L’uomo che batte l’arte sul tempo
«Uno sponsor, per quanto rilevante, può avere lo stesso spazio che la Biennale d’arte contemporanea di Venezia dedica normalmente alla presenza di un Paese?» Domanda puntuta e legittima. Di quelle che rischiano di far scendere in fretta la temperatura nella sala. Ma Paolo Baratta, che della Biennale è il presidente, non si è sentito messo all’angolo: «Se lo sponsor ha davvero qualcosa da dire, certo. Merita lo spazio». E Swatch parla, racconta, sintetizza, catalizza, esprime, trascende la sua identità di orologio per diventare un messaggio artistico, oltre a essere l’archetipo di un oggetto.
Non è sempre stato così, il suo spazio nell’arte se l’è conquistato grazie alla figura chiave di Carlo Giordanetti, direttore creativo di Swatch, che da 30 anni lavora nel brand principale dell’omonimo gruppo. «Quella in corso è la nostra quarta presenza alla Biennale d’arte. È una manifestazione provocatoria che non ha una funzione commerciale e il cui contenuto si sposa con i nostri valori. Ma è stata anche una scelta che nasce dall’esigenza di trovare una piattaforma di comunicazione per il nostro Swatch Art Peace Hotel di Shanghai, la residenza per artisti di ogni genere creata nel 2011 e dalla quale finora sono passati 240 ragazzi. La Biennale l’abbiamo approcciata per gradi. Nel 2011 abbiamo organizzato un evento molto Swatch: una grande festa del colore e della musica, che si rifaceva al nostro legame con Venezia, dove abbiamo fatto grandi eventi in maschera per il Carnevale e mostre come quella dei pezzi storici di Swatch a Ca’ Vendramin Calergi, esposti su un guard rail da autostrada. Nel 2013, per i 30 anni del brand, eravamo in Biennale sia ai Giardini che all’arsenale con un muro di fotografie, con tanti volti di chi quell’anno compiva 30 anni, iniziando la nostra collaborazione con Mika. Il 2015 è stato il più stupefacente, all’arsenale avevamo 750 metri quadrati di spazio e abbiamo portato in cinque riprese differenti venti degli artisti di Shanghai, rifacendo l’allestimento cinque volte. In quel momento Baratta mi disse: “Lei è completamente pazzo”. Quest’anno lo spazio ai Giardini
è un gesto di generosità perché è quasi privo di una nostra presenza commerciale e ha invece un’opera forte e da godere, con la committenza del lavoro di Ian Davenport. E all’arsenale abbiamo uno spazio all’interno del percorso, per gli artisti meno conosciuti, che hanno lavorato a Shanghai, e si entusiasmano per la grande occasione che hanno di proporre i loro lavori al mondo che passa di qui».
Diciotto atelier per altrettanti artisti, su due piani, a disposizione per un periodo di sei mesi. Un ciclo continuo di presenze e alternanze. Spazi generosi, tavolo della colazione comune, poi ciascuno nella propria realtà, libero di creare senza vincoli, in ogni campo: sound artist, video performance, ballo, pittura. Di tutto. È la comunità per artisti del Ventunesimo secolo, che Swatch ha creato a Shanghai. Tutti sono chiamati a lasciare una traccia. «Qualcuno ci ha mollato lì il sacchetto della biancheria sporca. Ma, una volta lavata, è finita anche quella nella grande mostra che abbiamo fatto nel 2014. Nascono collaborazioni, si affinano esperienze, in Cina scoprono nuovi materiali: c’è l’italiano che lavora con la carta metallica che a Shanghai usano per avvolgere i fiori, la neozelandese che impressiona a carboncino i tombini della città che in realtà raccontano delle storie perché hanno anche una funzione di mappe stradali della città. È uno scambio immateriale quello tra i ragazzi e Swatch. Abbiamo un accesso privilegiato a forme di creatività che poi in qualche modo possono influenzarci in molte delle nostre attività».
Dal 1992 al ’95 Giordanetti ha lavorato per Piaggio, creatore di scooter Vespa, dove ha istituito un nuovo concetto di vendita al dettaglio e ha diretto la prima campagna di comunicazione internazionale. Dal 2007 al 2012 ha lavorato anche come direttore creativo di Montblanc, ma il suo estro ha trovato terreno fertile soprattutto in Swatch, dove ha messo solide radici. «Quando abbiamo lavorato a uno Swatch con Arnaldo Pomodoro, che ci ha sfidato sulla tridimensionalità, abbiamo riprodotto quell’orologio, appendendolo dal soffitto al pavimento, nella scala del Guggenheim Museum di New York, per una sera sola. Questo per dire il valore che noi diamo all’oggetto. Se facciamo un pezzo con un grande artista, le cui opere hanno enormi valori, noi condividiamo il suo progetto con gli altri, in modo democratico. Anche perché uno Swatch, accessibile davvero a tutti, non cambia il suo prezzo da 35 anni».
«La Biennale d’arte contemporanea è anche una piattaforma espositiva per i lavori che i giovani artisti realizzano nello Swatch Art Peace Hotel di Shanghai»