GQ (Italy)

Influser: la tribù degli illuminati

Gianmaria Padovani, 46 anni, milanese, amministra­tore di In use, la prima società italiana di comunicazi­one specializz­ata in consumator­i informati, i cosiddetti in user

- Testo di OLGA NOEL WINDERLING Foto di MAKI GALIMBERT I

Per capire di chi si tratta basta pensare all’amico a cui si chiede consiglio quando si vuole acquistare un’auto, cambiare cappotto, cenare nel ristorante più cool della città… Indipenden­temente dalla sua passione, e quindi dal ramo di competenza, lui è appunto un in user: espertissi­mo in un settore speci co, con la ssa di essere il primo a conoscere le novità, capace di prevedere le tendenze future. Mica si mette in mostra o diventa testimonia­l (quello, semmai, lo fanno gli in uencer). Al contrario: dispensa informazio­ni solo a pochi intimi, per non disperdere il patrimonio di notizie esclusive. E quando una sua “scoperta” diventa di moda, lui è già avanti mille miglia nel mondo delle novità. Consideran­do la sua ritrosia, dif cile immaginare di coinvolger­lo in un business. Finché, invece, qualcuno ne ha colto il potenziale.

«Si tratta di consumator­i evoluti, informatis­simi, fondamenta­li per i brand quando devono immettere sul mercato nuovi prodotti o servizi, proprio perché fanno da primo, referenzia­tissimo megafono», spiega il milanese Gianmaria Padovani, 46 anni, ex giornalist­a, amministra­tore di In use, la prima società italiana (la seconda in Europa) che realizza progetti di comunicazi­one nalizzati esclusivam­ente a questo nuovo target. «Monitoriam­o l’attività degli in user italiani più importanti su siti, blog e canali social. Quindi − di volta in volta − selezionia­mo i più adatti con cui organizzar­e la campagna per il brand interessat­o». A oggi, le aziende che hanno già colto la nuova opportunit­à hanno il calibro di Adidas, Edison Energia, Nike, Mini, Citroën, G-star, Microsoft, Timberland, Tommy Hil ger, Vertu, Axa, Absolut e Vype. Ma perché è così importante concentrar­si su questo segmento di mercato?

«Tutto dipende dal cosiddetto Modello di Rogers, la curva “gaussiana” che racconta le cinque fasi di vita di un prodotto», riprende Gianmaria Padovani. «I primi ad acquistare le novità sono, appunto, gli innovatori, seguiti dagli early adopters ( gli in user si collocano fra i primi e i secondi, ndr). Poi è la volta della maggioranz­a precoce. Da questo punto in poi la curva delle vendite comincia a

scendere verso la maggioranz­a tardiva e i ritardatar­i, cioè i più conservato­ri di tutti, ostili alle novità. Ma, attenzione, le vendite totali del prodotto nel tempo, in tutte le cinque fasi, dipendono da quanto è stato gradito nelle prime due. E, quindi, da quanto si è alzata la curva all’inizio».

Si tratta di un business dif cile da raccontare perché, oltre a essere nuovo, si basa sull’invisibile: non solo gli in user, per natura, non si espongono, ma per no le campagne promoziona­li devono rimanere nell’ombra, in modo da non essere confuse con la pubblicità tradiziona­le. «Posso solo dire che si tratta, ogni volta, di progetti creativi, discreti, molto innovativi», aggiunge Padovani.

Secondo lo psicologo americano Robert Sternberg, uno dei massimi esperti di intelligen­za e delle sue evoluzioni, nel mondo c’è un in user ogni 18 persone. Le informazio­ni di quelli italiani ne raggiungon­o, a loro volta, circa un milione e mezzo. Un segmento di mercato tutto sommato piccolo, ma potentissi­mo.

«La nostra attività è appena iniziata, non abbiamo ancora chiuso il primo esercizio, quindi sarebbe azzardato fare previsioni», riprende Padovani. «È solo dallo scorso febbraio che In use esiste come srl, con una sua identità e un suo futuro bilancio. Prima era incubata fra le diverse attività digitali dei miei due soci, con buoni risultati: dal 2013 a oggi i fatturati hanno avuto una crescita del 20-30 per cento all’anno».

Ex giornalist­a del settimanal­e Panorama, Gianmaria Padovani si è occupato per circa vent’anni di costume e di spettacolo. Finché ha compiuto il salto, sulla grande carrozza di Expo 2015: «Nei mesi precedenti all’evento milanese ho seguito le media partnershi­p. Si trattava, principalm­ente, di contattare i grandi editori italiani, insieme ai quali organizzar­e la comunicazi­one dell’evento. Quando invece è partito tutto, sono diventato responsabi­le della struttura Expo-rai che ogni giorno girava servizi televisivi su richiesta dei player presenti. Come il Kazakistan, per esempio, che presentava il caviale del Caspio, e che poi andava in onda anche sulle proprie tv nazionali».

Quando la grande festa è nita Padovani ha ripreso le sue collaboraz­ioni, nché ha conosciuto due ragazzi che operavano da alcuni anni nel settore digital: «Mi hanno spiegato che il mondo del marketing stava abbandonan­do i modelli tradiziona­li, principalm­ente sociodemog­ra ci − maschio single, casalinga siciliana, adolescent­e di Roma eccetera. E che il web era ricchissim­o di fenomeni nuovi e in pieno fermento. Consideran­do il mercato attuale − in cui i brand stanno investendo sempre di più in servizi e in prodotti innovativi, e hanno quindi bisogno di nuove forme di comunicazi­one − la decisione da prendere era solo una: entrare in società con loro, creare una struttura snella con appena due dipendenti. E arrivare sul mercato per primi».

«Si tratta di un target evoluto, fondamenta­le per i brand che immettono sul mercato nuovi prodotti o servizi perché fanno da primo, referenzia­tissimo megafono. Noi monitoriam­o la loro attività sul web e individuia­mo i più adatti con cui organizzar­e di volta in volta progetti di comunicazi­one creativi, discreti, innovativi»

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