GQ (Italy)

Cinque anni e smetto

Dice MASSIMILIA­NO ALLEG R I: «Ne ho cinquanta, sono quasi alla ne. Mi diverto a insegnare in campo, ma se la magia svanisce non ha senso». Però per la poltrona di Ct della Nazionale è pronto a fare un’eccezione: «È un motivo d’orgoglio»

- Testo di SANDRO VERONESI Foto di LORENZO BRINGHELI

Due volte, in due tempi diversi, approfitto della disponibil­ità di Massimilia­no Allegri per fargli le mie domande, e due volte sta per partecipar­e a un evento benefico di calcio giovanile, anzi calcio di bambini. Questo dice già molto di lui. Molto dice anche il fatto che questi due eventi avessero luogo uno a Livorno e uno a Pescara – è come la risposta a una domanda su dove batte più forte il suo cuore. Dopo un’estate nella quale Allegri è stato la manna dei paparazzi, fa strano constatare che nemmeno una delle foto che gli sono state fatte lo ritraggano come a me è capitato due volte di vederlo, circondato di bambini emozionati e genitori speranzosi. È strano, sì, che ci sia gente per la quale questo suo attaccamen­to al piccolo calcio non è importante. Secondo me invece è decisivo per farsi un’opinione di uno degli allenatori più anomali del calcio mondiale – anomalo perché vincente e allo stesso tempo, però, normale. Niente ossessioni, per lui, niente rabbia proletaria o boria mediatica: un pastore di eventi, piuttosto, che non si avvelena la vita nel tentativo di determinar­li, ma che è diventato bravo ad amministra­rli così come il destino glieli apparecchi­a. Ed è fatale che uno così si trovi bene tra i bambini. Qual è stato il momento nella tua vita in cui hai capito che ce l’avevi fatta, che eri uscito dal mucchio? «Allora, qui c’è da dire una cosa: io per molti anni ho cazzeggiat­o, ma cazzeggiat­o veramente. A Livorno, poi, l’arte del cazzeggio è un lavoro. Finché, nel ‘91-92, mi chiama il Pescara e incontro Galeone. Lì capisco che devo lasciare da parte il cazzeggio e fare una roba seria. Finì che si vinse il campionato, l’anno dopo in serie A feci 12 gol, fui l’uomo-mercato insieme a Francesco Dell’anno… Poi andai a Cagliari, e lì ci furono un po’ di misunderst­anding,

ma alla fine però dico lo stesso: “Per fortuna andai a Cagliari”. Lì trovai un gruppo storico, Cellino era alle prime armi, io ero una mezz’ala e loro mi presero per fare il mediano, e alla fine feci due anni e mezzo buoni ma non eccelsi. Però io in quel periodo lì ho pensato, per dirti come sono fatto, che se c’era un presidente che mi avrebbe fatto fare l’allenatore in serie A era proprio Cellino. E quando allenavo il Sassuolo, e stavamo vincendo il campionato per andare in serie B, io dissi tra me: “L’anno prossimo alleno il Cagliari”. Me lo sentivo, capisci? Sicché alla fine tutto mi ha fatto bene perché dopo la grande stagione a Pescara, quando potevo andare in una grande squadra, alla fine invece finisco a Cagliari dove trovo un presidente che è un genio, perché Cellino per certe cose è un genio, e che anni dopo mi darà la possibilit­à di allenare in serie A. Per dire che le cose poi alla fine tornano…». Dunque te ce l’avevi già chiaro in testa di fare l’allenatore, quando giocavi? Ti garbava già? «Ma sì, anche se poi si diceva che litigavo con gli allenatori, mentre in realtà io non litigavo con gli allenatori, avevo solo delle discussion­i tecniche e tattiche con i miei

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