L’ARTE DEL FRANCHISING
L’11 novembre aprirà il nuovo LOUVRE di Abu Dhabi. Gli sceicchi hanno capito che lusso e grattacieli da soli non fanno la felicità. Per diventare una meta serve un contenuto
Il Louvre Abu Dhabi è concepito come una medina ricoperta da una cupola di 180 metri di diametro, composta da circa 8mila stelle metalliche intrecciate Napoleone andava in Egitto e portava a casa sarcofaghi e sculture egiziane. Se avesse potuto si sarebbe portato via le piramidi; mancanza che i francesi hanno poi colmato chiamando l’architetto Ieoh Ming Pei a costruirne una in vetro, come entrata del Louvre. Intanto, mentre Bonaparte andava in Egitto, i lord inglesi partivano per la Grecia e tornavano a casa con marmi, bronzi e fregi ellenici. Su queste razzie è stata costruita gran parte delle collezioni di musei colossali come il Louvre e il British Museum. Oggi in qualche modo il trend si è invertito. Non tanto gli egiziani o i greci,
messi economicamente non troppo bene, ma gli emiri arabi arrivano nei templi della cultura occidentale, spesso con i conti in rosso, e in cambio di enormi cifre chiedono di portare nei loro deserti parte dei tesori di questi musei. Gli emiri, pur simpatizzando a volte con la furia iconoclasta dei fanatici, sanno bene che l’arte è una calamita unica per avere visibilità e attrarre clienti in luoghi attraversati no a poco tempo fa esclusivamente da carovane di nomadi, poco avvezzi al collezionismo e più interessati alla natura e ai suoi misteriosi poteri. Uno dei poteri che la natura aveva nascosto per molto tempo ai beduini sognatori è stato l’olio nero, che una volta scoperto ha trasformato il nomadismo in imprenditoria, e quindi creato la necessità di dare identità a luoghi precisi attraverso l’architettura, il mercato dei beni di lusso, lo sport e, ovviamente, l’arte. Ma quale arte?
La cultura dei nomadi, per quanto ricchissima e antica, storicamente non ha mai creato artefatti artistici di troppo rilievo, e quindi agli emiri si poneva il problema di trovare da qualche parte oggetti circondati da un’aura di mito e di culto che potessero diventare un’attrazione sia per le nuove popolazioni locali che per i nuovi nomadi globali, che sulle rotte del commercio contemporaneo e del turismo si sarebbero fermati a Dubai, ad Abu Dhabi o a Doha. Così è venuta a qualcuno l’idea non solo di prendere in prestito le opere dei musei occidentali, ma di costruire addirittura luoghi ad hoc per contenerle. Si è quindi venuta a creare una forma di colonialismo museale, o − con un termine meno negativo − un franchising SHIVA DANZANTE Asia, seconda metà del X secolo. Fusione in bronzo a cera persa, Sopra, i giochi di luce prodotti dalla cupola del nuovo Louvre di Abu Dhabi dei musei occidentali. L’idea di af ttare nome e contenuto di un museo di qualche altra città non è però venuta a un emiro, ma a quello che negli Anni 90 fu il Napoleone dei direttori di museo, l’americano Thomas Krens, nito poi anche lui − un po’ come Napoleone − se non a Sant’elena in qualche sperduta città della Cina. Prima di nire in disgrazia, Krens è riuscito a inventarsi un modello che poi si è diffuso.
Nel 1991 proprio Thomas Krens rmò un accordo con il governo basco per cui il Guggenheim, in cambio di molti soldi, avrebbe costruito e gestito una sua sede a Bilbao. Fu chiamato il grande architetto canadese Frank Gehry e nel 1997 il fenomenale edi cio fu inaugurato: oggi ha più di un milione di visitatori all’anno. Questo successo spinse Krens a fantasticare, immaginando succursali del suo museo in ogni parte del mondo, Emirati Arabi Uniti compresi. Nel 2006 Abu Dhabi rmò quindi un accordo con il Guggenheim, sempre disegnato da Gehry, per un museo che avrebbe non solo mostrato le collezioni o le mostre della casa madre di New York sulla Quinta strada, ma anche costruito una collezione attorno alla cultura e all’arte islamica. A oggi, però, la costruzione è stata sospesa principalmente per motivi economici, ma anche per una serie di polemiche da parte di curatori e artisti sui gravi abusi subiti dai lavoratori impegnati nella costruzione del museo.
Dopo aver capito che il modello Krens poteva funzionare, e per spirito di emulazione, nel 2007anche il Louvre ha rmato un accordo con Abu
Dhabi per la costruzione di una suo satellite. Questa volta l’architetto era Jean Nouvel*, archistar francese. Il design del museo ricorda quello di una moschea, anche se poi il suo contenuto con la cultura islamica forse non avrà troppo a che fare. In ogni caso, mentre gli americani si arenavano in mezzo alle sabbie del deserto di Dubai i francesi, pur con enormi ritardi, sono riusciti a portare a termine l’impresa e l’11 novembre − il buon gusto ha voluto che non fosse l’11 settembre − il museo inaugurerà, pare con la presenza del neopresidente Macron. In mostra più di 600 opere, molte in prestito dal Louvre, non poche acquistate dall’emirato stesso con l’aiuto dei francesi. Si spazierà dai bronzi antichi all’arte contemporanea, passando dagli argenti islamici. Il direttore del museo, alla faccia della ne dell’imperialismo, è francese pure lui, Manuel Rabaté, 41 anni.
Al di là dell’ottimismo dei responsabili della cultura francesi, come Jean-françois Charnier, direttore scienti co dell’agence France-muséums, che negano ogni divieto da parte delle autorità e delle leggi locali rispetto alla rappresentazione del nudo, nella pittura o nella scultura, sacre o meno, vedremo come reagirà l’emirato davanti alle opere prestate, per esempio di fronte al seno scoperto della Libertà che guida il popolo, famosa tela di Eugène Delacroix del 1830, se mai verrà prestata. Infatti la questione è un po’ questa: sarà possibile trapiantare l’arte dell’illuminismo in una cultura ancora in gran parte regolata dall’oscurantismo? Non è chiaramente un nostro problema.
Interessante invece, alla luce di questo innesto alieno del Louvre ad Abu Dhabi, ricordare il Qatar. Che, a parte gli ultimi recenti guai con l’arabia Saudita, ha seguito tutt’altra strada, anche se non meno ambiziosa. Anziché importare brand museali occidentali ha preferito infatti far razzia di centinaia di capolavori dell’arte, pagandoli cifre impensabili per poi − in futuro − sistemarli in una serie di musei disegnati, questi sì, dalle star dell’architettura mondiale, dal solito Jean Nouvel a Rem Koolhaas. Non solo: il primo museo costruito è stato quello di Arte Islamica disegnato dallo stesso architetto della piramide del Louvre, Ieoh Ming Pei. Insomma, a Doha uno sforzo per costruirsi un’identità viene fatto, anche se con molte contraddizioni, mentre negli altri Emirati si preferisce rimanere scalo, ora aereo e ora artistico.
Chi sceglierà quali opere mostrare nelle sale del Louvre nel deserto? I francesi. Che si dicono certi della propria, autonomia. Eppure rimane un dubbio: come reagirà la cultura locale di fronte alla rappresentazione del nudo?