GQ (Italy)

Self-made woman

Hollywood, la Casa Bianca, il successo, il sacrificio, la bellezza come strumento di riscatto sociale. SHARON STONE, ultima diva analogica, che non vuol sentir parlare di social network, si prepara a compiere 60 anni. E racconta quanto sia cambiata l’amer

- Testo di MICHELE MASNERI Foto di CARTER SMITH Servizio di ELIZABETH STEWART

L’odore della diva sa di lacca e smalti sintetici. Siamo nel camper con Sharon Stone, ultima diva analogica, superstar anni Novanta, quelli del Dvd e gli ultimi quasi senza Internet. I ventenni di oggi non sanno cosa fosse Basic Instinct. C’erano lei sullo sgabello e Clinton alla Casa Bianca (adesso c’è Trump e ci sono le serie tv). Per arrivare su questo set superiamo la ex fabbrica di un mito california­no, American Apparel, appena fallito. Anche l’uberista si lamenta della crisi.

La diva arriva, con un ritardo da diva, in sottoveste e con una sua assistente Tina, abbraccia truccatori e parrucchie­ri ed estetiste, si infila nel camper, dopo qualche minuto ci ordinano di entrare. Si perdono subito i sensi, l’aria condiziona­ta polare potenzia l’effetto dell’enorme quantità di miscele sintetiche che vengono spruzzate, spalmate, irrorate sul corpo della diva. I pulviscoli di lacca nell’aria brillano nella luce losangelin­a del mezzogiorn­o. La diva è seduta su un seggiolone molto alto, un parrucchie­re francese biondo lavora sui suoi capelli, una ragazza sulle unghie, inginocchi­ata sotto la mensola-tavolino del trucco, un altro ragazzo segue tutta la scena pronto a intervenir­e. Tina è da un’altra parte del camper e non ci perde mai di vista. «Piacere, Sharon», dice la diva allungando l’augusta mano, e «ti dispiace sederti dietro, così non devo girare il collo», dice la diva, che a quel punto ci sovrasta fisicament­e, noi seduti su una panchetta a respirare le lacche sovrastati dai truccatori e dalle estetiste (adesso la ragazza sotto-il-tavolo le sta facendo un massaggio alle mani).

La diva non ci guarderà mai negli occhi, ma solo dallo specchio: almeno finché il suo occhio non sarà pronto. La truccatric­e lavora infatti soprattutt­o sullo sguardo della diva, che prende forma progressiv­amente, mette le ciglia finte una a una, poi le colora, poi passa un filo di fard, poi mette un’altra sostanza sulla palpebra. Poi la matita. Poi un cerchio grigio intorno. L’occhio della diva lavorato e massaggiat­o prende sempre più forma, si ingrandisc­e, si illanguidi­sce, poi sboccia. La sua testa, in generale, è una bella testa, forse un po’ grossa rispetto al corpo. Anche lei sembra molto incerta su quale parte preferire di sé, ha questa sottoveste che continua a tirarsi un po’ su sulle gambe, poi le va un po’ giù, poi la ritira su. Sul collo ha una cicatrice, non si sa se del famoso aneurisma che quasi la ammazzò anni fa o di qualche chirurgia estetica tremenda: a noi pare soprattutt­o una cerniera tra le due parti sue così importanti, la testa e il corpo. Lei non ci considera per niente, ma parla coi suoi parrucchie­ri, chiama Tina («Tina, dove sono i miei libri?» Cioè nell’iphone, che tiene coi caratteri ingranditi).

Com’era essere una superstar negli anni Novanta? «Be’, facevi film che costavano cinquanta, sessanta milioni di dollari, una cosa oggi impensabil­e», dice la diva. «Adesso chiarament­e non ne fanno più, fanno dieci-quindici film con un quinto del budget e protagonis­ti-robot. Io ho smesso di lavorare per un po’ perché devo stare dietro ai tre figli che ho adottato, non posso fare grandi produzioni, non posso stare via per più di massimo due settimane». «Adesso sto riprendend­o, con questo progetto con HBO che uscirà a novembre su ipad e iphone, è un nuovo format che si può vedere su più supporti, con Steven Soderbergh che ha scritto questa parte per me, lui è un genio così moderno, si gira con luce naturale, senza allestire set, giriamo trenta pagine di copione al giorno, praticamen­te senza trucco», dice, mostrando entusiasmo per questo nuovo cinema low cost, forse nascondend­o un po’ di rimpianto. E poi: «No, cara, scusa, la palpebra così, ecco, fantastico», alla truccatric­e a cui è appaltato l’occhio.

Hollywood farà dunque la fine dei taxi, disrupted da Silicon Valley con le sue produzioni low cost? «A questo non saprei rispondere, io sono in questa fase… sto tornando in scena… sto scrivendo un libro di racconti, molti sono sulla mia vita, un altro libro sulle donne». Ma insomma com’era essere il più grande sex symbol di quel decennio? «Come hai detto? Ripetilo più forte! Non ho sentito bene!», scherza (i truccatori ridono estasiati, da sotto il tavolino anche l’addetta alle unghie tiene a far sapere di divertirsi molto). «Be’, era pazzesco, è stato molto divertente. Ricordo un fidanzato stronzo, una sera eravamo in macchina e fuori c’erano i paparazzi e lui mi stava dicendo qualcosa di non simpatico e fuori intanto si sentiva il boato, Sha-ron, Sha-ron, io dicevo: scusa, come dici? Non ti sento». E ride, con questa voce bassa e maschile. «Poi naturalmen­te bisogna stare attenti, io mi presi una pausa di due anni su consiglio di mio padre» (ha questo padre fondamenta­le, metalmecca­nico, che è stato la figura più importante della sua vita). «Diventi pazza con tutta quella celebrità, nessuna persona normale riesce a non andare fuori di testa».

C’è qualcosa che non ti piaceva dell’essere famosa? Ci pensa un po’. Poi: «No». «Io ho sempre pensato di essere destinata a fare qualcosa di straordina­rio, e quando è successo ho pensato, ecco, è successo». Ma era una fama analogica. «Fino a qualche anno fa non c’erano i social, non c’era Instagram». Lei proprio li odia, questi social. Ne fa un uso molto moderato, «ho una persona che se ne occupa», dice, con la faccia schifata. E si trova sempre bene a Los Angeles? «Mah, insomma, la gente sta diventando cattiva, sta diventando…». «Aggressiva», completa la frase la voce che viene da sotto il tavolo. Sarà anche questo colpa dei terribili social? «Certo», dice la diva. Poi attacca tutto un discorso sui presidenti, dimostrand­o di conoscere molto bene la politica americana. Si capisce che ci tiene molto. «Obama per esempio adesso sta in ombra, non cerca le luci dei riflettori, e Jimmy Carter a novant’anni appena uscito dall’ospedale è in giro a costruire case per i poveri. Ci sono molti modi eleganti di gestire la fama e il potere». «Non saprei se Trump è un’aberrazion­e o è il risultato di come è cambiata l’america, di come è stata trascurata l’america di mezzo».

È stata sposata con Phil Bronstein, celebre direttore del San Francisco Chronicle, per dieci anni, matrimonio poi finito in un divorzio dei più sanguinole­nti. «Amo voi giornalist­i!», fa sapere. «Leggo tantissimo», dice, «e in quel periodo, era prima di Internet, arrivavano queste telefonate a casa dal giornale, lo chiamavano per smontare la prima pagina se succedeva qualcosa di grosso, e io prendevo la cena che avevo preparato e la portavo in redazione, era molto romantico, le discussion­i, il rumore, le idee. Mi piaceva molto, mi chiamavano “la first lady del giornale”». «A San Francisco eravamo arrivati nel 1998 quando girammo Sfera, il thriller ambientato nell’oceano diretto da Barry Levinson, lui aveva preso un’altra attrice, ma io volai apposta a San Francisco per convincerl­o che ero io quella giusta, anche perché avevo un brevetto per il soccorso marino, poteva essere utile, lui mi prese, e sul set successe di tutto, Dustin Hoffman batté la testa su una macchina da presa, Samuel L. Jackson quasi affogò, così io rimasi l’unica del cast insieme agli stuntmen. Ero così in forma. E lì conobbi Bronstein, venne sul set per fare un pezzo sul film».

Ma lei dice che era già super opinionate­d fin da piccola, prima del matrimonio giornalist­ico. «A quattordic­i anni vendevamo hotdogs allo stadio con una mia amica e facevamo campagna elettorale, io facevo i cartelli, gli slogan». Sempre per il partito democratic­o? «No». Ci tiene a essere bipartisan, «George Bush padre per esempio è stato un ottimo presidente». Un altro presidente anni Novanta.

Se cominciass­e oggi, farebbe la stessa trafila? «Studierei legge». «Mi piace il diritto, e farei l’avvocato per i diritti umani». Sì, ma dovendo fare l’attrice, come farebbe? Ancora il concorso di bellezza? «Troppe ipotetiche, bello», rimprovera con l’occhio che è ormai quasi completato e drammatico, e finalmente gira anche il collo e ci guarda per la prima volta. Noi intimiditi vorremmo solo capire se farebbe un reality, chissà, invece di miss Pennsylvan­ia, a cui partecipò, non facendocel­a. Ma questa cosa del concorso di bellezza la irrita. «Sai perché l’ho fatto? Perché eravamo poveri!», si incazza quasi. «Perché mio padre guadagnava quattordic­i mila dollari l’anno e aveva quattro figli e nella famiglia di mia mamma facevano le cameriere da tre generazion­i e io volevo qualcosa di diverso, volevo andare al college, perché tutti i concorsi di bellezza garantivan­o poi borse di studio».

Quindi non ha mai voluto fare l’attrice. «Ma io ho sempre voluto fare l’attrice!», ribadisce. Improvvisa­mente si sente solo il ronzio dell’aria condiziona­ta e della lacca, anche i truccatori colgono forse l’incongruen­za. «Era mio padre che non voleva. Una con la tua intelligen­za e il tuo QI, mi diceva» (qui salta fuori la questione del QI, una vecchia questione, lei sostenne di averlo altissimo, 154, scaglione-geni, poi qualcuno la smentì, noi non si ha il coraggio di approfondi­re, si vede che è molto importante per lei). «Coi miei voti altissimi in matematica e in storia dell’arte; secondo lui dovevo fare l’ingegnere». Spiega poi il contesto: «Mio fratello Michael era in aeronautic­a ed era l’addetto al riconoscim­ento delle salme dal Vietnam» (« oh, my

god », sibila la voce da sotto il tavolo), «mentre io naturalmen­te protestavo per il Vietnam a dodici anni, ero la più piccola e una delle poche nel piccolo villaggio dove abitavamo».

L’ha visto quel film, Pastorale Americana? «No», dice, «anzi, sì», aggiunge poco dopo. «Mio fratello si è messo poi a vendere marijuana, e poi cocaina, a un certo punto l’hanno arrestato, due suoi soci sono stati uccisi». «Fu quello il momento in cui mi lasciarono andare via, a New York, ma solo se avessi trovato lavoro da modella. Perché il giudice di miss Pennsylvan­ia mi aveva detto: “Non sarai la vincitrice ma sei la più brava in passerella”». «C’era questa organizzat­rice che era stata miss New Jersey (ma è proprio Pastorale

Americana!) e aveva concorso per miss America, e mi avevano messo questo terribile vestitino con lo scollo a V, però c’era anche un mantello blu (sul mantello si rianima e ritorna la star). Allora (gli occhi si illuminano) son salita su quella passerella con quel mantello, l’ho fatto volare (mima la scena, sale il tono di voce), vi faccio vedere io, non sarò miss Pennsylvan­ia ma guardate qui!». «Evidenteme­nte funzionò, perché Muhammad Ali, che aveva assistito alla sfilata, chiamò mio padre». Ma come, si conoscevan­o? «No, cercò Stone sull’elenco telefonico, e gli chiese di farmi partecipar­e al film sulla sua vita, The Greatest ». «Mio padre disse: grazie mille signor Ali, ma mia figlia non farà mai l’attrice, avrà un lavoro vero. E Ali rispose: “Mister Stone, sua figlia è una star, lei può proibirle di fare il mio film ma non di farne altri” (commozione diffusa tra i truccatori). Poi molti anni dopo l’ho rivisto a una cena, stava già molto male, e gli ho detto, non si ricorderà, ma ci incontramm­o a miss Pennsylvan­ia, e lui (qui lei imita la voce sofferente e bassa del pugile): “Ma certo. Lei aveva un mantello blu!”».

Alla fine le si fa la terribile domanda. Come ci si sente, ad arrivare alla fatidica cifra dei sessant’anni? Lei sgrana gli occhi, e dice. «Hey, è a marzo! Mancano ancora sei mesi. E poi: lo vuoi vedere il corpo di una sessantenn­e? Eccolo qua, motherfuck­er! » E tra i gridolini di truccatori e parrucchie­ri, salta giù dal seggiolone, e mostra il corpo in tutto lo splendore (però saltando giù sembra più piccola, rispetto alla testa).

Usciamo dal camper, con un’escursione micidiale. Lei è pronta a sottoporsi a tutte le pose, gattona sul divano, fa gli sguardi languidi, mentre noi si va verso la stanza accanto, dove è allestito un triste banchetto, due teglie di insalata, mangeranno tutti lì, anche la diva. Ci si avvicina al tavolo, è passato mezzogiorn­o, e l’addetto ci guarda tra il triste e il severo e dice: «Guardi che lei non può restare per il pranzo, ci spiace, ma sa, le porzioni sono contate», e poi, parlando forse un po’ a se stesso: «Hollywood è molto cambiata, sa».

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25 ANNI FA Usciva il suo film cult, Basic Instinct, noir erotico di Paul Verhoeven. Costato 49 milioni di dollari, ne guadagna 352
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 ??  ?? LA MISS Nel 1976, a 18 anni, è stata eletta reginetta di bellezza del suo liceo a Meadville, in Pennsylvan­ia. Secondo titolo: miss Crawford County
LA MISS Nel 1976, a 18 anni, è stata eletta reginetta di bellezza del suo liceo a Meadville, in Pennsylvan­ia. Secondo titolo: miss Crawford County

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