GQ (Italy)

GIÙ LE MANI DA COLOMBO

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Uno schiavo nero vale tre quinti di un bianco libero. Così, con brutale concretezz­a, scrissero i padri fondatori nella Costituzio­ne degli Stati Uniti 230 anni fa, quando si trattò di stabilire come conteggiar­e gli schiavi nella popolazion­e dei vari Stati, specie quelli del Sud, per distribuir­e seggi in Parlamento e carichi scali. Un documento oggi considerat­o sacro, la Costituzio­ne americana. Ma scritto da uomini che non vedevano grande contraddiz­ione tra sentirsi paladini della libertà dalla madrepatri­a inglese e possedere esseri umani. Per quanto annullata dagli emendament­i seguiti alla guerra civile, questa frase sta ancora lì, con ccata nel cuore del testo. Schiavitù e discrimina­zione razziale sono le macchie originarie del “grande esperiment­o” dell’autogovern­o popolare americano. Macchie non ancora cancellate del tutto. Disoccupaz­ione, emarginazi­one, povertà: i neri sono ancora lontani dalla parità con i bianchi. Ma non è abbattendo monumenti che si sanano le ingiustizi­e struttural­i di un Paese. Da alcuni anni negli Stati Uniti è di moda un revisionis­mo storico a mezzo di bulldozer. Statue dei leader della confederaz­ione sudista vengono rimosse, parchi e piazze a loro intitolati vengono rinominati. È vero che molti dei monumenti a generali e politici confederat­i vennero eretti negli Anni 50, in reazione al movimento per i diritti civili. Ma sperare di cancellare materialme­nte un’epoca storica, oltre che ingenuo, rischia di essere controprod­ucente, anche solo perché offre all’estrema destra razzista occasioni d’oro per atteggiars­i a protettric­e della memoria nazionale.

Debordando nel parossismo, la guerra delle statue è arrivata a prendere di mira persino Cristoforo Colombo. Monumenti al navigatore genovese sono stati distrutti, imbrattati, decapitati, danneggiat­i in diverse località degli USA. A New York, il sindaco Bill de Blasio sta studiando la rimozione della statua che domina e dà il nome a Columbus Circle, uno dei luoghi-simbolo della città, all’ingresso principale di Central Park.

Scoprendo l’america, Colombo aprì la strada all’epocale scandalo della schiavitù atlantica, al genocidio delle civiltà indigene del Nord e del Sud, allo sfruttamen­to coloniale: questi i capi di imputazion­e. Indubbiame­nte Colombo viaggiò alla ricerca di ricchezze da offrire ai monarchi spagnoli che lo “sponsorizz­arono”; indubbiame­nte non aveva alcuna obiezione di principio alla schiavitù, che a quell’epoca era pratica corrente in tutto il Mediterran­eo (anche nei confronti dei bianchi); indubbiame­nte catturò e vendette personalme­nte schiavi e governò con pugno di ferro − usando metodi che oggi appaiono crudeli − le colonie caraibiche che gli vennero af date, come dimostrano documenti ritrovati di recente. Ma prendersel­a con le sue statue e abolire la tradiziona­le festa ita

Columbus Day lo-americana del ,

Insostitue­ndolo con un polemico digenous Peoples’ Day

, come hanno fatto alcune municipali­tà americane, non signi ca fare giustizia, ma solo sfogarsi contro un fantasma. Oggi, quanti dei grandi uomini della storia reggerebbe­ro l’esame degli standard di civiltà e di umanità attuali? Non ci resta dunque che armarci di ruspa e compiere una vera e propria ecatombe di gran parte dei monumenti che costellano strade, piazze, parchi delle nostre città?

Le scoperte di Colombo ebbero conseguenz­e catastro che per gli indigeni americani, ma innescaron­o le gigantesch­e trasformaz­ioni storiche che hanno portato alla modernità. Se davvero si vogliono superare errori e orrori del passato, occorre comprender­lo per ciò che è stato, trarne lezione e poi agire nel profondo del presente. Non certo prendersel­a con statue che non possono nemmeno difendersi.

* Scrittore, giornalist­a, è corrispond­ente Rai da New York. Ha insegnato Storia degli Stati Uniti all’università di Bergamo.

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