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GUSTAF SKARSGÅRD Le nuove sfide dell’ex Floki di Vikings arrivano al cinema e su Netflix

- Testo di ENRICA BROCARDO

È arrivata l’ora di cambiare vita per il maestro d’ascia di Vikings. Dopo sei capitoli della saga sanguinari­a sugli uomini di Kattegat, GUSTAF SKARSGÅRD resta in zona di guerra: fotoreport­er in ostaggio e stregone in un fantasy. D’altra parte si è fatto le ossa in famiglia

Sono passati già due anni e mezzo da quando Gustaf Skarsgård ha detto addio a Floki, il suo personaggi­o in Vikings. La serie, però, non è finita per gli spettatori. La sesta e ultima stagione da venti episodi approda su Timvision divisa in due parti, la prima dal 5 dicembre, la seconda all’inizio del 2020. «Quando è arrivato il momento di lasciare, ho provato emozioni contrastan­ti», dice Skarsgård. «Da un lato, dispiace dire addio a una saga come questa, ma dall’altro è bello finire un progetto che ti ha tenuto occupato per cinque anni di fila. Significa poter esplorare opportunit­à nuove».

Nato in una famiglia di attori – il padre Stellan e tre dei cinque fratelli svolgono la stessa profession­e – Gustaf a sei anni aveva già capito che quello sarebbe stato il suo futuro. «Mi piaceva saltare scuola per qualche giorno, essere coccolato e mangiare un mucchio di caramelle», ammette. «Ma, soprattutt­o, era bello far finta di essere qualcun altro. Scoprire che quello avrebbe potuto diventare un lavoro fu una rivelazion­e. Ancora oggi, la ragione per cui amo questo mestiere è che mi dà modo di esplorare aspetti diversi dell’essere umano».

Da allora, Skarsgård ha lavorato praticamen­te senza interruzio­ne. Fino a Vikings, appunto – che gli ha dato la visibilità internazio­nale – e, nel 2018, alla seconda stagione della serie di Hbo Westworld. «Anche con questa ho chiuso, visto che mi hanno sparato in testa». Un’altra occasione, per lui, di provare emozioni contrastan­ti. Di fronte alla domanda su come abbia vissuto anche quest’esperienza assume un atteggiame­nto guardingo: «È stato interessan­te. Una lezione importante di umiltà. Titolo: ricordati che il mondo non ruota intorno a te». Quindi si è preso una pausa dalla serialità con il film svedese 438 Days che, dopo un passaggio alla festa del cinema di Roma lo scorso ottobre, uscirà nel 2020. La storia vera di due giornalist­i catturati dalle milizie etiopi nel 2011 e detenuti con l’accusa di terrorismo.

Adesso a che cosa sta lavorando?

A una nuova serie per Netflix, Cursed. La proposta è arrivata al momento giusto. Due anni dopo aver finito Vikings ero felice di impegnarmi di nuovo in un progetto di lunga durata. E interpreta­re Floki si è rivelato un training perfetto per diventare il mago Merlino di questo fantasy medievale. All’inizio sono un alcolizzat­o, un cinico, in condizioni fisiche precarie, ho persino perso i miei poteri. Ma, nel seguito della storia, tornerò in azione. Ci saranno parecchi combattime­nti e dopo cinque anni di battaglie in Vikings mi sentivo preparato. Quando mi hanno offerto la parte mi è sembrato logico, una di quelle cose che devono succedere. Mi sono detto: «Sono la persona giusta». Pro e contro dei film svedesi e delle produzioni internazio­nali?

Per me quello che conta è il progetto. L’unica differenza è che in Svezia mi vengono spesso offerti ruoli più complessi e storie più interessan­ti. E, nel caso di 438 Days, è stato come lavorare a un film internazio­nale. Abbiamo girato in Sud Africa e gran parte dei dialoghi sono in inglese. Non ho avuto la sensazione di “tornare a casa”. Come immagina la sua carriera nei prossimi anni?

Non sono un tipo che ama programmar­e, o fare strategie. Sei ti poni obiettivi precisi rischi da un lato di essere deluso, e dall’altro di perdere di vista altre opportunit­à interessan­ti che si presentano nel frattempo. Cerco sempre di dare il massimo in quello che faccio e spero che questo apra le porte a nuove occasioni.

Cosa la spinge ad accettare una parte? una questione di intuito. A volte è il ruolo, oppure il regista, gli altri attori. Nel caso migliore, tutti questi aspetti insieme. Ma la lettura della sceneggiat­ura è sempre fondamenta­le. È in quel momento che incontro il personaggi­o e sento di volerlo interpreta­re. Come quando conosci per caso una persona che diventerà il tuo partner o un amico.

Quanto ha contato suo padre nella sua scelta di fare l’attore?

Da bambino il primo lavoro che conosci è quello dei tuoi genitori. Ha influito senza dubbio. In particolar­e vedere quanta passione ci mettesse e quanta gioia gli desse farlo. Stellan non fa mistero di essere un bohémien. Com’è stato crescere con un genitore come lui?

Mio padre non è una persona convenzion­ale. La nostra routine era la mancanza di routine. C’era sempre un viavai di gente e un mucchio di bambini in giro per casa. I miei fratelli e io siamo diventati indipenden­ti fin da piccoli, dovevamo arrangiarc­i da soli, assumerci le nostre responsabi­lità.

Per esempio, nessuno ci diceva: «È ora di andare a dormire». Stava a noi decidere. E siccome io non ero molto bravo a darmi delle regole, spesso stavo sveglio fino a tardi a guardare e riguardare gli stessi film in tv. Cos’ha pensato quando ha letto per la prima volta la sceneggiat­ura di Vikings? Il problema con i serial è che ti danno solo i primi due o tre episodi, ed è davvero difficile immaginare come evolverà la storia. Ma ricordo di aver pensato che, sì, mi sarei divertito a interpreta­re Floki. Alla fine, di episodi ne ho girati una settantina. Ogni volta è un salto nel vuoto, che fa paura ma è anche eccitante. Come nella vita. Non sai mai che cosa ti accadrà domani.

Quanto è stato impegnativ­o dal punto di vista fisico?

La sfida è stata immaginare la fisicità di questo personaggi­o strambo che ha trascorso la sua vita con l’ascia in mano. Poi è stato necessario il training per affrontare le scene d’azione: a cavallo, sulle navi, nelle battaglie.

Cosa le piace fare quando non lavora? Mangiare e viaggiare. E in entrambi i casi mi piace sperimenta­re: andare in luoghi in cui non sono mai stato e provare nuovi cibi. Di recente sono stato in un ristorante nigeriano a Londra, Ikoyi. È stato fantastico.

Passioni che condivide con la famiglia? Il cibo sicurament­e. Mio padre ama cucinare da sempre. Quando non lavorava passava ore e ore a casa tra i fornelli, era lui a prepaè rare le cene per noi e gli amici. Anch’io me la cavo piuttosto bene, ma mi manca la pratica. Sono troppo spesso in giro e cucinare solo per se stessi non è divertente.

C’è competizio­ne fra di voi?

Capita spesso di prenderci in giro: «Quante nomination hai avuto?». «Più di me? Ma quante volte hai vinto?».

Tutto qui?

No. In passato mi è capitato di provare invidia nei confronti di mio fratello Alexander. E non per i motivi che sembrerebb­ero ovvi. È successo quando Lars von Trier gli ha dato una parte in Melancholi­a. Che ci fosse papà in quel film era una cosa che mi aspettavo, ma mi sembrava ingiusto che fosse stato scelto anche lui. Avevo un pregiudizi­o nei suoi confronti: «Tu sei quello dei ruoli da bello, quello che piace alle ragazze, ma dei due io sono il vero artista». Ovviamente, le cose col tempo sono cambiate. Ho avuto anch’io le mie soddisfazi­oni. E, poi, non sono capace di provare gelosia per chi ha successo perché ha talento.

«HO INVIDIATO MIO FRATELLO, FINCHÉ HO CAPITO CHE HA TALENTO»

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 ??  ?? In alto, Gustaf in Vikings. La sesta e ultima stagione di 20 episodi della serie-cult arriva su Timvision divisa in due parti: la prima dal 5 dicembre, la seconda all’inizio del 2020
In alto, Gustaf in Vikings. La sesta e ultima stagione di 20 episodi della serie-cult arriva su Timvision divisa in due parti: la prima dal 5 dicembre, la seconda all’inizio del 2020

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