Una giornata con la leggenda
In un parco fuori Lubiana, qualcuno ha piazzato delle code di balena a grandezza naturale proprio in mezzo al prato, nell’atto di immergersi nell’erba. C’è pure una siepe di polistirolo a forma di aquila, creata dagli scenogra di uno spot che si sta girando qui. E un regista tedesco con una gamba ingessata che urla ordini da una sedia a rotelle, nito così, si dice, dopo una burrascosa riunione operativa con Chuck Norris, protagonista della campagna dedicata ai veicoli professionali Fiat. E ovviamente c’è Chuck Norris in persona, con indosso un kimono da karate e la magliettina della salute sotto, che per chiacchierare con GQ sceglie di sedersi su una macchinetta da golf. Sua moglie Gena, una meravigliosa e proattiva cinquantenne, lma la chiacchierata e ride moltissimo. Pare che la signora soffra di molteplici allergie, circostanza contro la quale neppure Chuck Norris, che tutto può, è stato in grado di far nulla. Prima d’installarsi sul set ha ordinato che il caravan della produzione venisse sani cato, così come la camera del Grand Hotel Union che li ospita, la stessa dove ha dormito Vladimir Putin nella sua visita uf ciale in Slovenia. Chuck parla con l’accento marcato dell’americano del sud, e ogni tanto spara forme grammaticali al limite della riga rossa, come un discutibile doppio comparativo di maggioranza, more busier
, quando racconta di non essere tipo da lavori domestici. «Le arti marziali hanno sempre occupato tutto il mio tempo» dice, con questi denti bianchissimi sulla faccia un po’ arrossata, una voglia di ridere contagiosa, e i capelli forse un po’ posticci che tirano al carota. «Ogni ora della mia vita l’ho passata ad allenarmi, insegnare, combattere».
La cosa che lo rende più felice al mondo è essere approcciato con una nta mossa di Kung Fu alla quale rispondere con una vera mossa di Chun Kuk Do, l’arte marziale che s’è inventato da zero, accompagnata da un decalogo esistenziale. Dimentica gli errori del passato, recita il punto due, e pensa a più grandi conquiste per il futuro. Anche Chuck Norris, insomma, sbaglia: «Ovvio» dice, d’un tratto serissimo, con gli occhi che in effetti, all’occorrenza, sanno raccogliere in sé una certa carica aggressiva, «ma di errori gravi, anche se mi sforzo, non me ne viene in mente neppure uno».
Si de nisce autoindulgente. Uno che di rado, e con fatica, chiede scusa. «Per piangere, nei lm, utilizzo una contro gura», sghignazza. Confessando però di aver frignato come un bambino guardando Il miglio verde
, pellicola del 1999: tecnicamente, Norris non si commuove da diciotto anni. «Ma ha pianto al nostro matrimonio», interviene la moglie.
Ha girato trentatré lm d’azione, scritto libri politici e di self coaching, prodotto e interpretato otto
Walker Texas Ranger stagioni di e da dieci anni è un
Facts eroe di Internet, grazie alle migliaia di , storielle che
Ha insegnato a tirare calci a Bruce Lee. Vorrebbe far nero Kim Jong-un. Certo, cuore permettendo
alimentano la sua leggenda: Chuck Norris ha costruito con le proprie mani l’ospedale nel quale è nato, recita uno. Chuck Norris ha fatto fare alla morte un’esperienza di pre-chuck, un altro. Ultimamente, ne è girato uno persino sul presunto doppio infarto che l’avrebbe colpito lo scorso luglio, circostanza mai confermata dall’entourage: il cuore di Norris ha troppa paura per poterlo attaccare. L’unica cosa che non sa fare, è predire il futuro: «Durerà un paio di mesi», disse quando esplose il fenomeno. Voleva denunciare i primi che si divertivano col suo machismo, follia evitata grazie dall’intervento di Mike, il maggiore dei suoi gli: «Papà, sarà la tua fortuna».
Se non viaggia, Norris passa le giornate in palestra nel suo ranch di Navasota, Texas. Quattro ore al giorno di cardio, arti marziali e tanta Totalgym, una panca che allena tutto il corpo. Ha anche un lato romantico, scopriamo, espresso quando lavorava per un’azienda produttrice di aeroplani: scrisse un libro di poesie dedicato ai colleghi, versi di fratellanza che in fabbrica lo resero popolarissimo. «Chuck è misterioso. Parla poco e ti lascia lì a scervellarti su cosa gli passi per la testa», lamenta Gena. E il bello, dice lui, è che per la testa di solito non gli passa un bel niente: «L’importante, è far credere il contrario», e giù risate baritonali. Vedendolo in kimono, viene voglia di parlare di
L’urlo Bruce Lee, che l’ha lanciato a Hollywood con di Chen terrorizza anche l’occidente
e la sequenza di combattimento dentro al Colosseo. Giura che Lee, cresciuto con l’arte marziale del Wing-chun, non sa- peva tirare i calci alti. E senza possibilità di smentita, sostiene di averglieli insegnati lui: «Lo spinning heel kick, il calcio girato di tacco, l’ha imparato da me».
C’erano Norris e Steve Mcqueen a portare in spalla la bara del dio del kung fu, il 31 luglio del 1973, a Seattle: «L’avevo visto a Los Angeles quattro giorni prima di morire, dove s’era fatto visitare per alcuni svenimenti che l’avevano colpito a Hong Kong. C’era un aneurisma celebrare in corso, ma i macchinari dell’epoca non riuscirono a rilevarlo». Nessun mistero, dietro la morte della leggenda del kung fu. E nessun mistero dietro quella di suo glio Brandon
Il Corvo Lee, ucciso sul set de da una pallottola. «Era un glio», con da Chuck. «Ho fatto tutte le indagini, parlato con le contro gure e con la troupe: è stato un incidente assurdo, ma un incidente».
Nato nell’oklahoma il 10 marzo del 1940, all’anagrafe risulta registrato con un nome che fa molto più Chuck Norris, di Chuck Norris: Carlos Ray. Furono i commilitoni alla Lockland Air Force base di St Antonio, nel 1958, a ribattezzarlo così, «ma familiari mi chiamano ancora Carlos». Dice di avere sul corpo poche cicatrici, perché le cicatrici sono da ghetti, roba da mostrare. Mi sono rotto soprattutto ossa, mai una costola però», sottolinea ero, «e in ogni caso, le mie ossa hanno paura di dirmelo, quando si fratturano».
Ha imparato le arti marziali in Corea, quasi 60 anni fa. E oggi, coi missili di Kim Jong-un che sibilano sul Giappone, nuovi venti di guerra sof ano su quei Paesi familiari. Norris rimane un repubblicano di ferro, con uno spirito che non cala neppure alla soglia degli 80 anni: «Fossi Trump, interverrei all’istante». In a damn minute
, dice. In un maledetto minuto. Con una sola, ultima domanda da fare a questo uomo d’acciaio, gli chiediamo se gli piaccia la soia. «Soia... Mmhh, non so cosa sia». Ed ecco intervenire Gena, a sostenere che la soia, negli uomini, intacca il testosterone. «Ah, allora no!», fa Chuck Norris. «Io mangio solo cose che fanno felice mia moglie».