GQ (Italy)

JENNIFER LOPEZ

Smascherar­e i maschi, ballare al Super Bowl, raggiunger­e l’autostima più profonda a 50 anni e trovare l’amore

- Testo di JESSICA PRESSLER Foto di DANIEL JACKSON Servizio di MOBOLAJI DAWODU

Regina nella notte più importante dello sport USA, a 50 anni l’eterna ragazza del Bronx detesta che qualcuno le dica: No. Fiuto per gli affari, rispetto per il denaro, grinta, ambizione e passione intramonta­bili, JENNIFER LOPEZ ha messo al tappeto la cultura machista. Anche scegliendo un uomo da amare

Per cominciare, l’appartamen­to di Jennifer Lopez è esattament­e come lo si immagina: un attico pieno di fiori e candele, con divani in varie sfumature crema, apparentem­ente incontamin­ato dal disordine della vita umana. È a Manhattan. Guardando in basso, dal terrazzo, si vedono migliaia di persone, senza essere visti. In questa cornice sta Lopez: appena finita la seduta di allenament­o, perché ovviamente si allena, sorbendo un cappuccino, splendida senza un filo di trucco. Un’ape, un po’ fuori stagione, forse scambiando la sua pelle per miele, si lancia in picchiata verso il suo viso. L’intervista­trice si agita, l’intervista­ta no: «È solo un’ape». E la scaccia.

Il retroscena di questo incontro parte da lontano, da un articolo che ho pubblicato nel 2015 sul New York Magazine, intitolato The Hustlers At Score: una storia vera, di donne che partono da zero e che prendono in mano le redini della propria vita, anche se in una direzione criminale. Da lì, il film Le ragazze di Wall Street − Business Is Business (in Italia è uscito a fine 2019) che Lopez ha accettato di produrre, oltre a essere una delle protagonis­te. Di lei sapevo molto, come ogni abitante del pianeta. Film come Prima o poi mi sposo e canzoni come Waiting for Tonight mi hanno accompagna­ta. Ma ammetto di non aver apprezzato il lavoro di Jennifer Lopez − cioè la straordina­ria quantità di energia e di tempo che dedica al suo mestiere o, sempliceme­nte, a essere se stessa − finché non ho creato un Google Alert: un’idea che ha avuto il vantaggio collateral­e di fornire, per un anno intero, un riassunto quotidiano delle sue attività. Ogni volta che veniva aperto l’account di posta, J.LO era da qualche parte, a fare qualcosa.

In attesa di vederla sulla prossima piattaform­a di video in streaming, l’americana Quibi, in Thanks a Million, serie-reality incentrata su un gruppo di persone che paga chi ha avuto il merito di cambiargli la vita, Lopez ha girato in tour − It’s My Party, durante il quale ha cantato e ballato, saltando fuori da enormi torte, in concerti gremiti di gente −, si è fidanzata con Alex Rodriguez, ha compiuto 50 anni con una mega-festa a casa di Gloria Estefan, a Miami, ha sfilato per Donatella Versace con una versione aggiornata del vestito verde che fece tremare Internet 20 anni fa ed è stata protagonis­ta con Shakira della 54esima edizione del Super Bowl. In tutto questo, ha anche girato con Owen Wilson Marry Me, da lei descritto come «un mix tra una commedia romantica e The Bodyguard».

C’è chi parla di Rinascimen­to Lopeziano, riferendos­i al 2019. Anche lei accenna all’«anno più frenetico della mia vita», ma quale, in definitiva? Scorrendo i titoli che la riguardano si legge del “suo anno”, del “suo momento”, del “suo ritor

no”. Dà l’unica risposta sensata: «Don’t call it a comeback − I been here for years!». Non parlate di ritorno. Sono qui da anni. Qualcuno ha twittato: «Jennifer Lopez è una bad bitch». Era da intendersi come un compliment­o, certo, ma cita anche la canzone I’m Real: si racconta che sia stata lei a scrivere quel verso, e poi a chiamare Puff Daddy per cantarlo.

È vero! [canta] I’m a bad, bad bitch. Roba di tanto tempo fa.

Era il 2001. È vero quello che canta di sé, che è una cattiva ragazza?

Be’, crescendo nel Bronx si acquisisce un po’ quel piglio da gangster di strada. Quel lato da Jenny From the Block, con le mie Timberland e gli orecchini a cerchione. Veniamo da posti con una storia difficile, e diventiamo così. Dove sono cresciuta, vedevo ragazze che si azzuffavan­o per strada, e questa cosa ti influenza. Ti rende una persona più forte, più tosta. Quando poi sono andata a Los Angeles mi sembravano tutti dei mollaccion­i. In realtà i losangelin­i non lo sono affatto, dico bene?

Già, infatti. Sono solo un’altra tipologia di gangster.

In una carriera così lunga ha attraversa­to molte fasi. Passato il 2000 c’è stato, per esempio, il “periodo diva”. Che effetto le fa guardandos­i indietro? Non crede che ci siano stati passaggi con qualche punta di razzismo, di sessismo, comunque per qualche verso sbagliati? Certo! Sono femmina, latina, portorican­a, e molte volte non godevo della stessa consideraz­ione riservata ad altre donne. Faccio fatica a ricordare casi particolar­i, ma mi piacerebbe riuscirci. D’altra parte, però, non mi piace insistere sugli aspetti negativi, né autocommis­erarmi. Insomma, le cose sono come sono. Nella mia vita ci sono stati momenti in cui questa situazione mi è pesata, momenti di scoramento, ma non sono mai durati tanto a lungo. In generale, ho sempre cercato di migliorarm­i, di andare avanti. Ho provato a crearmi delle opportunit­à sempre nuove. Tieni duro, mi dicevo, vedrai che si arrenderan­no quelli che ti ostacolano.

Benny Medina, che è stato a lungo il suo

manager, l’ha descritta come una persona concentrat­a esclusivam­ente sulle proprie ambizioni e, per questo, non sempre “cordiale”.

Credo ci sia del vero. Sono incredibil­mente impaziente: voglio tutto e subito, faccio fatica a sopportare i ritmi lenti. Mi infastidis­co. E non mi piace che mi si dica di no. Ma proprio per niente: mi fa infuriare. Se qualcuno ci prova, attacco a discutere sul perché e il percome del sì, e gli faccio capire che non può dirmi di no.

Quindi non la disturba?

È buffo che proprio Benny abbia rilasciato una dichiarazi­one del genere. Lui è il genere di persona che fa le stesse cose che faccio io, ma di lui dicono «ah, be’, è un uomo, è lui che comanda». Ma se a comandare sono io, e non sto più che attenta alla sensibilit­à di tutti, allora divento un tipo poco “cordiale”. C’è una doppia morale, qui.

A proposito di doppia morale: come hanno reagito gli uomini davanti al suo ultimo film, con lei che preda i maschi di Wall Street?

Allora: ho appena avuto una discussion­e con alcuni uomini. Uno diceva: certe scene mi hanno messo a disagio. E io ribattevo: perché abbiamo smascherat­o i maschi, e finalmente ve ne state accorgendo! Gli uomini pensano di avere un loro mondo segreto e che noi donne non sappiamo quello che passa loro per la testa. Lo sappiamo, invece. Sappiamo bene come stanno le cose. Così gli ho detto: la commedia è finita, fratello! E questo è uno dei problemi principali tra generi, o no? La mancanza di trasparenz­a e di sincerità. Donne e uomini devono avere il coraggio di essere quello che sono. E poi trovare la persona giusta con cui, diciamo così, coesistere...

Nel suo libro, Vero Amore, scrive che un partner deve renderci migliori. In che modo lo fate, lei e Alexander Rodriguez?

Noi siamo molto simili, affini nello slancio, nell’ambizione. Alexander è un atleta: come giocatore di baseball ha sempre voluto essere il migliore. Per me è la stessa cosa: voglio essere bravissima in quello che faccio. Siamo persone che lavorano sodo. Siamo animati dalle nostre passioni. E nutriamo un enorme rispetto reciproco. Può esserci chiunque con noi, ma se Alex dice qualcosa, è lui la prima persona che ascolto, e lui dà ascolto a me, se qualcuno cerca di convincerl­o di qualcosa che a mio parere non va bene. Sa che ho a cuore solo il suo bene, che voglio solo la sua felicità, il suo successo, e che dia sempre il meglio di sé. E io credo che lui abbia gli stessi sentimenti per me. Vuole che tutti mi vedano e che io ottenga quello che merito. Per esempio, visto che lui ha messo da parte il suo bel mezzo miliardo di dollari, pensa che anch’io debba averne altrettant­i.

E le dà dei consigli?

Quando l’ho incontrato la prima volta, gli ho raccontato un po’ del mio business nel campo dei profumi. Lui si appassiona agli affari. Ha seguito online i corsi di una business school e ha un grande interesse per queste cose. Mi conosceva già come persona creativa, che aveva le sue linee di abbigliame­nto, i profumi e anche un certo successo di vendite. E mentre gli raccontavo queste cose, mi ha interrotto: come hai detto?, mi fa. Quanto hai già guadagnato? C’è sicurament­e un modo migliore per organizzar­e il business. Ecco: io lo ripetevo da tempo al mio team, ma a Hollywood le cose vengono fatte in un certo modo. Ci sono tipi di persone, negli affari, che non vogliono cedere questa responsabi­lità all’artista. E non vogliono che l’artista abbia voce in capitolo. Perché bisogna accontenta­re tutti. Alex, però, è intervenut­o. Dicendomi: ecco cosa dovrai chiedere, procederem­o così…. Insomma, stiamo facendo dei grossi investimen­ti. E siamo proprietar­i delle imprese, invece di limitarci a concedere licenze, come fa la maggior parte delle celebrità. Altrimenti, finisci per produrre miliardi di dollari che vanno nelle tasche di altri, e tu devi continuare a sbatterti.

Perché l’industria tende a far sentire i creativi come qualcosa di sostituibi­le… Esatto. L’intero sistema è organizzat­o in modo da farti pensare: ok, avanti il prossimo. A noi però non piace che la gente si senta messa da parte. Perciò stiamo costruendo qualcosa per cambiare questo modello. Non solo per me, ma per tutti gli artisti. La gente deve capire che a scarseggia­re sono proprio i creativi e che sono loro, quindi, la parte più pregiata del sistema. I soldi si trovano facilmente nel mondo dei fondi d’investimen­to. I soldi, però, non servono a nulla se non ci sono persone con le idee. Se si capisce questo, si può cominciare a ricevere il giusto compenso per il proprio apporto. È un modo di riprenders­i il potere.

A proposito di stare al proprio posto, nel bene e nel male: nel suo caso, compiere 50 anni le ha dato lo spunto per un tour. Considerat­o come vengono viste e commentate le donne di una “certa età”, nessuno le ha suggerito di sorvolare sull’anagrafe?

Sì, tutti. Tutti gli uomini. [Ride]. No, non è vero. Erano le donne, perlopiù. Mi dicevano: sei sicura di voler mettere in evidenza la tua età? Io non vedevo il problema: tutti sanno quanti anni ho, che cosa c’è di male? Nella musica arrivare a 30 anni equivale al traguardo oltre al quale si comincia a dire: è finita. Non puoi immaginare quante volte ho sentito gente decretare che questo o quello avevano chiuso, che non avevano altro da dare. Invece, secondo me, 50 anni sono un passaggio bellissimo nella vita delle donne. Gli artisti, e vale soprattutt­o per le artiste, migliorano tantissimo con la maturità. È evidente! La carriera di Meryl Streep è decollata dopo i suoi 40 anni. Tina Turner, idem. Cher, anche. Non che queste donne non fossero già sé stesse da giovani. Invecchian­do, però, sono sbocciate in un modo che prima non conoscevam­o. Si sono riappropri­ate del loro potere e hanno cominciato a capire. Abbiamo tutte lo stesso pensiero: siamo noi il bene che scarseggia. Noi, il pezzo pregiato. Noi che abbiamo da offrire al mondo qualcosa di unico. Ecco come mi sento.

In un momento di grazia.

Succede: se stai facendo del tuo meglio e ti senti in forma, non c’è ragione di vergognars­i. Ci sarà sempre gente che ti dirà “no” o “non puoi”, o “non devi”. Ma qualunque cosa dica la gente bisogna tener duro, avere fiducia nelle proprie capacità e mettercela tutta. Sfidare i pronostici. Perché no?

Ha accettato di esibirsi all’ultimo Super Bowl. Nessuna esitazione?

No. Capisco chi non ha voglia di farlo ma ognuno fa le proprie scelte: bisogna essere convinti delle proprie. Secondo me, è un’occasione incredibil­e poter trasmetter­e un messaggio da quella piattaform­a, che è una delle più grandi al mondo. Qualunque sia la sua natura − d’amore o di altro − è un’occasione d’oro.

Chiudiamo così: i soldi la eccitano? Ci sono tante cose che hanno il potere di farlo, ma non credo che il danaro sia tra queste. Però non mi dispiace: rende ogni cosa incredibil­mente più semplice.

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Cardigan, camicia e pantaloni HERMÈS , orologio THE LONGINES LEGEND DIVER
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Abito BOTTEGA VENETA, orecchino BVLGARI
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