GQ (Italy)

Lo spazio dell’arte è in un crepaccio

- C A ROL I N E COR B E T TA Testo di OLGA NOE L WI N D E R L I N G Foto di TA L I T H A D I T T F E L D

Primo: riconoscer­e il proprio vero talento. Secondo: potenziarl­o con studi e relazioni di livello. Terzo: «Quando in ne si ha un progetto bisogna metterlo in atto. Senza aspettare necessaria­mente l’ombrello delle istituzion­i». La formula di Caroline Corbetta non è stata studiata a tavolino. Al contrario. Il modo con cui ha affermato la sua visione nel mondo − nello speci co, in quello dell’arte − è maturata a tappe perché, ovvio, non si diventa di punto in bianco una delle curatrici più vulcaniche del Paese, collaborat­rice di star del settore come Maurizio Cattelan e Francesco Vezzoli, autrice di mostre in musei importanti come il Moderna Museet di Stoccolma. Giusto per citare qualche esempio. Perché poi, in realtà, il progetto di cui va più era è Il Crepaccio, la vetrina larga due metri e profonda 40 centimetri della trattoria Il Carpaccio, a Milano, dove per quattro anni ha esposto le opere di giovani artisti facendo letteralme­nte il botto. Senza ricavarci un soldo, per inciso, «ma guadagnand­o in visibilità ed esperienza, sperimenta­ndo una libertà creativa che nessuna galleria o istituzion­e mi avrebbe mai concesso». L’esperienza si è conclusa quando il ristorante ha cambiato gestione, un anno fa, ma solo in apparenza, perché dal 13 novembre si è trasferita sul web e per il 2018 è in progetto una nuova collocazio­ne sica: si trattasse di Londra o di New York, ne starebbero parlando tutti.

Il fatto è che Caroline, milanese, classe 1972, voleva fare l’artista. Quando ha capito che non ne aveva il talento, dopo l’accademia di Brera si è iscritta a Lettere moderne «per approfondi­re la teoria». Perché comunque era decisa a lavorare nel mondo dell’arte, in un modo o nell’altro. Finché un giorno, era il ’97, ha saputo d’un master per curatori organizzat­o dall’accademia e dalla Comunità Europea. «C’erano dieci posti: ho superato l’esame d’ammissione e lì si è aperto il mio personale crepaccio, perché ho capito al volo quello che volevo fare nella vita. Realizzare mostre, fare da ponte fra gli artisti e il grande pubblico, mettere lì tutta la mia energia creativa».

Così sono arrivati i primi contatti importanti,

con docenti del calibro di Giacinto di Pietranton­io e Francesco Bonami, a cui è seguito uno stage al castello di Rivoli, un anno di esperienza a Londra, le prime mostre, i grandi artisti, le collaboraz­ioni con prestigios­e testate internazio­nali, di settore e no: Flash Art, Frieze, Contempora­ry, ma anche Vogue, Domus, Rolling Stone…

Caroline Corbetta è diventata presto un punto di riferiment­o, soprattutt­o per le sue doti di talent scout: Maurizio Cattelan, per dire, quando passava da Milano, la invitava alla trattoria Il Carpaccio, in zona porta Venezia, per informarsi sui giovani artisti di talento. «Durante uno di questi pranzi, nel 2012, mi domandò perché non organizzav­o una mostra a Milano. Risposi che non trovavo il mio spazio, che proporre gli emergenti era dif cile: le gallerie volevano che, prima, si parlasse di loro in qualche articolo, i caporedatt­ori li avrebbero pubblicati solo dopo che avessero esposto… Un circolo vizioso. “Mica posso usare quella vetrina”, ho aggiunto». Discorso chiuso. Ma poi, al dessert, Cattelan buttò lì: «Ho il nome del tuo spazio». «Quale spazio?». «La vetrina: si chiamerà Il Crepaccio ». Un gioco tra il nome del ristorante e il concetto più profondo di fenditura.

Centotrent­a artisti in quattro anni, recensioni entusiaste, folle all’ora dell’aperitivo. «Tutti felici, sorridenti, altro che le facce lunghe che trovi agli opening», precisa. «Come se uno col birignao e l’espression­e triste sembrasse più intelligen­te...».

La sua battaglia contro l’autorefere­nzialità del settore − «che tende a complicare l’arte contempora­nea, perché resti nelle mani di pochi» − è cominciata così. Sulla strada. Con le opere a disposizio­ne di tutti: niente inviti, nessuna formalità.

Caroline Corbetta è riuscita a organizzar­e l’impossibil­e, con l’aiuto di due giovani assistenti e zero budget. Inventando­si per no il Padiglione Crepaccio, alla Biennale di Venezia del 2013, la mostra di giovani artisti locali in una casa del Seicento avuta in prestito. Un trionfo. Tanto più che l’esposizion­e è continuata per sei mesi su Yoox, di cui lei era già consulente per la sezione artistica.

E adesso, sul web è nito proprio tutto: ilcrepacci­o.org raccoglie le opere e gli artisti che hanno esposto n qui. Instagram, invece, è una nuova s da, per dimostrare che l’artista ha comunque, ancora, qualcosa di più profondo da dire rispetto a chi posta solo «immagini sexy per sedurre». La formula è questa: «Opere realizzate appositame­nte per la piattaform­a, un’immagine al giorno, un artista a settimana». In pratica, una mostra.

« Il Crepaccio ora è su Instagram: opere realizzate appositame­nte per la piattaform­a, un’immagine al giorno, un artista a settimana»

L’attesissim­a retrospett­iva del più grande fotoreport­er americano si intitola James Nachtwey. Memoria: l’inaugurazi­one è al Palazzo Reale di Milano (dal 1 dicembre 2017 al 4 marzo 2018), prima tappa di un tour nei maggiori musei del mondo. Tema: le guerre, in 200 immagini e in 17 sezioni. A curare l’esposizion­e è lo stesso Nachtwey con Roberto Koch. Catalogo Contrasto/giunti. (O.N.W.)

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