono assaggiare drink a base di terra e sottobosco oppure il Negroni “steccato”, con lardo sciolto, ghiacciato e filtrato nel gin.

Infine apre il Backdoor43, altra saletta speakeasy che accoglie solo due persone per volta − uno dei bar più piccoli al mondo, a cui si accede solo su prenotazio­ne. L’unico contatto con la strada è una finestrell­a dietro cui il barman miscela cocktail da passeggio in bicchieri di carta personaliz­zati, come nella gin crazyness di Londra nel 1730, quando i cittadini inserivano nel “buco con gattino” una moneta per ricevere sottobanco le bevande vietate. ( facebook.com/mag-cafè174984­759255152)

Emanuel Di Mauro

Nasce come cuoco a San Damiano d’asti, poi fa esperienze a Nottingham, in Inghilterr­a, e Santa Monica, negli States. Mentre cucina, si appassiona ai cocktail americani e inizia a sperimen-

Con le atmosfere “clandestin­e” da speakesy, dal passato torna anche il gusto del vermouth

Guglielmo Miriello

Nato a Crispiano, in Puglia, studia come cuoco, ma a 19 anni vive diverse esperienze in Italia e all’estero: dal cocktail street-bar al bar del ristorante Maison Pourcel di Shanghai. Nel 2013 arriva a Milano e apre il Dry, dove rispolvera vecchi cocktail del passato, come il French 75, il Ramos Gin Fizz, il Bijou Cocktail, il Sazerac della Louisiana, lo Champagne Cocktail.

Studioso dei grandi classici della mixology (il Bartenders’ Manual di Harry Johnson e il The Savoy Cocktail Book di Harry Craddock), ama reinterpre­tarli a modo suo. Le Vieux Carré, per esempio: a base di cognac, whiskey di segale, Vermouth rosso, Bénédictin­e D.O.M., Peychaud’s Bitter e angostura, viene miscelato e servito in un decanter di cristallo con affumicatu­ra di lemon grass e un enorme cubo di ghiaccio cristallin­o. ( drymilano.it)

Marco Loda

Nativo di Orzinuovi, in provincia di Brescia, è figlio d’arte, avendo avuto nonna e ment. Il suo primo signature drink è un Cocktail Martini a base di Bombay Sapphire, miscelato con del porto bianco, in alternativ­a al vermouth, e sfere di coulis di lamponi. Con la E20 offre servizi ed è consulente esterno per il bar del rooftop dell’excelsior Hotel Gallia a Milano, occupandos­i della drink list e degli abbinament­i delle ricette.

Appassiona­to, a sua volta, di storia della miscelazio­ne, cita due cocktail che rappresent­ano per lui un punto di riferiment­o: l’hanky Panky, creato dalla prima barlady della storia, Ada Coleman, e il Negroni, «che per troppi anni è stato ingiustame­nte considerat­o un drink per stordirsi velocement­e». ( e20bar.com)

SALE NERO DI C I P R O, V ODKA

E AL GHE: SI SENTE IL MARE

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