L’UOMO DEL DESIDERIO
Le generazioni X, Y e Z lo idolatrano, come i musei
Metti di essere amico e collaboratore di Kanye West, di creare una capsule per Serena Williams targata Nike, di disegnare la linea uomo di Louis Vuitton, di avere un tuo brand che chiami Off-white − al primo posto come marchio più desiderato del pianeta per la seconda volta negli ultimi quattro Lyst Index −, di avere oltre 4,5 mln di follower su Instagram e di essere, secondo Time Magazine, tra le cento persone più influenti del mondo: allora ti chiameresti Virgil Abloh.
Nato negli Stati Uniti da genitori emigrati dal Ghana, 39 anni, stilista, designer, imprenditore, dj, in pochi anni è diventato un personaggio cult, tra i più corteggiati dalle aziende (da Evian a Donda) e tra i più adorati dalle generazioni X, Y e Z. E pensare che si è laureato in ingegneria civile e ha preso un master in Architettura all’illinois Institute of Technology. È qui che conosce il Bauhaus, movimento artistico che univa tutte le arti. Ed è proprio l’interdisciplinarità ad averlo trasformato in un creativo a 360°. Se Andy Warhol serigrafa una serie di banconote da un dollaro, Abloh realizza per Ikea tappeti dalle sembianze di uno scontrino fiscale. Se Duchamp nel 1919 mette i baffi alla Gioconda, lui la retroillumina. E se i maestri del prêt-à-porter degli Anni 70 hanno impiegato qualche decennio prima di essere consacrati in un museo d’arte, lui ha bruciato le tappe: l’high Museum of Art di Atlanta ospita fino all’8 marzo, dopo la tappa al Museum of Contemporary Art di Chicago, la mostra Virgil Abloh: Figures of
Speech. Qui c’è, quasi, tutto il suo mondo: design, moda, video, musica, grafica e alcune opere realizzate in collaborazione con artisti di fama mondiale come Jenny Holzer, Arthur Jafa e Ari Marcopoulos.