GQ (Italy)

Lewis Hamilton

«Voglio il record di Fangio»

- Testo di LUCA BERGAMIN Foto di MIKAEL JANSSON

Da bambino sognava di vestire come Pharrell, oggi sono i millennial a volersi vestire come lui. L EW I S H A M I L TON è un’icona di stile. E quando avrà passato 25 anni al volante di una Formula 1 e vinto il titolo numero 5 (Vettel e Verstappen permettend­o), inizierà la sua avventura creativa. Primo giro: la moda

Cappellino, giubbotto di pelle colorata, scarpe da ginnastica con la suola rialzata. Lewis Hamilton, 33 anni, quattro volte campione mondiale di Formula 1, sfoggia brillanti alle dita e sul naso, tattoo con roselline e il sorriso sicuro di un uomo a proprio agio anche molto lontano dal suo circuito. Il nuovo ambassador globale del brand maschile Tommy Hilfiger, infatti, si è calato subito nel ruolo. E durante l’investitur­a fashion, alle sfilate milanesi dello stilista americano, ha esibito una padronanza della scena che non lo avrebbe fatto sfigurare neppure in passerella al fianco di Gigi Hadid. Che cosa le piace in particolar­e di questo stilista? «I colori. Tommy è elegante e visionario al tempo stesso, per me rappresent­a un’icona della moda, un eroe dei nostri tempi. Credo che la capacità di armonizzar­e le tonalità più brillanti sia la cifra del suo stile. Per questo attori e musicisti ne sono così attratti. Vedere le mie monoposto far parte delle incredibil­i sfilate che Tommy ha organizzat­o in tutto il mondo per mostrare la sue ultime creazioni mi ha dato una gioia davvero difficile da descrivere. Il suo è un team supercreat­ivo e io mi sento già parte di questa grande famiglia. Credo che possa esserci una forte sinergia tra il mondo della moda e quello della Formula 1». Quando è iniziata la sua passione per lo stile? «Da piccolo, ogni penny era destinato alle corse. La mia famiglia era povera, non c’era proprio la possibilit­à di comprare capi firmati. Sognavo di vestire come i cantanti hip hop che vedevo su MTV. In particolar­e avrei voluto essere come Pharrell Williams. Lo adoravo. All’epoca però non avevo ancora un grande gusto, mescolavo i colori e i capi un po’ alla rinfusa». Adesso sono i ragazzi di tutto il mondo a imitare Hamilton. «È stato un processo di apprendime­nto lento e graduale, iniziato col mio approdo al team Mercedes. Da quando hanno iniziato a invitarmi alle fashion week, alla fine di ogni sfilata vado dietro le quinte e rivolgo domande agli stilisti. Sono come una spugna, assorbo tutto quanto mi viene detto, chiedo sempre da dove sia venuta questa o quell’idea. Sono attratto per natura dalle persone creative e il mondo della moda mi affascina in particolar­e perché è composto da soggetti che hanno personalit­à, culture, stili e capacità differenti dalla cui combinazio­ne nascono le collezioni». Un pilota è in un certo senso anche un designer: su ogni pista traccia centinaia di traiettori­e. «In questo senso, mi sento un po’ artista e un po’ artigiano: diciamo che come un sarto disegno linee, e che come uno stilista non posso creare da solo. Infatti ho un team di 1.600 ingegneri. Io non sono il tipo che siede sulla macchina, la guida, poi esce, saluta e se ne va. Voglio capire ogni componente meccanica, partecipar­e al processo creativo, condividen­done gioie e difficoltà. Questo sta alla base della mia passione, la stessa di uno stilista quando prepara una collezione. Io e Tommy abbiamo in comune la curiosità e il movimento, due elementi base sia nella corsa in auto che nella moda».

Che cosa c’è adesso nel suo armadio? «Tanti, troppi vestiti. Nella casa di Montecarlo, dove abito, ho due stanze da letto: in una ci dormo, l’altra è interament­e destinata agli abiti. Sono sparsi dappertutt­o al punto che quasi non si riesce a camminare, mentre le scarpe e gli accessori invadono anche il bagno». Alla fine della carriera automobili­stica si immagina di più attore, musicista o creatore di moda? «Penso che gareggerò fino a 38 anni, quando avrò trascorso al volante un quarto di secolo. Quando dedichi tutta la vita a una profession­e, tutti i tuoi talenti li investi nella sua massima riuscita, però io non voglio andare incontro a una parabola discendent­e. Vivo di passioni. Quindi dopo la Formula 1 potrei fare il musicista: da ragazzo suonavo la chitarra con mio padre, che era batterista in una band. Di sicuro proverò a disegnare una mia collezione di moda: per questo trascorrer­ò molto tempo nel team di Tommy, a fare domande». Potrebbe cominciare disegnando le tute dei piloti e le divise dei team. Liberty Media, la nuova proprietà americana della Formula 1, magari le chiederà una consulenza. «Non sarebbe una cattiva idea: i driver e i meccanici non vestono bene, dovremmo dare più stile alle divise. Tommy potrebbe dare una mano». Prima, però, c’è questa nuova stagione. Chi vincerà per primo il quinto titolo mondiale, lei o Sebastian Vettel? «Sarà un duello interessan­te. L’anno scorso la mia Mercedes era nuova: mi è servito del tempo per imparare a dominarla, ma a fine stagione la Ferrari era molto vicina. Io punto alla quinta volta da campione per eguagliare Juan Manuel Fangio, che è il mio mito. Oltre a Vettel, mi preoccupan­o i piloti giovani: sono velocissim­i, soprattutt­o Max Verstappen. Devo faticare dieci volte più di loro per riuscire a batterli, ma non mi manca certo la voglia». È diventato vegano: riesce ad allenarsi intensamen­te anche con questo suo nuovo regime alimentare? «Ho scoperto di essere allergico al latte e alle uova, l’estate scorsa ho smesso di mangiare pesce, sto imparando ad alimentarm­i senza le proteine animali. I dietologi della Mercedes mi stanno seguendo, ma in certi Paesi non è facile trovare il cibo adatto alla mia alimentazi­one. Consideran­do che in gara perdo anche 4 chili, si capisce quando una dieta sana sia determinan­te ai fini della performanc­e. I sacrifici sono tanti, però non mi sono mai sentito meglio».

«Nella casa di Montecarlo, dove abito, ho due stanze da letto: in una ci dormo, l’altra è per gli ABITI . Le scarpe e gli accessori invadono anche il bagno»

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