GQ (Italy)

La sindrome di Wes Anderson

Maniacale come d’abitudine, ha lavorato per due anni con mille pupazzi su 240 set

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Come funziona, l’ha spiegato Roman Coppola. Lui, Jason Schwartzma­n e Kunichi Nomura si infilano in una qualche discussion­e senza fine, una tazza di tè dopo l’altra. Finché Wes Anderson solleva la penna e prende nota. È fatta: il processo creativo è partito. Questa volta il metodo Anderson, notoriamen­te il più maniacale degli autori su piazza, ha prodotto L’isola dei cani (dal 17 maggio), Orso d’argento per la miglior regia al Festival di Berlino. Un’avventura di animali, di un’isola di spazzatura che diventa la loro prigione, dell’amore assoluto verso i classici giapponesi, di un ragazzino dal cuore principesc­o e senza paura, capace di cambiare il futuro. Una storia per adulti, prima ancora che per bambini.

È il nono lungometra­ggio del regista e il suo secondo di animazione, quello che spinge la tecnica dello stop motion un bel passo avanti: per generare l’azione, si usa riprendere i movimenti infinitesi­mali di oggetti in 3D; in questo caso venivano mossi 24 volte al secondo. Ci sono voluti due anni, una squadra di 670 persone, 240 set e 1.000 pupazzi, metà umani e metà animali. Ogni personaggi­o è stato replicato in 5 taglie (dalla XS alla XL), ogni singolo pezzo ha richiesto 16 settimane di manifattur­a, ogni cane è stato coperto di lana merino e alpaca per simulare il pelo. La scena più complicata? La preparazio­ne del sushi avvelenato, che va nel dettaglio del chicco di riso: solo per quella se ne sono andati due mesi.

Splendidam­ente affetto dalle sue ossessioni, Wes Anderson ha creato l’immaginari­o di un mondo futuro (ma come lo si sarebbe immaginato negli Anni 60, spiegano gli scenografi) facendo tesoro delle stampe di ukiyo-e del V&A Museum di Londra, delle pellicole di Akira Kurosawa (il sindaco Kobayashi che manda in esilio i cani ha i modi di Toshiro Mifune), di Godzilla e dei disaster movies giapponesi degli Anni 50 e 60. Nulla è mai lasciato al caso. Per dire: la spazzatura è stata modellata sulle foto di Edward Burtynsky e Chris Jordan e i giornali sulla spiaggia sono opera dei traduttori.

Se siete già stati colpiti dalla sindrome di Anderson, L’isola dei cani vi darà la botta di gioia finale. _ (Cristina D’antonio)

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L’isola dei cani, secondo film in stop motion di Wes Anderson (dal 17/5). Sotto, al centro, il cattivo della storia: il sindaco Kobayashi
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Tra le 22 celebritie­s che danno voce ai cani: Bryan Cranston (è Chief, qui sopra), Liev Schreiber, Edward Norton, Frances Mcdormand e Greta Gerwig
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