FABIO QUARTARARO
L’enfant prodige della Moto GP è pronto per la stagione. Con tanta calma e nel segno del suo idolo Valentino Rossi
È il più giovane ad aver conquistato una pole position nella Motogp. È l’astro nascente, tanto che dal 2021 prenderà il posto del maestro Valentino Rossi nel team Yamaha. Ecco come lo stiloso FABIO QUARTARARO si prepara a lasciare il segno. Dopo aver assaggiato il calice della sconfitta
Il Motomondiale è appena iniziato sul circuito di Losail, in Qatar, per proseguire in Thailandia, e l’enfant prodige francese Fabio Quartararo sa perfettamente come affrontarlo. «La mia seconda stagione sarà un trampolino di lancio», dice. «Voglio sfruttare tutte le mie capacità. Il metodo l’ho trovato: stare calmo. Solo così il cervello può funzionare a pieno regime. I muscoli sono indispensabili per governare un bolide che pesa più del doppio di me, ma la vera forza sta nella mente. Ho selezionato la mia playlist rap preferita, allontanato i pensieri brutti e intendo respirare emozioni belle. Voglio essere la versione migliore di me stesso. Sicuro che la prima vittoria, mancata troppe volte per un soffio, accompagnerà il prossimo sorpasso».
Fabio Quartararo è arrivato all’appuntamento spaccando il minuto. Dopo un passaggio rapido sotto le dita dell’hair stylist, si avvicina alla vetrata panoramica del set fotografico, in un roof garden con piscina e vista su Milano. Indossa giubbotto in pelle, camicia, cravatta, pantaloni casual, biker e un sorriso timido: «Non ho mai posato per un servizio di moda. Spero di cavarmela», ammette. Poi, però, davanti all’obiettivo del fotografo si muove con la naturalezza di un cover boy esperto. Che gli riesca tutto al primo colpo?
Al debutto in Motogp, nel 2019, il pilota motociclistico francese ha raccolto sei pole position, sette podi e il quinto posto in classifica generale: una serie di risultati straordinari grazie ai quali ha conquistato a mani basse il titolo di Rookie of the Year (con quattro gare d’anticipo sulla fine della competizione e l’immancabile T-shirt celebrativa). E pensare che all’inizio nessuno avrebbe scommesso su di lui: Fabio Quartararo arrivava da un quadriennio anonimo, che tra Moto3 e Moto2 lo aveva visto sul gradino più alto del podio solo una volta. «Io, invece, su me stesso avrei puntato eccome», ammette. «So quanto valgo e alla quarta tappa, a Jerez de la Frontera, l’ho dimostrato, togliendomi la prima soddisfazione: la pole position a 20 anni e 14 giorni resta il record di precocità». Soffiato a quel “cannibale” di Marc Márquez con 54 giorni di scarto.
Il breve, ma ricco curriculum del francese si è trasformato nel pass di accesso al club più esclusivo del campionato, riservato ai top rider del pianeta: l’anno prossimo Monsieur magique si trasferirà infatti dal team privato Petronas Yamaha SRT alla gloriosa scuderia ufficiale Yamaha. E non al posto di uno qualunque: Quartararo sostituirà addirittura Valentino Rossi, che ha 20 anni esatti più di lui e che è il suo mito di sempre.
«Se mi trovo qui è anche perché mi ha tra
volto e ispirato con la sua passione», racconta. «Sono cresciuto guardandolo in tv e nei poster con cui avevo interamente rivestito le pareti della mia stanza. “Voglio diventare come lui”, mi ripetevo di continuo. Figurarsi che effetto mi faccia oggi affiancarlo alla griglia di partenza. Ogni domenica realizzo il sogno della mia vita. Ora, in gara avremmo preferito non ci fosse, dà mezzo secondo a tutti, ma la verità è che così ci sprona ad andare forte. Mi ha definito una “bega”. Non conoscevo il termine e gli ho chiesto la traduzione: in pratica, sarei un “impiccio”, una “seccatura”. Detto da Vale, lo considero un complimento esagerato». L’incertezza linguistica non deve trarre in inganno, perché Fabio parla un ottimo italiano. E non a caso: il cognome si pronuncia alla francese (con accento sulla “o” finale), ma non lascia dubbi sulle origini della famiglia paterna. Siciliane, per l’esattezza, nella zona tra Calatafimi e Palermo. «Papà Etienne nel 1983 si è laureato campione di
Francia nella categoria 125 cc. Mi sono convinto che la passione per la moto sia una questione genetica: gli ho chiesto io, a quattro anni, di montare in sella e non ne sono più sceso».
Appena parla dei genitori, l’astro nascente del Motomondiale quasi si commuove. «Li ringrazierò in eterno: per consentirmi di correre si sono sottoposti a sacrifici enormi. Dai 6 ai 12 anni, per esempio, mi allenavo ogni weekend fuori città: papà mi accompagnava mentre mamma, parrucchiera, faceva gli straordinari. Non finirò mai di ripagare tutti i loro sforzi, ma mi sono già messo all’opera: grazie agli ingaggi del Mondiale li ho aiutati ad acquistare casa».
Anche Fabio Quartararo, in realtà, ha capito prestissimo cosa significhi rinunciare per realizzare i propri sogni: a soli 13 anni ha traslocato in Spagna, nei dintorni di Alicante, scortato dal suo manager. Lontano dai genitori ha dovuto imparare alla svelta a badare a se stesso, e solo la gioia di vincere i campionati nazionali del 2013 (il più giovane della storia) e del 2014 ha compensato in parte la loro mancanza.
A 15 anni, i suoi avversari lo chiamavano “El Diablo”, «un nomignolo che da allora mi porto dietro nel vero senso della parola: è stampato grande sul dorso della mia tuta». Sempre nel 2014, in suo favore, il regolamento del Motomondiale ha tolto il limite minimo d’accesso (16 anni) alla Moto3 per chi avesse già vinto il campionato spagnolo CEV.
«Non sono superstizioso, però in circuito mi accompagnano sempre le medagliette che mi ha regalato mamma Martine», racconta. «È il suo modo di starmi accanto, dal momento che evita il paddock come la peste perché non regge la paura di vedermi al manubrio. Nemmeno in diretta tv: guarda la gara dopo, quando ha la certezza che ne sia uscito sano e salvo. Mio padre invece assiste ai Gran Premi europei, ma mantenendosi sempre alla giusta distanza per consentirmi di non perdere la concentrazione».
Dopo il servizio fotografico Fabio ammette di essersi divertito a sperimentare outfit diversi: «Non sono abituato a capi slim e stretch», commenta. «Sarà perché trascorro la maggior parte del tempo sigillato “nell’armatura” da pilota casco,
– divisa in pelle di canguro e stivali e quindi
– nel tempo libero prediligo un guardaroba oversize e sneakers super comode. In fondo, lo stile va a braccetto con la disinvoltura: se un abito favoloso ti impaccia, cadi nel ridicolo». Quartararo confessa di dedicarsi volentieri allo shopping, di abbinare con cura felpe e jeans di cui ha l’armadio pieno, ed elegge a icona di stile un pilota di Formula 1: Lewis Hamilton. «In smoking o in tuta da ginnastica, è sempre impeccabile. Lo scorso dicembre abbiamo cenato insieme ad Abu Dhabi: aveva tagliato il traguardo
da poco, eppure sembrava uscito da una sfilata. Ha un gran gusto. Magari un giorno potrei anch’io, come lui, firmare una linea di abiti. Nel mentre sto facendo pratica con il mio merchandising».
Un’altra passione in comune con il campione delle quattro ruote sono i tatuaggi. «L’elenco è lungo e ne ho in programma altri per completare il braccio destro, che per adesso restano un segreto. I più importanti sono le date di nascita dei miei genitori e la cattedrale di Notre-dame, simbolo del mio Paese. Perché mi sento cittadino del mondo, ma con il cuore francese che batte nel petto».
A pranzo invece del classico “pasto
– dell’atleta” che non va oltre il riso in bianco, il pollo e le verdure alla griglia il
– fenomeno della Yamaha ordina a sorpresa un piatto di linguine al pomodoro, salmone, insalatona, poi ruba le patatine fritte all’assistente e assaggia perfino il dessert. Uno dei pochi strappi alla regola che si concede. «I doppi allenamenti quotidiani, in palestra e di motocross, durano almeno 5 ore complessive e non ammettono sgarri», spiega. «La preparazione della M1 nel box richiede meticolosità assoluta, 10 mesi ininterrotti di viaggi impongono massima puntualità. Il mio mestiere, insomma, si basa sul rigore. Dopo anni di regole categoriche la disciplina è diventata un elemento essenziale del mio carattere e la rispetto. Tranne a tavola. Per un semplice motivo: lo stress di programmare i menu mi causa più danni di una pizza. Raramente, comunque, eccedo, e in ogni caso: 68 kg di peso su 177 cm d’altezza sono perfetti».
Ipercontrollo e ritmi serrati richiedono però anche spazi di recupero. «Abito ad Andorra e il contatto con la natura mi aiuta a staccare la spina. Le montagne bastano e avanzano per un iperattivo come me, che assume dosi minime indispensabili di relax: non sto fermo un attimo nemmeno in vacanza. Alle Maldive, per dire, in mezzo al nulla, immagino che resisterei al massimo tre notti. A Bali temevo di sciogliermi sotto l’ombrellone, finché mi hanno salvato i campi da gioco di ogni genere: li ho passati in rassegna uno per uno. Per me non esiste valvola di sfogo migliore dello sport e i Pirenei sono il luogo ideale per le attività all’aperto: spesso trascino in giro per ore Jack (Miller, rider del team Pramac
Racing, ndr), mio vicino di casa: con lui ho costruito una bella amicizia, complici le trasferte che spesso affrontiamo insieme. Lui mi prende sempre in giro per il mio movimento perpetuo».
Ecco dove nasce l’impulso di sfrecciare a 340 km orari, sfidando il pericolo. «Senza adrenalina morirei: è la mia benzina naturale. Quando ne entra in circolo troppa, però, saltano i nervi e rischia di rovinare tutto. Come in Qatar l’anno scorso». In breve, la cronaca: nella tappa iniziale l’esordiente si è piazzato quinto nelle qualifiche caricandosi a mille. Assillato dalla pressione, però, a ridosso della partenza ha spento per sbaglio il prototipo ed è stato costretto a prendere il via dalla pit lane. «Dalla felicità sono precipitato nello sconforto totale: c’erano le premesse per lottare con i fuoriclasse e non avevo guadagnato mezzo punto. È stata una botta secca, inaspettata, che mi ha mandato ko. Anzi, la goccia che ha fatto traboccare il vaso: eppure in carriera avevo già assaggiato il sapore amaro della sconfitta. Quella sensazione orrenda mi è servita a capire che avevo bisogno di trasformare la tensione negativa in energia positiva e ho trovato il coraggio di chiedere aiuto a uno psicologo. Ho toccato il fondo, sono risalito a galla attraverso un lavoro introspettivo e alcuni esercizi facili et voilà, i benefici in pista sono arrivati subito».
«VIVO DI ADRENALINA, MA HO AVUTO IL CORAGGIO DI CHIEDERE AIUTO PER IMPARARE A DOSARLA»