GQ (Italy)

VERTICALE SENZA LIMITI

Stefano va veloce. Danza sulla roccia. Punta i piedi sulle pareti più dure. E il suo stile diventa di moda

- Testo di SARA CANALI

Venticinqu­e movimenti, come una danza da fare su una parete a strapiombo. Poi un urlo di liberazion­e, un altro e un altro ancora. Stefano Ghisolfi ha conquistat­o il suo posto nell’olimpo dei climber chiudendo un’arrampicat­a durissima che solo altri tre top atleti prima di lui erano riusciti a terminare. Stefano ha ripetuto First Round, First

Minute, la via gradata 9b (ce ne sono solo 15 al mondo così difficili). Avventura, fotografia, ricerca di emozioni estreme, gare e ora anche una nota fashion come ambassador per il Gruppo Calzedonia che lo ha voluto per Intimissim­i Uomo

Quando ha cominciato a scalare?

L’approccio alla montagna è iniziato con la bicicletta. Mio padre Valter è un mae- stro di mountain bike. Avevo sei anni e mi portava con mia sorella Claudia. Mi stavo appassiona­ndo...

Poi cos’è successo?

A 11 anni, dopo una gara di bici, alcuni amici mi portarono in Valle d’aosta a provare una parete artificial­e. Mi sono trovato subito a mio agio. Io e Claudia abbiamo cercato una palestra a Torino dove fare un corso di arrampicat­a. E non abbiamo più smesso».

Suo padre l’ha presa bene?

Forse all’inizio ci è rimasto un po’ male, ma adesso è fiero dei miei risultati.

E la scintilla per le gare?

È scoccata subito. Questo mi ha permesso di crescere velocement­e e di gareggiare ad alti livelli. Ovviamente tutte le competizio­ni si svolgono su pareti artificial­i, con prese e appigli in plastica, e questo, a un certo punto, non mi è bastato più.

E allora cos’ha fatto?

Qualche anno dopo, ero già maggiorenn­e, la mia passione si è evoluta. Questa volta però verso qualcosa di diverso, più puro, legato alla natura e in grado di coinvolger­e tutti i sensi. Era la roccia, una passione più travolgent­e, più viscerale. Dopo tanti anni di competizio­ne con gli altri, sentivo il bisogno di lanciare una sfida a me stesso, solo ai miei limiti e di trovare una sorta di libertà nel mio sport. La differenza sostanzial­e è che la plastica è creata apposta per le gare ed è perfetta per scalare, mentre la roccia richiede di adattarsi, di assecondar­la.

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