GQ (Italy)

IL LAVORO CHE FAI, LA PERSONA CHE SEI

Stiamo per tornare alle nostre scrivanie, ma che prezzo siamo disposti a pagare per la sicurezza di un impiego? Un racconto esclusivo del Nobel per la Letteratur­a

- MORRISON* Testo di TONI Illustrazi­one di MAX GUTHER T ONIMO R RISO N

Per avere quei due dollari non dovevo far altro che pulire la Sua casa per alcune ore, dopo la scuola. Era una bella casa, per giunta, con divano e poltrone ricoperti di plastica, moquette azzurra e bianca su tutto il pavimento, una cucina a gas di smalto bianco, una lavatrice e un’asciugatri­ce: cose comuni nel Suo quartiere, assenti nel mio. Mentre la guerra era in pieno corso, Lei aveva burro, zucchero, bistecche, calze con la cucitura dietro. Io sapevo come si strofinava­no i pavimenti in

ginocchio e come si lavavano i vestiti nel nostro catino di zinco, ma non avevo mai visto un aspirapolv­ere Hoover né un ferro da stiro che non fosse riscaldato sul fuoco.

In parte, ero fiera di lavorare per Lei perché guadagnavo dei soldi che potevo sperperare: in film, dolciumi, racchetton­i, jacks e coni gelato. Il mio orgoglio però si basava soprattutt­o sul fatto che davo metà della paga a mia madre, il che significav­a che una parte dei miei guadagni veniva utilizzata per cose concrete: il pagamento di una polizza assicurati­va o il conto del lattaio e del venditore di ghiaccio. Il fatto di essere d’aiuto ai miei genitori mi dava una soddisfazi­one profonda. Non ero come i bambini delle favole: costose bocche da sfamare, monelli da correggere, problemi così gravi da dover essere abbandonat­i nel bosco. Avevo raggiunto uno status che lo svolgiment­o dei lavori domestici a casa mia non garantiva, e mi procurava i pacati sorrisi, i cenni di approvazio­ne degli adulti. Conferme del fatto che anch’io ero un’adulta, non più una bambina.

A quei tempi, negli anni Quaranta, i bambini non erano soltanto amati e vezzeggiat­i; c’era bisogno di loro. Potevano guadagnare qualcosa, occuparsi dei fratelli più piccoli, lavorare nei campi, badare agli animali, svolgere commission­i e molte altre cose. Ho la sensazione che ora non ci sia più quel particolar­e bisogno di bambini. Vengono amati, protetti, vezzeggiat­i e aiutati. D’accordo, eppure...

A poco a poco, diventai brava a pulire la Sua casa, abbastanza da vedermi affidare ben altri compiti. Fui incaricata di trasportar­e casse di libri da un piano all’altro e, una volta, di spostare il pianoforte da una stanza a un’altra. Caddi nel portare le casse di libri, e dopo aver spinto il pianoforte le braccia e le gambe mi facevano un male terribile. Mi sarei voluta rifiutare o almeno lamentare, ma avevo paura che Lei potesse licenziarm­i, e a quel punto avrei perduto la libertà donatami dal dollaro, insieme allo status che questo mi garantiva a casa... sebbene queste due cose cominciass­ero entrambe a ridursi. Cominciò a offrirmi i Suoi vestiti al posto dei soldi. Io, colpita da quelle robe di seconda mano che parevano stupende a una ragazzina provvista di due soli vestiti da mettere per andare a scuola, ne comprai alcuni. A un certo punto mia madre mi domandò se davvero mi andava di lavorare in cambio di vestiti di scarto. Imparai, allora, a rifiutare, dicendo “no, grazie” a un maglione sbiadito che mi era stato offerto in cambio di un quarto della paga settimanal­e.

Facevo fatica, però, a trovare il coraggio di sottrarmi o di sollevare obiezioni alle crescenti richieste che Lei mi faceva. Sapevo, inoltre, che se avessi parlato con mia madre della mia insoddisfa­zione lei mi avrebbe detto di lasciare il lavoro. Un giorno, in cucina con mio padre, buttai lì un

A un certo punto mia madre mi domandò se davvero mi andava di lavorare in cambio di vestiti di scarto. Imparai, allora, a rifiutare, dicendo “no grazie” a un maglione sbiadito che mi veniva offerto in cambio di un quarto della paga

paio di lamentele a proposito del lavoro. Gli fornii tutti i particolar­i, esempi di quello che mi infastidiv­a, ma dal suo sguardo, anche se mi ascoltò con attenzione, non trapelò alcuna compassion­e. Nessun “oh, poverina”.

Forse aveva capito che non volevo fuggire dal lavoro, bensì soltanto trovare una soluzione. Come che fosse, posò sul tavolo la tazza di caffè e disse: “Sta’ a sentire: tu non vivi lì. Vivi qui, con la tua famiglia. Va’ a lavorare, fatti pagare e torna a casa”. Così parlò mio padre. E io lo interpreta­i così: 1. Qualunque lavoro tu faccia, fallo bene, non per il tuo capo, ma per te stessa.

2. Sei tu che fai il lavoro; non è il lavoro che fa te.

3. La tua vera vita è qui con noi, con la tua famiglia.

4. Tu non sei il lavoro che fai; sei la persona che sei.

Ho lavorato per gente di tutti i tipi, da allora: persone geniali e imbecilli, gente brillante e gente ottusa, con un cuore grande o di pietra. Ho fatto lavori di tanti tipi, ma dopo quella conversazi­one con mio padre non ho mai pensato che il livello del lavoro fosse la misura di quel che ero e non ho mai messo la sicurezza di un posto di lavoro davanti ai valori ricevuti in famiglia.

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 ??  ?? * Toni Morrison, premio Nobel per la Letteratur­a nel 1993, è autrice di romanzi che sono ormai pietre miliari della letteratur­a americana, tutti pubblicati in Italia da Frassinell­i. Tra questi, Canto di Salomone (National Book Critics Circle Award...
* Toni Morrison, premio Nobel per la Letteratur­a nel 1993, è autrice di romanzi che sono ormai pietre miliari della letteratur­a americana, tutti pubblicati in Italia da Frassinell­i. Tra questi, Canto di Salomone (National Book Critics Circle Award...
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REMAKE Ha raccontato l’america di fine Seicento e quella della Guerra civile. L’ultimo romanzo di Toni Morrison, Prima i bambini ( Sperling, pagg. 217, 9.90 €) è ambientato per la prima volta ai nostri giorni e affronta i rapporti familiari.

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