Anatomia dell’uno
Rendere visibili i Big Data: disgregando, illustrando. E diventando un caso
Ha trovato la sua strada quando ha capito per la prima volta che organizzare bottoni e filati per colori e dimensioni non era solo lo svago di una bambina che passava i pomeriggi con la nonna sarta, ma una vocazione per la catalogazione. «Tutti pensavano che fossi un po’ ossessiva», commenta Giorgia Lupi. Invece stava già testando il suo approccio all’information design, il nodo di raccordo tra chi produce dati e chi ne fa uso. Disegnare con i numeri è infatti diventata la sua cifra stilistica, che l’ha portata a diventare partner di Pentagram, a New York, uno degli studi di comunicazione più influenti al mondo per come ha a formato la nostra cultura visiva. In un’epoca ossessionata dai Big Data, Lupi trasforma quei dati in esperienze, in qualcosa che può essere visto e percepito attraverso i sensi: opere d’arte, collezioni di moda, racconti visivi. «Non è una semplice passione per i numeri, ma per la loro categorizzazione: il design è il mezzo che uso per mostrare i dati invisibili delle nostre vite».
Un sistema che ha applicato anche a una capsule disegnata per & Other Stories. Sì, per raccontare l’impatto di tre donne speciali in ambito scientifico: Ada Lovelace, la prima programmatrice informatica, Rachel Carson, la prima ambientalista, Mae Jemison, la prima astronauta afroamericana. Ho visualizzato graficamente le loro scoperte e i loro risultati: la collezione è andata esaurita.
Parla spesso di Data Humanism: intende che i dati hanno una componente umana? Esatto, perché sono artefatti dell’uomo, mai completamente oggettivi. Vanno ricondotti a chi li ha raccolti, al quesito che aveva in testa e al momento storico. Le cifre sono solo l’inizio di una conversazione, non la risposta a tutte le nostre domande.
Ma in questo modo non si rischia di azzerare il valore assoluto dei numeri? Mettiamola così: ogni volta che qualcuno lavora con i dati, diventa l’autore della storia. La questione è come decide di rappresentarli, se aggregati o scomposti. Con una torta, un istogramma o, come è il mio caso, inventando un linguaggio visivo che mostri le risposte.
A questo proposito: nel suo intervento ai TED lei ha citato le elezioni politiche italiane del 1994 per la fallibilità dei conteggi. Avevo 13 anni e lo ricordo come ieri: tutti, media inclusi, escludevano la vittoria di Silvio Berlusconi, come quella di Donald Trump negli Stati Uniti del 2016. Le previsioni, i sondaggi, gli exit poll sono delle semplificazioni fuorvianti, che non rappresentano la realtà. Perciò preferisco le visualizzazioni granulari, anche se imperfette: i miei progetti rappresentano le singole quantità all’interno del totalone, ma mostrano quello che il dato contiene.
Per capirsi meglio: è la stessa regola alla base del progetto Dear Data, durante il quale ha condiviso per un anno cartoline illustrate con la designer Stefanie Posavec?
Un po’ sì. Oggi quel progetto fa parte della collezione permanente del Moma: volevamo capire se è possibile conoscere una persona attraverso i suoi dati. Con Stefanie abbiamo stilato una lista di 52 argomenti utili a raccontare chi siamo: da come si passa la giornata a quanti libri si posseggono. Ogni settimana veniva visualizzato un tema sulla cartolina, con i numeri tradotti in disegni. È stato come un percorso di psicoterapia: mi ha insegnato a prestare attenzione alle cose, a farmi più domande, a osservare di più.
LOREDANA SAPORITO