Liam Gallagher
Le liti, il calcio, le band. E ora il primo disco da solista
Non fa una piega. Valtteri Bottas sembra proprio un ragazzo in ordine anche se per nulla ordinario. Lindo e impeccabile nelle espressioni, nei modi. Un sorriso facile, una educazione proverbiale, nessuna concessione all’emotività, a gesti scomposti. In perfetta opposizione al suo partner, al suo doppio da corsa, Lewis Hamilton: «È vero, siamo completamente diversi. Ma siamo due persone e ogni essere umano ha le proprie caratteristiche. Ciò che conta è che questa diversità non limita il rispetto reciproco. Lavoriamo vicini, lavoriamo insieme. E lo facciamo, credo, nel migliore dei modi».
Il loro ufficio è itinerante: box dei circuiti del Mondiale F1. Datore di lavoro: Mercedes. Vale a dire un colosso del motorismo, reduce da tre titoli filati, obbligato quest’anno in un testa a testa attesissimo e scomodo con la Ferrari. Dentro il quale proprio lui, Valtteri, sta guadagnandosi il ruolo di protagonista inatteso. Un cambiamento di status che lo ha messo in crisi raramente: «Ho trovato una macchina molto lontana da ogni altra e, soprattutto, un gruppo di lavoro abituato a vincere, sintonizzato su livelli di competitività assoluti. Dunque, per me si è trattato all’inizio di prendere confidenza e poi di migliorare facendo attenzione a una quantità di dettagli. Del resto, se vuoi puntare in alto, be’, non esistono alternative. E io devo farlo, consolidando il rendimento in continuazione».
Ha impiegato quattro corse per ottenere la sua prima vittoria in assoluto, Sochi, Russia, 30 aprile 2017; altre cinque per il bis, in Austria, 9 luglio. Trasformando così una stagione da gregario conclamato in un decollo vero e proprio, con tanto di candidatura al titolo iridato. Un’ipotesi che lui stesso ha considerato possibile, avallata dalle intermittenze di un compagno tanto forte quanto distratto, sostenuta dal suo boss e mentore: Toto Wolff.
«In Formula 1 possono accadere molte cose da un momento all’altro. Ho cercato di fare tutto il possibile per dare soddisfazione al team e a me stesso. Ho compiuto qualche errore in gara, penso di aver lavorato bene in qualifica, le relazioni dentro la squadra sono cresciute sempre».
Chiamato a sostituire Nico Rosberg, fresco campione del mondo deciso ad abbandonare le corse, Bottas somigliava più che altro a un ripiego, a un raccomandato. Del resto, il suo curriculum sino alla fine del 2016 non è che fosse strepitoso: 77 Gran Premi, tutti con la Williams (debutto Australia 2013), due secondi posti, IDILLIO La Mercedes AMG F1 M08 EQ Power+, che guida Valtteri Bottas. Il pilota ha appena confermato il contratto con la scuderia tedesca per tutto il 2018. sette terze piazze, tre partenze in prima fila, 5 giri in testa. Il tutto dopo un lungo apprendistato nelle formule minori, chiuso con una bella affermazione nel campionato GP3 2011. Forte, certo, capace di prestazioni di primissimo ordine, ma anche di scivolate in un’ombra meno decifrabile. È il suo cruccio, un limite da togliere di mezzo a razzo. Di lui si parlò come possibile sostituto di Räikkönen alla Ferrari − finlandese come Valtteri, poco affine a Valtteri − ipotesi tramontata rapidamente. Sino a quando il ritiro clamoroso di Rosberg non l’ha trasformato nel pilota più osservato e invidiato dell’intero Mondiale. Lui? Neanche una piega, appunto. Diligente e cocciuto, portatore di una grinta, abbinata al talento, invisibile all’apparenza eppure resistente a un ruolo così difficile. Ma sì, perché in tanti abbiamo scommesso su un destino gramo, tritato − ecco − dalla ferocia di Hamilton, dallo stress che si respira in alta quota, dalle debolezze di una personalità in apparenza, solo in apparenza, non attrezzata per sguazzare in quell’inferno.
È nato a Nastola, a nord di Helsinki, il 28 agosto 1989, figlio di Rauno, classe 1962, e Vanessa Välimaa. A Nastola torna ogni estate, compresa l’ultima, come fanno i bravi adolescenti quando viene il momento di trascorrere le vacanze in famiglia: «La verità è che resto affezionato ai miei luoghi, alle atmosfere della mia infanzia. La Finlandia, quei boschi e quei laghi sono i posti del cuore, per me». Si è sposato un anno fa, il 10 settembre 2016, a Helsinki, chiesa di San Giovanni, con la fidanzata − storica ovviamente − Emilia Pikkarainen, nuotatrice con tanto di curriculum olimpico: amici intimi e Mika Häkkinen, campione del mondo 1998 e ’99, nel ruolo di autista nuziale.
Della sua vita privata si sa poco o nulla, salvo una precoce passione per l’hockey (Finlandia, del resto, dove l’hockey è un passatempo quasi obbligato). E per il tiro a volo: «È una disciplina che mi attrae, fatta di allenamento e concentrazione». Il resto: velocità di esecuzione, di reazione, di percorrenza. Evitando di mostrare i propri sentimenti, di esternare le proprie emozioni. Bottas? Impeccabile, identico a se stesso, quando vince, quando va male. «Non ho mai letto un libro in tutta la mia vita». Ecco, persino ingenuo, più sincero del previsto.
Non è un personaggio. È consapevole, al netto della classifica e delle dichiarazioni ufficiali, di viaggiare dentro un’avventura che gli riserverà altre opportunità. Può
«In Mercedes ho trovato una macchina unica e un team abituato a vincere. Ho dovuto solo migliorare, facendo attenzione ai dettagli. Se punti in alto non hai alternative. E io DEVO FARLO, consolidando il rendimento di continuo»
cedere strada ad Hamilton senza protestare (l’ha fatto, platealmente in Ungheria, per poi ricevere identico favore dal suo capitano all’ultimo giro), rispettando una gerarchia naturale e guadagnandosi diritti futuri; potrà continuare ad accumulare soddisfazioni e stima collettiva lavorando per il team più competitivo in circolazione. Guadagnando come mai in passato, lanciandosi comunque in una stratosfera da pochi eletti.
La sua vicenda umana, certamente fortunata, ribadisce un quesito vecchio quanto la storia delle corse. Perché è probabile che altri, nei suoi panni, avrebbero potuto compiere un percorso simile o persino più felice. Piloti di talento, come la stragrande maggioranza dei suoi colleghi in Formula 1, che sbocciano una volta piazzati dentro una macchina vincente. Al contrario di chi, forte o fortissimo, si trova tra le mani una vettura di medio o basso livello. Forse è vero che è la tecnica, ormai, a generare ogni differenza. Ma questo è un discorso che non porta in nessun luogo.
Bottas sta sfruttando la sua occasione, semplicemente, usando peraltro testa e cuore. Di certo ha colto l’attimo. E per cogliere questo tipo di attimi serve un repertorio complesso e raffinato. Non solo: una volta sotto pressione, questo pilota che pare un bravo bambino ha mostrato di riuscire a spostare la propria soglia in avanti, a più riprese. Significa che i limiti di Bottas non li conosce ancora nessuno. Forse nemmeno lui.