Era destino
Quando l’ansia diventa un superpotere per scalare il successo
Crescere tra la madre Neneh Cherry, sovrana rap e trip-hop il cui album, Raw Like Sushi, uscito nel 1989, è da collezione, e il padre Cameron Mcvey, il produttore che ha trasformato il metallo grezzo dei Massive Attack e delle All Saints in oro: se sei Mabel, la figlia, sembra ovvio che fine farai. «È il dna, signori», inizia mentre prende posto nella saletta della casa discografica milanese. «Ho cominciato a suonare il pianoforte e a scegliere le parole delle mie canzoni che avevo appena terminato l’asilo». Adesso che ha 24 anni (li compie il 20 febbraio) Mabel è a buon titolo un fenomeno del pop con oltre un miliardo di stream, un tot di premi come l’mtv Brand New Award nel 2018 e una hit, Don’t Call Me Up, da quasi 180 milioni di clic su Vevo. Una canzone che è un vero inno al girl power. «Sono cresciuta imitando Beyoncé allo specchio e adesso voglio copiarla nel lavoro: oltre a divertire, i suoi brani lanciano messaggi positivi alle donne, primo fra tutti l’invito ad accettare il proprio corpo».
Chi considera, invece, un esempio da seguire nella vita?
La mamma, una guerriera dolcissima. Senza di lei, e con papà pronto a soccorrerci, non sarei riuscita ad affrontare ansia e depressione.
Ricorda la prima volta che ne ha sofferto? Certo, a sei anni: mi mancava l’aria e piangevo disperata. Però i miei genitori erano lì per tranquillizzarmi. Mi dicevano: sei molto sensibile e perciò le emozioni ti travolgono. Da oggi li chiamiamo superpoteri: vedrai che ti aiuteranno a entrare subito in sintonia con i tuoi compagni di classe.
Avevano ragione?
Sì. Sono una persona capace di grande empatia. Credo derivi da questo spleen che ho dentro da sempre: quando ho capito che era una parte integrante di me, ho smesso di combatterlo e ho imparato a sfruttare quei famosi superpoteri della mia infanzia.
Come lo fa?
Attraverso le canzoni. Al mio buio interiore ne ho dedicata persino una: Ok (Anxiety Anthem). Dentro i miei pezzi entrano l’inquietudine e il tormento ed escono la consapevolezza e la serenità.
A parte questo, come si descriverebbe? Sono una perfezionista e piuttosto ambiziosa: quando ho raggiunto un obiettivo, alzo l’asticella e punto dritta al successivo. Il titolo del mio album di debutto, High Expectations, parla per me. L’ho anche tatuato sul collo.
Quali grandi aspettative ha, allora?
Di riempire le arene: se il mio primo tour europeo (il 24 febbraio a Milano, ai Magazzini Generali) mi sta già riempiendo di gioia, quanto mi renderebbe felice portare il mio show dal Canada all’australia?
È nata a Málaga, da piccola si è trasferita con la famiglia a Stoccolma e adesso abita a Londra: dove si sente a casa sua?
Proprio perché mi sono formata in ambienti diversi e mi scorre sangue afroamericano, inglese, svedese e scozzese nelle vene, sto bene ovunque. Per sentirmi a casa mi bastano i fan: sui social abbiamo creato una community che è diventata una famiglia e ogni occasione è buona per incontrarci, scambiare opinioni e raccontare esperienze. Attacchi di panico inclusi: condividere le difficoltà fa sentire meno soli e alleggerisce l’anima.