Che paura, Alfred
La sua foto ha dato un volto a Steve Jobs, Obama, divi e top. Ma l’orgoglio resta Hitchcock
Ha scattato oltre 200 copertine di Vogue, ritratto personalità come Barack Obama, Condoleezza Rice, Clint Eastwood, Keith Richards, quasi sempre in bianco e nero. Ed è considerato uno dei fotografi più influenti del 900. Ora Albert Watson torna in Italia per una retrospettiva a Carpi. Un centinaio di immagini realizzate per le campagne di Blumarine e provenienti dall’archivio dell’azienda carpigiana.
Scozzese di nascita (Edimburgo, 1942), americano d’adozione, Watson ha collaborato con le riviste più importanti, realizzato centinaia di campagne pubblicitarie, diretto oltre 500 spot e vinto tutto quello che un fotografo può sperare di vincere: Lucie Award, Grammy Award, Hasselblad Masters Award, tre ANDY Awards, la Centenary Medal della Royal Photography Society... Ora l’esposizione carpigiana, Fashion, Portraits & Landscape (dal 7 aprile al 17 giugno ai Musei di Palazzo dei Pio), curata da Luca Panaro, ripercorre un decennio del suo lavoro, tra gli Anni 80 e i 90, quando il fotografo realizzò ben dodici campagne per Blumarine raccontando la personalità femminile attraverso le bellezze dell’epoca (tra cui Naomi Campbell, Nadja Auermann, Cindy Crawford). L’esposizione indaga anche il suo sguardo sul paesaggio, che non è mai un semplice sfondo.
Come è nato il suo rapporto con Carpi? Sono oltre 20 anni che collaboro con Blumarine e, quindi, che frequento la città.
Lei ha scattato innumerevoli servizi di moda. Quanto è cambiato il settore? Il sistema-moda sta mutando. Ci sono molti designer in giro, ma l’approccio rispetto agli Anni 80 e 90 si è ribaltato: una volta la gente della strada guardava la moda per ispirarsi e vestirsi di conseguenza. Oggi invece sono i designer a guardare la gente della strada.
Tra i molti ritratti, quale l’ha soddisfatta di più? Lo scatto che mi inorgoglisce davvero − e che è anche quello in cui ho avuto più paura, perché quando l’ho realizzato ero davvero giovane − è stato quello di Alfred Hitchcock. Ancora oggi, quando lo guardo quasi non ci credo, di essere stato veramente io a farlo.
Con quello di Steve Jobs, invece, come andò? Per un ritratto non mi serve molto tempo. Normalmente in meno di un’ora completo il lavoro, sono un tipo svelto, so cosa voglio. Ricordo che quando arrivai mi dissero che avrei avuto a disposizione soltanto 20 minuti. Risposi: «Va bene». Jobs era taciturno quel giorno, ma la sua personalità si avvertiva già entrando nella stanza. Non ci misi molto, fu una fotografia relativamente semplice. Ricordo con chiarezza che lui non sbatteva mai le palpebre. Era un uomo molto deciso. Quando morì mi chiamarono dalla Apple, perché volevano utilizzare quell’immagine sul loro sito. Così la foto diventò immediatamente molto celebre.
Chi le piacerebbe ritrarre ancora? Non mi interessa che qualcuno sia famoso per voler lavorare con lui. Può essere un perfetto sconosciuto. L’importante è che, a livello fotografico, abbia qualcosa da dire. _ ( Giacomo Nicolella Maschietti)