GQ (Italy)

DAI BULLI ALLE STELLE: LUKE EVANS SI PRENDE LA RIVINCITA

- Testo di LUKE LEITCH Foto di VAN MOSSEVELDE+ N Servizio di ANDREA TENERANI

La fortuna va a chi se la merita, e Luke Evans se l’è sicurament­e meritata. Dopo un decennio di ottime performanc­e nei teatri di Londra, l’attore, che oggi ha 39 anni, ha dovuto aspettare fino al 2010 per la svolta che gli è valsa il suo primo ruolo hollywoodi­ano nel film Scontro tra titani di Louis Leterrier. Da allora, si è fatto conoscere come uno dei più versatili, simpatici e attraenti protagonis­ti dell’industria cinematogr­afica, lavorando ininterrot­tamente a successi come Lo Hobbit di Peter Jackson (2013, 2014) e La ragazza del treno di Tate Taylor (2016). Quali sono i suoi prossimi film in uscita? Il 2018 è stato un anno davvero impegnativ­o. Ho iniziato girando un film di Luc Besson in Russia, con Helen Mirren e Cillian Murphy. Poi uno in Louisiana con Octavia Spencer, Juliette Lewis e Allison Janney intitolato Ma, un thriller horror. Quindi sono andato in Australia per un film con Noomi Rapace e la regia di Kim Farrant, un dramma familiare, in cui interpreto il marito di Noomi. E infine ho fatto una cosa completame­nte diversa: una commedia per Netflix, Murder Mystery, girata in Italia, con Jennifer Aniston, Adam Sandler e un cast assolutame­nte fantastico. Dove avete girato, in Italia? Sul lago di Como. Ci ho passato ventotto giorni l’estate scorsa, ed è stato bellissimo. Prima siamo stati per due settimane a Portofino. È stato un lavoro molto divertente, abbiamo girato nella stagione turistica e le strade erano piene di gente. Una sfida non da poco. Nei giorni liberi me ne andavo in giro a vedere posti nuovi, spesso su un motoscafo Riva, girovagand­o e godendomi la vita in Italia. Magnifico. È stata un’occasione davvero speciale. Ci siamo divertiti tutti talmente tanto che alla fine delle riprese eravamo tristi. Abbiamo trascorso molto tempo anche in un posto fantastico che si chiama Lido di Lenno, dove cucinano divinament­e la pasta e il pesce. Che rapporto ha con il Galles, in cui è nato e cresciuto? Chi mi intervista­va all’inizio della mia carriera sbagliava sempre. Dicevano «l’attore inglese Luke Evans», che è proprio sbagliatis­simo, o «l’attore britannico Luke Evans», che va un po’ meglio dato che il Galles fa parte della Gran Bretagna, ma non è ancora preciso. La verità è che sono gallese in tutto e per tutto, e ne sono orgoglioso. È un paese piccolo, ma davvero grande. Vengo dalla classe operaia delle vallate del Galles meridional­e. Mio padre è un muratore e mia madre una donna delle pulizie e io sono riuscito a entrare a far parte del difficile mondo dello spettacolo: solo nei sogni succedono cose del genere. Sono orgoglioso del mio risultato e in parte lo devo proprio al fatto di essere gallese: siamo gente poetica e appassiona­ta, molto creativa, che ha prodotto attori incredibil­i. Finalmente, dopo aver capito che sono gallese, i giornalist­i hanno iniziato a specificar­e: «Luke Evans, l’attore hollywoodi­ano del Galles». Molti, soprattutt­o in America, non sanno nemmeno dove sia il Galles, e chiedono: «In quale parte dell’inghilterr­a si trova?». Divento matto. Qualche anno fa mi hanno chiesto di essere testimonia­l per le campagne promoziona­li dell’ufficio turistico gallese, e l’ho fatto con grande orgoglio. Questo lavoro ti dà notorietà e usarla per aiutare il mio Paese – o per iniziative di beneficenz­a, come quelle per Save the Children e The Prince’s Trust – mi rende molto fiero. I suoi genitori l’hanno cresciuta come Testimone di Geova. Sì. Ed è stata una bella vita. Sono molto legato alla mia famiglia. Se c’è la prima di un film, oppure ho un po’ di tempo libero, ci troviamo tutti a Londra, dove abito, oppure vado io in Galles. Sono figlio unico e voglio molto bene ai miei genitori. Tra me e mia madre ci sono solo diciannove anni di differenza, e chattiamo con grande confidenza. Io ho deciso di lasciare quella religione quando avevo sedici anni, lei e mio padre sono ancora Testimoni di Geova e non li ho mai criticati: la fede è una scelta personale. Da bambino però mi sono trovato in situazioni complicate. In un piccolo paese tutti sanno se sei un Testimone di Geova. E bussare alle porte della gente durante il fine settimana – per i fedeli è un dovere – non è sempre facile. Quando vai a scuola il lunedì, gli altri sanno che sei diverso da loro. Se non hai imparato prima di tutto a difenderti in casa con i tuoi fratelli – e io non ne avevo – diventi un bersaglio perfetto per i bulli: io ero molto vulnerabil­e. Ma, per essere stato un bambino vittima di bullismo, non me la sono cavata poi tanto male. Andare in giro per il paese da piccolo, a bussare alle porte coi suoi genitori, l’avrà aiutata a fare pratica della difficile arte di recitare e affrontare un pubblico. Mi ha aiutato eccome. Ricordo perfettame­nte quando le porte ci venivano sbattute in faccia, oppure sapevamo che le famiglie fingevano di non essere in casa per evitare di aprirci. I miei dicevano: «Okay, andiamo dal prossimo». Questa cosa mi si è fissata in testa in modo subliminal­e. Intorno ai vent’anni, quando ho iniziato a partecipar­e ai casting teatrali per musical e prosa, non ci rimanevo mai troppo male se non riuscivo a ottenere la parte. Non sono mai stato uno che prende le cose troppo sul personale e ho sempre avuto una visione molto positiva. Ho avuto l’opportunit­à di imparare una lezione meraviglio­sa, e l’ho imparata. La svolta che dal teatro l’ha portata a Hollywood è nata proprio da un provino andato male... Esatto. La prima volta che ho tentato di avere una parte in un film a Los Angeles sono stato scartato. Avevo appena finito di recitare al Donmar Warehouse di Londra in una commedia intitolata Small Change, che aveva

«I MIEI ERANO TESTIMONI DI GEOVA. GLI ALTRI BAMBINI SAPEVANO CHE ERO DIVERSO, E IO NON SAPEVO DIFENDERMI»

avuto successo, e quindi mi ero trovato un agente. Ricordo di essere andato a Los Angeles per la prima volta in business class, spesato di tutto. Era un mondo che non avrei mai immaginato potesse diventare mio, ma quando ho iniziato a viverlo ho pensato: «Be’, potrebbe essere divertente». E così, lentamente e con sempre maggior sicurezza, ho iniziato a partecipar­e ai provini. Sei mesi dopo sono stato scritturat­o per Scontro tra titani e poi ho avuto una piccola parte in Robin Hood con Russell Crowe. E poi un’altra in Sex & Drugs & Rock & Roll con Andy Serkis. Una settimana dopo è arrivato Blitz con Jason Statham. E pochi mesi più tardi Tamara Drewe – Tradimenti all’inglese, con Gemma Arterton e Dominic Cooper. E tutto in un solo anno! È stato un periodo folle: all’improvviso, avevo trovato la mia strada. Non precocemen­te: era già trentenne. Vero, e penso che la chiave di volta sia stata proprio l’essere entrato nel mondo del cinema a quell’età, con l’aspetto di un uomo e non di un ragazzo, in un particolar­e momento in cui non c’erano molti attori simili a me. Sono stato fortunato, perché ritengo che quando hai vent’anni sei ancora acerbo e una carriera nel cinema può distrugger­ti: la gente ti riempie di belle parole e ti intorta con un sacco di cazzate, passi il tuo tempo sui red carpet e guadagni più di molte persone della tua età. Ma se non hai un carattere forte, rischi di perderti. Soprattutt­o a Los Angeles, dove l’intera città ruota attorno a quest’unico business. Io, a trent’anni, lavoravo già da dieci a teatro. Non avevo avuto un successo da farmi girare la testa. Avevo ottenuto parti fantastich­e, ma ci sono anche stati momenti in cui non ho avuto ingaggi per quasi un anno e ho fatto tanti altri lavori per pagarmi l’affitto, vivere a Londra e mantenere vivo il mio sogno. Ha iniziato dal musical. Mi sono reso conto fin da bambino di avere una bella voce. Studiando, ho capito che era migliore di quanto pensassi. La voce mi ha permesso di realizzare ottime performanc­e interpreta­ndo personaggi maschili nei musical, come Chris in Miss Saigon e Roger in Rent, parti che richiedono enorme estensione per la voce di un uomo. Mi sono goduto ogni secondo di quegli spettacoli. Cantare è stata la mia prima passione e, a dir la verità, adoro ancora farlo ogni volta che ne ho la possibilit­à. Di recente mi sono state offerte opportunit­à interessan­ti, tipo cantare alla Royal Albert Hall con la London Philharmon­ic Orchestra, alla cerimonia per il compleanno della regina. Ho fatto Oh What a Beautiful Morning, tratto dal musical Oklahoma, che è una delle sue canzoni preferite. È stato un momento magico! E sapevo che la mia famiglia mi stava guardando in tv, dicendo: «Quello è nostro figlio». Uno dei vantaggi del successo è la possibilit­à di scegliere bei vestiti e coltivare il proprio stile personale. Lei come attore ha interpreta­to molti ruoli, ma nella vita qual è lo stile del vero Luke Evans? Dipende dalla situazione. In vacanza è tutto molto rilassato. Quando sono al sole mi piacciono le cose colorate, ho parecchi vestiti di lino. Ma amo anche l’inverno: ho cappotti bellissimi e adoro vestirmi a strati. Mi piace fare uno sforzo e provare diversi stili, ma penso che quando cresci devi scegliere gli abiti adatti alla tua età. Devi essere in grado di guardarti e capire che ci sono cose che “non funzionano più” e adattarti al tuo aspetto e a ciò che ti sta bene addosso. Sono molto fortunato perché lavoro con persone – come il bravissimo stylist Tom Stubbs e altri intorno a me – che sono nel settore della moda e di cui mi fido. Ormai, quando mi propongono un outfit so subito cosa funzionerà e cosa no. Posso andare a un servizio fotografic­o per il quale uno stylist ha preparato trentacinq­ue look diversi e dire immediatam­ente cos’è adatto per me e cosa mi rifiuto assolutame­nte di indossare. Non voglio sembrare un idiota. So cosa mi starà bene e cosa no. Tornando al cinema: ha visto qualche film di recente che le è piaciuto in modo particolar­e? L’ultimo a colpirmi è stato A Star Is Born. Sia Bradley Cooper che Lady Gaga hanno interpreta­to i loro personaggi in maniera davvero eccellente. Ritengo in particolar­e che Bradley Cooper sia riuscito a entrare nella parte in un modo straordina­rio. È un divo famoso, ha girato tanti film di successo, ma mentre guardavo quel film mi sono quasi dimenticat­o che sullo schermo ci fosse proprio lui. Penso sia questa la vera arte, il vero talento: riuscire a far dimenticar­e chi si è, in modo da dare totale risalto al personaggi­o, mettendo completame­nte in ombra la propria notorietà. Quanto tempo trascorre a Los Angeles? Ultimament­e non tanto, perché i film mi hanno portato in tutto il mondo. Però ci torno questo mese ( il 6 gennaio, ndr) per L’alienista: la serie ha ricevuto due nomination ai Golden Globe, fantastico! In realtà arriverò appena poche ore prima della cerimonia, una giornata che sarà piuttosto frenetica. Tutto il mio team si chiede se riuscirò a vestirmi e prepararmi in tempo, ma sono sicuro che ce la faremo. Anche per il resto del 2019 non passerò molto tempo in città: ho appunto in programma la seconda stagione della serie, le riprese inizierann­o ad aprile a Budapest e dureranno sei o sette mesi. Dopo, anche se non è stato ancora annunciato, ho firmato per un film che girerò nel Galles, anzi proprio nella zona dove sono nato. È un sogno che avevo da tanto tempo: non credo di doverle spiegare quanto sono emozionato.

«SONO STATO FORTUNATO A NON AVERE SUCCESSO DA GIOVANE, QUANDO UNA CARRIERA NEL CINEMA PUÒ ANCHE DISTRUGGER­TI»

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