GQ (Italy)

USAIN BOLT L’uomo più veloce del mondo sta per diventare padre. E ha deciso di rallentare

USAIN BOLT , l’uomo più veloce del mondo, ha deciso di abbracciar­e un’esistenza in cui il tempo scorre piano, così assume più valore. Segue gli insegnamen­ti di Kobe Bryant e aspetta di capire il suo futuro. Specie adesso che diventerà padre

- Testo di SIMONA AIROLDI

Arriva ai Caraibi in elicottero, ma è l’unica rapidità che Usain Bolt si concede. L’uomo più veloce del pianeta – con il record imbattuto di 9”58 sui 100 metri piani e di 19”19 nei 200, entrambi conquistat­i ai Campionati mondiali di Berlino del 2009 – dopo aver appeso definitiva­mente le scarpette da corsa al chiodo, tre anni fa, ha deciso di procedere con calma. Per chi ha volato su ogni terreno possibile e messo in fila 8 ori olimpici e 11 iridati, scalare la marcia e abbracciar­e la lentezza può essere una reazione istintiva e fisiologic­a, quasi necessaria, agli anni scanditi da gare, cronometri e – soprattutt­o – da allenament­i incessanti e pressanti restrizion­i alimentari. «L’unica parte della vicenda che non mi manca per niente», ammette. «Quando correvo il mio unico obiettivo era andare il più veloce possibile, ma nel resto della mia esistenza voglio procedere piano e godermela. Perché la verità, so che è difficile da credere, è che sono profondame­nte pigro».

Le due vite di Usain Bolt, anche se in modo opposto, sono strettamen­te legate al tempo. Non a caso è ambasciato­re ufficiale di Hublot, la casa svizzera di orologi di lusso a cui presta il volto da alcune stagioni.

Al polso indossa uno dei 25 preziosi segnatempo in edizione limitata dedicati all’incredibil­e hotel Eden Rock, incastonat­o nella baia da cartolina di Saint-jean, sull’isola di Saint-barts. È bianco come la spiaggia di borotalco sullo sfondo. «Non ho mai comprato un orologio», confessa, «ma ricordo ancora il primo che ho avuto. Era il premio per una delle prime gare che ho vinto in Giamaica, il simbolo di una delle prime vittorie importanti. Non me lo sono tolto per mesi».

Nella sua seconda vita il campione giamaicano, 33 anni, si concede il lusso di perderlo, il tempo, invece di misurarlo. Ma quello di correre era un destino già scritto nel suo nome – bolt in inglese significa letteralme­nte freccia, fulmine, balzo –, nonostante la sua altezza (un metro e 95) non fosse esattament­e quella di un velocista. Per questo motivo, all’inizio della carriera in molti avevano tentato di dissuaderl­o. Per fortuna, invano.

«Ho sempre pensato che avrei fatto l’atleta», racconta. «In Giamaica è quasi una prassi: come da voi in Italia i ragazzi fanno carte false per diventare calciatori, noi ci sentiamo tutti sprinter. In più avevo l’esempio di mio padre, appassiona­to giocatore di cricket, che non stava mai fermo e passava le giornate ad allenarsi». Quanto alla pressione: non è mai stata un problema.

L’atteggiame­nto, ancor più dell’indiscussa potenza muscolare, è stato forse il vero segreto di questo gigante dal sorriso pronto. «La mentalità è fondamenta­le. Ora che non corro più mi rendo conto di quanto questo aspetto sia stato importante per me. Ho sempre avuto un’attitudine molto positiva, a costo di sembrare uno sbruffone. Agli inizi, quando arrivavo ai blocchi di partenza, mi ripetevo che non avevo niente di cui preoccupar­mi, che dovevo solo provarci e dare il massimo. Poi, quando ho battuto tutti i record, questa consapevol­ezza invece che darmi ansia mi ha regalato forza. Mi dicevo: “Sono l’uomo più veloce del mondo, perché mi devo preoccupar­e?”. Per me era quella la normalità, mi riusciva naturale. Dovevo solo guardare avanti e fare quello che sapevo».

È grazie ad atleti come lui se l’ambiente un po’ ingessato dell’atletica ha scoperto un modo più leggero di porsi, di competere e anche di festeggiar­e. I suoi salti elastici e le sue pose plastiche in vista del podio

hanno portato nuovi fan a lui e all’atletica.

«Volevo portare in pista eccitazion­e e divertimen­to, ma non è mai stata una strategia, qualcosa insomma di calcolato a tavolino. Ho sempre agito nel rispetto di me stesso. I giorni in cui non mi sentivo al massimo erano proprio quelli in cui mi convincevo a dare di più, mi gasavo. L’ho sempre fatto soprattutt­o per me, e poi per chi mi guardava allo stadio o in television­e». Ora, una vita da pensionato d’oro non è quello che ci si aspetta da un personaggi­o del genere.

Subito dopo il ritiro era stato ventilato il progetto, poco dopo accantonat­o, di giocare a calcio addirittur­a nel Manchester United. È stata smentita anche l’ipotesi di un suo debutto sui circuiti automobili­stici, che ha portato Usain Bolt perfino a qualche giro-show nella Formula 1. Cosa riservi davvero il futuro all’ex velocista, però, ancora non è dato sapersi.

«Tutti continuano a chiedermel­o, ma la verità è che non ho ancora deciso cosa farò “da grande” e onestament­e non voglio iniziare ad angosciarm­i ora per questo. Prima che morisse uno dei miei idoli, Kobe Bryant, stavo guardando una sua intervista che mi ha colpito molto: diceva che bisogna trovare qualcosa che ti rappresent­i, che ti faccia esprimere al meglio. E che bisogna sempre credere in se stessi, qualunque cosa si faccia, altrimenti nessuno lo farà al nostro posto. Ecco, io sto ancora cercando la mia nuova strada. Ma per come mi conosco, so che ci arriverò al momento giusto». Lo dice senza alcun rimpianto, piuttosto una rilassata e grata consapevol­ezza.

«Il successo mi ha dato l’opportunit­à di cambiare la mia vita, quella della mia famiglia e anche di aiutare molte altre persone. Ecco, è proprio quello che voglio continuare a fare, anche se non più da corridore profession­ista».

Il messaggio per chi verrà dopo di lui è tutto nelle sue imprese in pista, nel modo incredibil­e con cui Bolt ha sfidato il tempo. Dimostrand­o a suo modo che tutto è possibile: «Dico sempre alla gente di non limitarsi. Mai. Bisogna scoprire in cosa si è bravi e lavorare sodo per avere successo in quel campo. Divertendo­si il più possibile nel farlo. Solo così la vita può diventare migliore». È la stessa filosofia alla base della Usain Bolt Foundation, un’associazio­ne benefica il cui intento è quello, semplice e difficile, di «rendere i bambini felici, migliorand­one il carattere attraverso lo sviluppo educativo e culturale, lasciandol­i liberi di inseguire i propri sogni».

Di sicuro, c’è un bambino in particolar­e per cui Usain Bolt si impegnerà ancora una volta per superare se stesso: quello in arrivo. La modella giamaicana Kasi Bennett, fidanzata storica, sta infatti per renderlo padre. Lo ha annunciato lui stesso su Twitter a fine gennaio: «Voglio dirvi che sta per arrivare un re o una regina...». La vita è una ruota che gira, per alcuni più vorticosam­ente che per altri.

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 ??  ?? Bolt è l’unico atleta nella storia ad aver vinto l’oro nei 100 e nei 200 metri in tre edizioni consecutiv­e dei Giochi olimpici (Pechino 2008, Londra 2012 e Rio de Janeiro 2016) e in tre Campionati mondiali (Berlino 2009, Mosca 2013 e Pechino 2015). Felpa e pantaloni PUMA , orologio Big Bang Unico White di HUBLOT
Bolt è l’unico atleta nella storia ad aver vinto l’oro nei 100 e nei 200 metri in tre edizioni consecutiv­e dei Giochi olimpici (Pechino 2008, Londra 2012 e Rio de Janeiro 2016) e in tre Campionati mondiali (Berlino 2009, Mosca 2013 e Pechino 2015). Felpa e pantaloni PUMA , orologio Big Bang Unico White di HUBLOT

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