La fatica degli adolescenti
D i N I C CO LÒ A M M A N I T I
Io non ho figli, ma gli amici miei ne hanno fatti uno, due, pure tre. Oramai io e i miei amici, chi più chi meno, andiamo per la cinquantina. Prima di farli hanno aspettato un sacco e quindi adesso si ritrovano in casa degli adolescenti: alcuni hanno quindici, altri tredici anni. Marina, 48 anni, ha quattro figli, avuti da tre mariti diversi, e quella più grande (Sara), fatta prestissimo con uno spagnolo, adesso ha tipo ventidue anni e a sua volta ha una figlia di due con un giapponese che dipinge mattonelle artistiche. Quindi Marina è nonna e nello stesso tempo ha un ragazzino, il minore, di otto anni. E forse, tra i miei amici, è quella che sta messa meglio, non si lamenta e i suoi figli sono simpatici. Se andiamo a casa sua, si siedono con noi e qualche volta ci domandano come va la vita. E sapere che a uno, molto più giovane di me, interessa sapere come va la mia vita è bello. Quando ero adolescente, a me non me ne fregava assolutamente nulla di come andava la vita di un cinquantenne. Come può andare? Male. È praticamente morto.
Non ho più voglia di andare alle cene dei miei amici. Se non si parla delle serie televisive, si parla dei figli che hanno un mucchio di problemi: credono che Bologna è in Friuli, sono fusi con i loro telefonini (una è caduta dalle scale perché stava chattando e si è rotta la clavicola), sono aggressivi, non vanno nemmeno in motorino perché tanto i posti li vedono su Street View e sull’internet, non hanno fidanzati perché si fidanzano su Facebook, i maschi si fanno le seghe su Youporn e le femmine guardano le foto osé. Durante ogni cena arriva sempre il momento dello sconforto termonucleare globale: che razza di mondo sarà quello in cui questi disadattati dovranno essere adulti. È tutta colpa nostra, sono già cotti a quattordici anni. Siamo stati troppo amici, troppo disponibili, troppi soldi. I nostri genitori, quando dicevano un no, era no. E intanto il mondo va a rotoli, arriverà anche per loro la realtà, ci sbatteranno il grugno, travolti dagli arabi, dai cinesi, da milioni di disperati dell’africa, molto più determinati, assetati di speranze, di costruire un futuro. I nostri figli sono come i panda, destinati all’estinzione.
E qualcuno, inevitabilmente, mi chiede: «Tu, Niccolò, tu che hai scritto libri sugli adolescenti, come la vedi? Che cosa dobbiamo fare?».
Io sollevo le spalle e dico che i miei genitori, quando ero adolescente, se ne fottevano di me, di quello che pensavo o se mi facevo le seghe. Se andavo una merda a scuola, s’incazzavano di brutto, questo sì. E gli dico di mandarli al collegio militare della Nunziatella, che non so nemmeno se esiste più.
L’altra sera, però, Enrica mi dice: «Perché non parli con Jasmine, ha letto tutti i tuoi libri, ti stima, cerca di farle capire che se continua così la bocciano per la seconda volta. Ti prego, fallo per me. È chiusa in camera… È furiosa. Oggi per poco non mi menava».
Mauro, il padre, mi mostra un livido grosso come un cd sul collo: «Questo me l’ha fatto l’altra settimana. E poi ha sfondato con una capocciata una porta».
« E se mena pure me?», ho detto.
«No. Con gli estranei è buona».
Ho deglutito un: «Va bene. Avete acqua santa e crocefisso?».
La porta della stanza di Jasmine era chiusa. Ho girato la maniglia e, dopo aver preso un respiro, sono entrato.
Era seduta, ingobbita, sul suo letto. La camera era in penombra e i lunghi capelli neri e lisci le coprivano il volto. Tra le mani stringeva l’iphone.
Gli occhi indemoniati mi scrutavano. «Ti hanno mandato i miei?» «… Sì». « Perché non mi lasciano in pace?»
« Dicono che se non studi, ti bocciano di nuovo», ho balbettato.
«A te ti hanno bocciato?» «Una volta», ho ammesso. « Se ce l’hai fatta tu, ce la posso fare pure io. L’adolescenza è un periodo di transizione e non coinvolge solo me, ma anche i miei. Noi non siamo una famiglia felice. Ho due genitori che stanno insieme e non sanno nemmeno loro perché. Non vogliono invecchiare. Io sono la scusa per restare insieme, nonostante si tradiscano da vent’anni. E ora, caro scrittore, esci da questa stanza che devo levitare sul letto».