Prova a perderti
L’anno di svolta è stato quello della terza media, con due viaggi a chiudere il ciclo scolastico. Atene- Roma in macchina, lungo i percorsi del mondo antico, e Parigi, con la mappa della metropolitana alla mano. Luigi Farrauto e suo padre: una cosa tra uomini, da cui sono partiti i primi travelogue di una lunga serie. Oggi Farrauto, 37 anni appena compiuti, è in costante cammino. Perché è un wayfinder, ed è l’unico a farlo in Italia, perché scrive guide di viaggio, perché se ha tre giorni liberi è già su un aereo, destinazione chissà.
«E dire che ho zero senso dell’orientamento», inizia a dire parlando della sua fissazione per gli atlanti e la cartografia. «Ma con le giuste istruzioni si può arrivare dappertutto». Perciò di primo mestiere fa il wayfinder, definizione uscita dai testi di architettura e urbanistica degli Anni 60. Un navigatore in carne e ossa, per usare un termine famigliare a tutti: «Sì, è la persona che studia i percorsi migliori per muovere le persone negli spazi pubblici, là dove la segnaletica è fondamentale per orientarsi, scegliendo la più breve distanza possibile». Un esempio: l’aeroporto di Doha. I 40 milioni di passeggeri in transito ogni anno in Qatar devono ringraziare Farrauto se non si perdono: in 2 anni e tre mesi ha ideato, disegnato e sistemato − da solo − 3 mila segnali nei punti cruciali dell’hamad International Airport. Un lavoro che sembrava non finire mai, cominciato rimettendo ordine tra i pasticci di altri, come la bella pensata di indicare la moschea con due mani giunte per simbolo («Avete mai visto come si prega nell’islam?»).
Studi al Politecnico di Milano, tesi sulla segnaletica di Damasco (adottata e fatta realizzare dall’allora sindaco siriano), dottorato in design con un anno di ricerca al Mit di Boston, messa a punto ad Amsterdam nello studio di Paul Mijksenaar, guru assoluto della materia. E da lì, per Farrauto è arrivato il passaggio a Doha, anche grazie al pacchetto di lingue parlate
(«È la mia seconda ossessione»), tra cui l’arabo e, prossimamente, il cinese. Spiega: «L’essere umano è imprevedibile: mentre viaggia ha sempre la testa altrove − che sia perché è stanco o innamorato, poco cambia − e rischia di perdersi. Ha bisogno di segnali, pochi e nei punti giusti; altrimenti va in sovraccarico di informazioni».
Prima lezione: le informazioni utili devono essere perpendicolari al passeggero, gli inviti allo shopping paralleli («Se hai capito bene dove si trova il tuo gate, puoi perdere tempo a fare acquisti»). La seconda: la comprensione dei pittogrammi dipende dalla cultura di appartenenza. La terza: una volta appresi i barbatrucchi, si può cartografare qualunque cosa. Letteralmente: Farrauto sta ridisegnando il prossimo romanzo di uno scrittore da Premio Campiello («Renderà visibile un secondo livello di lettura»), ha elaborato il concept dei totem che verranno installati nel centro storico di Roma, su modello di quelli attivi a Londra e New York, sta terminando la mappatura del sito archeologico dell’atturaif Living Museum, in Arabia Saudita. Per tenere insieme le cose, ha aperto a Milano 100km studio ( 100km. studio/ map) con Andrea Novali, che ha studiato editoria e tipografia in Giappone e lavorato sul campo in Russia. Insieme, per puro piacere, hanno ridisegnato la città di Milano (si scarica gratis dal loro sito) e stanno preparando quella dei viaggi di Alessandro Magno, complice l’archeologa Luisa Ferro.
Appena rientrato dall’albania, dove ha viaggiato per conto di Lonely Planet Italia (quella che gli sta più cara, tra le già pubblicate, è la Guida per salvarsi la vita viaggiando, del 2016: «La mappa non è lo scopo del viaggio: ne fa parte, lo visualizza, lo rende più fruibile»), Luigi Farrauto sa cosa significhi perdersi. La prima volta è stata da bambino, «con i miei cugini, spediti in vacanza a Scario, dai nonni. Da soli e in treno. Invece che a Salerno, ci siamo ritrovati ad Ancona». Il trauma di non sapere dove ti trovi, non l’ha certo dimenticato. Riflette: « Gli antichi mappavano già i propri luoghi con la prospettiva dall’alto, che è poi quella di Dio: così si localizzavano nel mondo e allontanavano la paura». Di perdersi, di morire. E la paura dell’altro. «Viaggiare insegna che il luogo da cui vieni è secondario: detto fra noi, cos’altro educa altrettanto alla tolleranza?».
«Gli antichi mappavano già i propri luoghi con la prospettiva dall’alto, che è poi quella di Dio: così si localizzavano nel mondo e allontanavano la paura»