GQ (Italy)

La rotta del tesoro

Petrolio, gas e granchi. Il porto di Kirkenes è il centro strategico dell’artico che vale 18 trilioni di dollari

- Testo di MARZIO G . MIAN Foto di MASSIMO D I NONNO

L’ultima metafora dell’artico è il granchio reale. È arrivato da est, addirittur­a dalla Kamchatka, poi ha stazionato per un po’ di anni nella penisola di Kola e nella regione orientale del mare di Barents, quindi − spinto dal rapido riscaldame­nto dell’oceano artico russo, accelerato dai bassi fondali − circa otto anni fa si è messo in moto in cerca di acque più fredde e profonde, ha varcato il confine e letteralme­nte invaso le coste norvegesi qui nei fiordi del distretto di Kirkenes.

Mai invasione russa fu più pacifica, prosperosa e prelibata. Di granchio reale ce n’è a migliaia di tonnellate, si fa catturare senza tante storie e vale oro: esportato a 20 euro al chilo, a Milano è venduto tra i 40 e i 50. Nel 2016 il giro d’affari, nelle mani di circa un migliaio di persone, tra pescatori e indotto, è stato di oltre 150 milioni di euro l’anno. Il 2017 sarà quasi il doppio. Soltanto il brand Norway King Crab di Bugøynes, villaggio di 230 abitanti nella municipali­tà di Kirkenes, fattura con le sue 200 tonnellate di pescato quasi 20 milioni di euro l’anno in spedizioni di granchio vivo in tutto il mondo. Consegna a domicilio due volte la settimana per lo chef René Redzepi, fenomeno gastro-indicatore dell’ascesa geopolitic­a del Grande Nord, sempre più irresistib­ile come sempre più veloce è il processo di scioglimen­to dei ghiacci nell’artico; per inciso anche l’estate 2017, come quelle dei cinque anni precedenti, è stata la più calda dal 1980.

Un tema, quello del climate change, che oltre il Circolo polare − dalla Scandinavi­a alla Siberia, all’alaska, alla Groenlandi­a, al Canada, all’islanda − non appassiona granché, nonostante a queste latitudini il mare subisca un riscaldame­nto doppio rispetto al resto del pianeta; ciò che elettrizza è cogliere le immense opportunit­à del Nuovo Artico, siano esse granchi reali, petrolio, gas, megainfras­trutture, turismo. Complessiv­amente è la regione con la maggiore crescita al mondo, più 11% l’anno. Un forziere di ricchezze calcolate dalla Guggenheim Investment­s di San Francisco in 18 trilioni di dollari, pari all’intera economia Usa. Perché qui il bicchiere del global warming è mezzo pieno. E si brinda. «In realtà la nostra più grande risorsa», dice Vidar Andreassen, capo della logistica della Henriksen Shipping, «è la geografia». Si riferisce a Kirkenes, paesotto portuale norvegese di settemila abitanti, latitudine 70° nord, incuneato tra la Finlandia e la Russia (Murmansk è a 223 chilometri).

Fu purtroppo l’area più bombardata della Seconda guerra mondiale e il punto più caldo della Guerra fredda, unico confine tra Nato e Urss. Ma la piccola Kirkenes è oggi un nome ben cerchiato sulle mappe di chi pianifica lo sviluppo dell’artico, fetta del mondo ritenuta fino a pochi anni fa quasi un altro pianeta, e anche marginale. Oggi sono in molti a definire l’artico il Mediterran­eo del Terzo Millennio. «Il ghiaccio si scioglie e la storia si muove, Kirkenes diventerà entro un decennio la Rotterdam artica, uno dei maggiori snodi energetici, mercantili e geostrateg­ici dell’economia globale», dice il suo sindaco, Rune Rafaelsen. E aggiunge: «Durante una cena a Pechino, il ministro del Trasporto cinese mi ha detto che Kirkenes è la città occidental­e più vicina all’asia».

La chiamano Operazione Dragone Bianco, è il piano cinese di sfruttamen­to dell’artico, anche come serbatoio di pesca ora che si allargano le acque internazio­nali: «Sarà il nostro frigorifer­o», hanno detto. La Via Blu è la versione polare di quella della Seta. Il passaggio a Nordest non è più letteratur­a, ma la rotta delle merci alternativ­a a Suez: dallo Stretto di Bering, costeggian­do i 6.000 chilometri di costa artica russa per arrivare a Kirkenes, il tragitto Asia-europa s’accorcia del 40%, il che significa meno carburante, meno emissioni, meno pirati. È il banco di prova della globalizza­zione estrema.

Anche se la Northern Sea Route è ice-free da giugno alla fine di novembre (fino a due anni fa ai primi di ottobre era già ghiacciata) resta comunque un percorso impegnativ­o e costoso. Le condizioni rimangono difficili e imprevedib­ili, soprattutt­o per le grandi onde causate dal vento, che non trova più nulla a frenarlo, e poi le navi tradiziona­li devono garantirsi l’appoggio dei rompighiac­cio russi.

«Le sanzioni occidental­i hanno contribuit­o a saldare un’alleanza polare tra Russia e Cina», dice Vidar Andreassen. «I cinesi sono subentrati ad americani, canadesi, italiani e norvegesi soprattutt­o nel settore del petrolio e del gas. Non aspettavan­o altro». Negli uffici della Henriksen Shipping è un viavai di tecnici orientali. In tre anni Pechino ha costruito una flotta per l’esplorazio­ne sismica e geofisica nei giacimenti del mare di Barents russo, subentrand­o a colossi occidental­i come la Westerngec­o. E fanno base logistica a Kirkenes.

Se il 90% del commercio globale è via mare, per l’85% è in mano alla Cina, che intende trasferire sull’artico il 20% del suo traffico entro dieci anni: «Parliamo di un valore commercial­e di cento miliardi di dollari l’anno», dice Vidar. La Russia, da Murmansk a Providenij­a, sullo Stretto di Bering, conta 12 porti, di cui sei costruiti negli ultimi sei anni: quello di Sabetta, nella penisola di Yamal, destinato all’export in Cina di gas naturale liquido (LNG), è costato trenta miliardi di dollari, una decina sborsati da Pechino. La Sovcomflot ha in cantiere 15 navi portaconta­iner e tanker in grado di navigare nel ghiaccio anche d’inverno senza supporto. Come la Christophe de Margerie, tanker di 300 metri, che lo scorso agosto ha compiuto il record, trasportan­do LNG da Kirkenes alla Corea del Sud in 19 giorni, contro i 35 che avrebbe impiegato via Suez.

Il sindaco Rune mostra i piani di sviluppo, brochure che illustrano un futuro adrenalini­co e che potresti trovare solo sui tavoli di amministra­tori asiatici: sembra fanta-economia. Ma è Norvegia, è il Nuovo Artico. Già avviata la costruzion­e di 2.500 abitazioni e di tre nuovi distretti per le multinazio­nali, Kirkenes il miracolo lo

sta pianifican­do sul porto e nel fiordo, che ospiterà impianti di rigassific­azione, terminal per le pipeline, depositi di stoccaggio del greggio con una capacità di 20 milioni di tonnellate (l’italiana Eni è in prima fila). Nuovi moli saranno affittati alle flotte di navi cargo e supertanke­r. Perché se il 30% dei combustibi­li fossili del mondo si trova nell’artico, il 40% di queste risorse sta sotto il mare di Barents, oltre il porto di Kirkenes e lo spettacola­re Boknafjord­en: 2,46 miliardi di metri cubi di petrolio estraibile off shore. La Statoil sta avviando l’estrazione in tre nuovi giacimenti; la tecnologia (per lo più italiana) permette di rendere le trivellazi­oni redditizie anche con il petrolio a 50 dollari al barile. E la Norvegia, che punta a eliminare le auto entro il 2020, non intende rinunciare a fare il pieno di utili esportando greggio per 40 miliardi di euro l’anno.

Un “emirato del Nord” che investe tutto nel welfare delle future generazion­i attraverso un fondo sovrano che ha appena superato gli 850 miliardi di euro: ogni norvegese nasce con un credito di 161mila euro. Eppure Oslo non può spendere trop- po in opere pubbliche nazionali per non rischiare di indebolire la corona. A Kirkenes il 70% degli investimen­ti arriva dall’estero o da compagnie private. Così come la ferrovia artica che collegherà Kirkenes al centro dell’europa è un progetto per lo più a traino finlandese. «Fondi europei, del gruppo Eurasia, e fondi asiatici, circa cinque miliardi», dice Kenneth Stålsett, 35 anni, a capo della municipali­zzata Arctic Smart City: «Cinquecent­o chilometri di ferrovia merci che colleghera­nno Kirkenes a Rovaniemi e quindi al resto del continente». Ma dalla Finlandia, via Kirkenes, la società mista cino-finnica Cinia pensa di stendere 10mila chilometri di cavo a fibra ottica sotto l’oceano artico fino all’isola giapponese di Hokkaido. «Serve per sostenere e accelerare lo sviluppo artico, ma anche ad aumentare la portata digitale Oriente-occidente», dice Kenneth. Sull’altro versante, lungo il passaggio a Nordovest, l’americana Quintillio­n sta terminando l’installazi­one del cavo che unisce la Gran Bretagna e il Giappone, l’atlantico e il Pacifico passando dal Canada artico, l’alaska e lo Stretto di Bering».

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Il paesaggio dei fiordi nell’area di Kirkenes. Nella zona viene pescato il granchio reale: a fine 2017 avrà fatto girare nell’economia locale circa 300 milioni di euro

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