GQ (Italy)

FABIO QUARTARARO

L’enfant prodige della Moto GP è pronto per la stagione. Con tanta calma e nel segno del suo idolo Valentino Rossi

- Testo di CRISTINA MARINONI Foto di ALESSANDRO OLIVA Servizio di NICOLÒ ANDREONI

È il più giovane ad aver conquistat­o una pole position nella Motogp. È l’astro nascente, tanto che dal 2021 prenderà il posto del maestro Valentino Rossi nel team Yamaha. Ecco come lo stiloso FABIO QUARTARARO si prepara a lasciare il segno. Dopo aver assaggiato il calice della sconfitta

Il Motomondia­le è appena iniziato sul circuito di Losail, in Qatar, per proseguire in Thailandia, e l’enfant prodige francese Fabio Quartararo sa perfettame­nte come affrontarl­o. «La mia seconda stagione sarà un trampolino di lancio», dice. «Voglio sfruttare tutte le mie capacità. Il metodo l’ho trovato: stare calmo. Solo così il cervello può funzionare a pieno regime. I muscoli sono indispensa­bili per governare un bolide che pesa più del doppio di me, ma la vera forza sta nella mente. Ho selezionat­o la mia playlist rap preferita, allontanat­o i pensieri brutti e intendo respirare emozioni belle. Voglio essere la versione migliore di me stesso. Sicuro che la prima vittoria, mancata troppe volte per un soffio, accompagne­rà il prossimo sorpasso».

Fabio Quartararo è arrivato all’appuntamen­to spaccando il minuto. Dopo un passaggio rapido sotto le dita dell’hair stylist, si avvicina alla vetrata panoramica del set fotografic­o, in un roof garden con piscina e vista su Milano. Indossa giubbotto in pelle, camicia, cravatta, pantaloni casual, biker e un sorriso timido: «Non ho mai posato per un servizio di moda. Spero di cavarmela», ammette. Poi, però, davanti all’obiettivo del fotografo si muove con la naturalezz­a di un cover boy esperto. Che gli riesca tutto al primo colpo?

Al debutto in Motogp, nel 2019, il pilota motociclis­tico francese ha raccolto sei pole position, sette podi e il quinto posto in classifica generale: una serie di risultati straordina­ri grazie ai quali ha conquistat­o a mani basse il titolo di Rookie of the Year (con quattro gare d’anticipo sulla fine della competizio­ne e l’immancabil­e T-shirt celebrativ­a). E pensare che all’inizio nessuno avrebbe scommesso su di lui: Fabio Quartararo arrivava da un quadrienni­o anonimo, che tra Moto3 e Moto2 lo aveva visto sul gradino più alto del podio solo una volta. «Io, invece, su me stesso avrei puntato eccome», ammette. «So quanto valgo e alla quarta tappa, a Jerez de la Frontera, l’ho dimostrato, togliendom­i la prima soddisfazi­one: la pole position a 20 anni e 14 giorni resta il record di precocità». Soffiato a quel “cannibale” di Marc Márquez con 54 giorni di scarto.

Il breve, ma ricco curriculum del francese si è trasformat­o nel pass di accesso al club più esclusivo del campionato, riservato ai top rider del pianeta: l’anno prossimo Monsieur magique si trasferirà infatti dal team privato Petronas Yamaha SRT alla gloriosa scuderia ufficiale Yamaha. E non al posto di uno qualunque: Quartararo sostituirà addirittur­a Valentino Rossi, che ha 20 anni esatti più di lui e che è il suo mito di sempre.

«Se mi trovo qui è anche perché mi ha tra

volto e ispirato con la sua passione», racconta. «Sono cresciuto guardandol­o in tv e nei poster con cui avevo interament­e rivestito le pareti della mia stanza. “Voglio diventare come lui”, mi ripetevo di continuo. Figurarsi che effetto mi faccia oggi affiancarl­o alla griglia di partenza. Ogni domenica realizzo il sogno della mia vita. Ora, in gara avremmo preferito non ci fosse, dà mezzo secondo a tutti, ma la verità è che così ci sprona ad andare forte. Mi ha definito una “bega”. Non conoscevo il termine e gli ho chiesto la traduzione: in pratica, sarei un “impiccio”, una “seccatura”. Detto da Vale, lo considero un compliment­o esagerato». L’incertezza linguistic­a non deve trarre in inganno, perché Fabio parla un ottimo italiano. E non a caso: il cognome si pronuncia alla francese (con accento sulla “o” finale), ma non lascia dubbi sulle origini della famiglia paterna. Siciliane, per l’esattezza, nella zona tra Calatafimi e Palermo. «Papà Etienne nel 1983 si è laureato campione di

Francia nella categoria 125 cc. Mi sono convinto che la passione per la moto sia una questione genetica: gli ho chiesto io, a quattro anni, di montare in sella e non ne sono più sceso».

Appena parla dei genitori, l’astro nascente del Motomondia­le quasi si commuove. «Li ringrazier­ò in eterno: per consentirm­i di correre si sono sottoposti a sacrifici enormi. Dai 6 ai 12 anni, per esempio, mi allenavo ogni weekend fuori città: papà mi accompagna­va mentre mamma, parrucchie­ra, faceva gli straordina­ri. Non finirò mai di ripagare tutti i loro sforzi, ma mi sono già messo all’opera: grazie agli ingaggi del Mondiale li ho aiutati ad acquistare casa».

Anche Fabio Quartararo, in realtà, ha capito prestissim­o cosa significhi rinunciare per realizzare i propri sogni: a soli 13 anni ha traslocato in Spagna, nei dintorni di Alicante, scortato dal suo manager. Lontano dai genitori ha dovuto imparare alla svelta a badare a se stesso, e solo la gioia di vincere i campionati nazionali del 2013 (il più giovane della storia) e del 2014 ha compensato in parte la loro mancanza.

A 15 anni, i suoi avversari lo chiamavano “El Diablo”, «un nomignolo che da allora mi porto dietro nel vero senso della parola: è stampato grande sul dorso della mia tuta». Sempre nel 2014, in suo favore, il regolament­o del Motomondia­le ha tolto il limite minimo d’accesso (16 anni) alla Moto3 per chi avesse già vinto il campionato spagnolo CEV.

«Non sono superstizi­oso, però in circuito mi accompagna­no sempre le medagliett­e che mi ha regalato mamma Martine», racconta. «È il suo modo di starmi accanto, dal momento che evita il paddock come la peste perché non regge la paura di vedermi al manubrio. Nemmeno in diretta tv: guarda la gara dopo, quando ha la certezza che ne sia uscito sano e salvo. Mio padre invece assiste ai Gran Premi europei, ma mantenendo­si sempre alla giusta distanza per consentirm­i di non perdere la concentraz­ione».

Dopo il servizio fotografic­o Fabio ammette di essersi divertito a sperimenta­re outfit diversi: «Non sono abituato a capi slim e stretch», commenta. «Sarà perché trascorro la maggior parte del tempo sigillato “nell’armatura” da pilota casco,

– divisa in pelle di canguro e stivali e quindi

– nel tempo libero prediligo un guardaroba oversize e sneakers super comode. In fondo, lo stile va a braccetto con la disinvoltu­ra: se un abito favoloso ti impaccia, cadi nel ridicolo». Quartararo confessa di dedicarsi volentieri allo shopping, di abbinare con cura felpe e jeans di cui ha l’armadio pieno, ed elegge a icona di stile un pilota di Formula 1: Lewis Hamilton. «In smoking o in tuta da ginnastica, è sempre impeccabil­e. Lo scorso dicembre abbiamo cenato insieme ad Abu Dhabi: aveva tagliato il traguardo

da poco, eppure sembrava uscito da una sfilata. Ha un gran gusto. Magari un giorno potrei anch’io, come lui, firmare una linea di abiti. Nel mentre sto facendo pratica con il mio merchandis­ing».

Un’altra passione in comune con il campione delle quattro ruote sono i tatuaggi. «L’elenco è lungo e ne ho in programma altri per completare il braccio destro, che per adesso restano un segreto. I più importanti sono le date di nascita dei miei genitori e la cattedrale di Notre-dame, simbolo del mio Paese. Perché mi sento cittadino del mondo, ma con il cuore francese che batte nel petto».

A pranzo invece del classico “pasto

– dell’atleta” che non va oltre il riso in bianco, il pollo e le verdure alla griglia il

– fenomeno della Yamaha ordina a sorpresa un piatto di linguine al pomodoro, salmone, insalatona, poi ruba le patatine fritte all’assistente e assaggia perfino il dessert. Uno dei pochi strappi alla regola che si concede. «I doppi allenament­i quotidiani, in palestra e di motocross, durano almeno 5 ore complessiv­e e non ammettono sgarri», spiega. «La preparazio­ne della M1 nel box richiede meticolosi­tà assoluta, 10 mesi ininterrot­ti di viaggi impongono massima puntualità. Il mio mestiere, insomma, si basa sul rigore. Dopo anni di regole categorich­e la disciplina è diventata un elemento essenziale del mio carattere e la rispetto. Tranne a tavola. Per un semplice motivo: lo stress di programmar­e i menu mi causa più danni di una pizza. Raramente, comunque, eccedo, e in ogni caso: 68 kg di peso su 177 cm d’altezza sono perfetti».

Ipercontro­llo e ritmi serrati richiedono però anche spazi di recupero. «Abito ad Andorra e il contatto con la natura mi aiuta a staccare la spina. Le montagne bastano e avanzano per un iperattivo come me, che assume dosi minime indispensa­bili di relax: non sto fermo un attimo nemmeno in vacanza. Alle Maldive, per dire, in mezzo al nulla, immagino che resisterei al massimo tre notti. A Bali temevo di scioglierm­i sotto l’ombrellone, finché mi hanno salvato i campi da gioco di ogni genere: li ho passati in rassegna uno per uno. Per me non esiste valvola di sfogo migliore dello sport e i Pirenei sono il luogo ideale per le attività all’aperto: spesso trascino in giro per ore Jack (Miller, rider del team Pramac

Racing, ndr), mio vicino di casa: con lui ho costruito una bella amicizia, complici le trasferte che spesso affrontiam­o insieme. Lui mi prende sempre in giro per il mio movimento perpetuo».

Ecco dove nasce l’impulso di sfrecciare a 340 km orari, sfidando il pericolo. «Senza adrenalina morirei: è la mia benzina naturale. Quando ne entra in circolo troppa, però, saltano i nervi e rischia di rovinare tutto. Come in Qatar l’anno scorso». In breve, la cronaca: nella tappa iniziale l’esordiente si è piazzato quinto nelle qualifiche caricandos­i a mille. Assillato dalla pressione, però, a ridosso della partenza ha spento per sbaglio il prototipo ed è stato costretto a prendere il via dalla pit lane. «Dalla felicità sono precipitat­o nello sconforto totale: c’erano le premesse per lottare con i fuoriclass­e e non avevo guadagnato mezzo punto. È stata una botta secca, inaspettat­a, che mi ha mandato ko. Anzi, la goccia che ha fatto traboccare il vaso: eppure in carriera avevo già assaggiato il sapore amaro della sconfitta. Quella sensazione orrenda mi è servita a capire che avevo bisogno di trasformar­e la tensione negativa in energia positiva e ho trovato il coraggio di chiedere aiuto a uno psicologo. Ho toccato il fondo, sono risalito a galla attraverso un lavoro introspett­ivo e alcuni esercizi facili et voilà, i benefici in pista sono arrivati subito».

«VIVO DI ADRENALINA, MA HO AVUTO IL CORAGGIO DI CHIEDERE AIUTO PER IMPARARE A DOSARLA»

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Nella pagina accanto, giubbotto, camicia, pantaloni, cintura e stivali DSQUARED2. Grooming: Franco Chessa @W-mmanagemen­t
Giubbotto, T-shirt, jeans e cintura DSQUARED2. Nella pagina accanto, giubbotto, camicia, pantaloni, cintura e stivali DSQUARED2. Grooming: Franco Chessa @W-mmanagemen­t
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