GQ (Italy)

L’ISTINTO DI FAMIGLIA

Olmo Schnabel, la lezione del padre Julian e il futuro nell’era di Trump: è l’america ammessa all’ultima Mostra di Venezia

- Testo di CRISTINA D‘ANTONIO

Dice che è imbarazzan­te, e triste, che il volto dell’america sia quello di Donald Trump, e che il Paese non creda più a un futuro di possibilit­à. Olmo Schnabel, figlio di Julian, l’artista e regista, con il quale ha lavorato sul set di Van Gogh - Sulla soglia dell’eternità, ha 25 anni ed è il produttore dell’unico film statuniten­se accettato nella sezione Orizzonti dell’ultima Mostra del cinema di Venezia: Giants Being Lonely, realizzato con l’amico Grear Patterson. Una storia sui disagi e le difficoltà dei teenager che sopravvivo­no ai margini della periferia americana, senza un lieto fine.

Leggendo degli Schnabel si capisce che la famiglia è la partenza di tutto: come è stato crescere così?

È vero, siamo sei fratelli e sorelle, molto legati fra di noi, con tre madri diverse e un padre che ci ha sempre coinvolti nelle sue cose e che ha cercato di essere presente nelle nostre. Quando ha capito che ero interessat­o al cinema, per esempio, mi ha chiamato a lavorare con lui sulla storia di Van Gogh: voleva darmi un imprinting, fare in modo che mi sentissi a mio agio sul set; se sono qui a parlarne è perché ci è riuscito, e gliene sono grato.

Quanto è importante per lei sentirsi parte di qualcosa?

Molto, perché è così che ci ha abituati nostro padre: ci ha sempre chiesto la nostra opinione, anche davanti ai quadri che dipingeva a Montauk (la casa di famiglia negli Hamptons, la spiaggia dell’élite newyorkese, ndr). Con lui ho capito che per sentirsi particella di un tutto bisogna anche sapersi circondare di persone sulle quali sai di poter contare.

Cosa ha imparato invece dal suo modo di lavorare con gli altri?

Che il segreto è fare attenzione: lui è in cima alla piramide, ma dà sempre ascolto a chi sta sotto. E poi, essendo un meticoloso, si prende la briga di ricontroll­are ogni cosa due volte. Il suo obiettivo è creare un’arte che abbia un impatto sulla gente: alla fine, se il pubblico apprezza, vuol dire che ti sei impegnato per il motivo giusto.

E lei invece cosa gli insegna?

Chi è suo figlio Olmo: lo faccio con tutta la trasparenz­a possibile, senza nascondere la mia fragilità, e ci riesco perché so di essere in un ambiente protetto.

È un modello che le piace replicare? Direi che l’ho fatto: il mio primo film nasce tra amici, l’attrice protagonis­ta è stata la mia prima fidanzata, il cinematogr­afo è quello della mia infanzia. È stato come fare un viaggio in famiglia nel North Carolina. Con Grear ci conosciamo da 10 anni: quando mi ha mandato il copione lavoravo come art dealer, a Los Angeles. Era un periodo in cui mi sentivo molto solo e confuso riguardo al futuro: potevo restare dov’ero, o cogliere l’occasione, e che andasse come doveva andare. Voglio tenere quella sensazione dentro di me, per ripartire da lì ogni volta che mi troverò a fare una scelta.

La solitudine: è un tema importante per la sua generazion­e?

Lo è, specie quando sei giovane, ma anche quando sei vecchio. Tutti attraversi­amo quel buio che ti avvolge quando non sai bene chi sei o quali sono i motivi che ti fanno sentire così. Io sono fortunato, perché ho delle persone con cui condivider­e i pensieri che sento potrebbero farmi del male, senza provare vergogna.

Anche i personaggi del film sono alla ricerca di uno scopo.

Loro si trovano in quella fase dell’esistenza in cui tutto è dubbio, in bilico: la scelta stupida del singolo condiziona il gruppo, una tragedia toglie loro ogni ragione per continuare. Conosco la sensazione di perdere qualcuno nella vita: a me è successo con mio cugino Nicholas e con il mio amico Kay. Forse, se avessero capito che si può andare avanti, sarebbero ancora qui. La vita non è stata concepita per essere semplice e sono le difficoltà che ti rendono più forte e consapevol­e, non c’è altra via. Ma quando ne esci, lo fai con una prospettiv­a diversa che, chissà, può anche avvicinart­i alla felicità.

Con Grear Patterson avete fondato la ROD3O: la definite una compagnia di produzione di contenuti di qualità per la generazion­e Z. E cioè?

In America film e telefilm continuano a riprodurre un modello di gioventù che ha come scopo di vita i social media. Ecco, credo sia il momento di prendere i ragazzi un po’ più sul serio e di osservare le loro emozioni: sono persone che si sforzano di stare al mondo, che confondono la propria vulnerabil­ità con la debolezza. Parlare di sentimenti: credo sia questa, oggi, la chiave.

Tornando agli Stati Uniti: quali sono le storie che ha senso raccontare? Quelle che ci ricordano che esiste la possibilit­à di un cambiament­o: agli americani è stato tolto il sogno, non hanno più una visione. Invece dovrebbero ancora desiderare di costruire un futuro migliore, più sicuro per tutti: dovrebbero sentirsi cittadini del mondo, invece di difendere il loro asfittico cortiletto.

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Fashion Editor: Nicolò Andreoni. Grooming: Daniele Falzone using Redken Brews Ourplay @Atomo
Abito in flanella di cashmere, maglia a collo alto in tessuto tecnico BOTTEGA V E N E TA Fashion Editor: Nicolò Andreoni. Grooming: Daniele Falzone using Redken Brews Ourplay @Atomo

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