L’odiosa paura
Ha ridefinito il concetto di horror. E ora affronta l’angoscia femminile
Seduto su un divanetto in uno studio di produzione di Los Angeles, poco distante dal set fotografico dove Elisabeth Moss sta scattando le foto promozionali, Leigh Whannell sembra un padre soddisfatto, ansioso di mostrare al mondo la sua creatura. Australiano, 43 anni, jeans scuri e chiodo di pelle nera, Whannell mantiene la stessa espressione da ragazzino che aveva quando, nel 2004, stupì e conquistò il mondo grazie a Saw, il primo film della saga horror scritto da lui e dall’amico James Wan. Compagni di scuola alla film academy, i due hanno scritto e prodotto − e nel caso di Whannell anche recitato − in quella che ancora oggi è considerata una delle serie horror a basso budget di più grosso successo commerciale, responsabile di aver importato la violenza cinematografica estrema negli Stati Uniti. «Torture porn», lo chiamò all’epoca il critico del New York Magazine David Edelstein. «Horror che ha definito una generazione», lo definisce ancora oggi il New York Times.
Passato alla regia nel 2015 con il terzo capitolo di Insidious e dopo aver diretto, nel 2018, il cyber thriller Upgrade, oggi Whannell è alla sua prova più mainstream con L’uomo
invisibile (in sala dal 5/3). Basato molto alla lontana sul film culto del 1933, il film vede protagonista Elisabeth Moss nei panni di Cecilia, una donna intrappolata in una relazione abusiva con uno scienziato brillante quanto asfissiante: quando lui si uccide, lasciandole in eredità svariati milioni, Cecilia non crede alla sua morte e incomincia a fare esperienza di episodi paranormali, convinta che lui sia diventato invisibile e che la stia tormentando, mentre tutti intorno a lei non le credono e pensano che stia diventando pazza.
Come è arrivato a questo progetto?
È una sfida che mi è stata offerta, lo ammetto, e la prima cosa che ho pensato davanti al titolo è stata: qui c’è l’opportunità di fare un film sugli spazi vuoti, rendendoli spaventosi.
Creare paura dal nulla: una bella sfida. Avevo spesso la camera sul piedistallo, puntata verso il vuoto, e i miei assistenti a chiedermi se non volevo delle inquadrature di copertura, giusto per sicurezza. Lavorare sul baratro mette davvero alla prova il tuo coraggio. Alla fine sono contento di aver dato ascolto al mio istinto e di avere fatto il film che volevo fare.
Il suo film è completamente diverso dall’originale...
Sapevo che per realizzarne una versione moderna avevo bisogno di raccontare la storia dal punto di vista della vittima. E il punto di partenza è stato il concetto: donne che hanno paura degli uomini. Tornare a casa al buio, camminare per una strada isolata tenendo in mano le chiavi perché non si sa mai cosa può succedere, il cuore che pulsa più forte: sono esperienze che ogni donna ha avuto. Da uomo, sapere che le donne vivono così fa riflettere.
Si ricorda di quel film con Julia Roberts in cui lei ha un marito che la controlla e un giorno decide di scappare dalla casa sul mare in cui abitano…
A letto con il nemico, certo. Sì, ci sono alcune sfumature di quel film in questo, e anche qui c’è una donna che fugge da una relazione. C’è un intero sottogenere di thriller degli Anni 90 che adoro, di cui forse oggi ci si è dimenticati. Film come La mano sulla culla, Inserzione pericolosa, Attrazione fatale… è il cosiddetto “horror domestico”. Oggi i film sono tutti diventati giganteschi, con il mondo che sta per esplodere, mentre a me mancano i film a scala
ridotta, dove il pericolo è dentro le mura di casa.
Una delle scene più belle di A letto con il nemico è quando lei si accorge che il marito è tornato a perseguitarla dal fatto che in cucina tutti i barattoli di salsa sono allineati perfettamente.
Oppure quella in cui cerca di buttare l’anello nel water, ma rimane incastrato e lui lo trova. Un grande thriller è costruito così, con piccole rivelazioni. Ogni nuova scena è una nuova rivelazione: ho fatto lo stesso con L’uomo invisibile.
Nella saga di Saw l’horror e la violenza erano quasi estremi. Oggi come si pone rispetto a quella scelta?
È come avere figli. Non puoi forzare una personalità su un bambino. Puoi guidarlo, ma non puoi costringerlo a essere in un certo modo. Un figlio sarà chi vuole essere. E così i film.
aveva bisogno di essere viscerale e cupo. Aveva un budget molto basso e aveva bisogno di urlare per essere ascoltato, perché ottenesse attenzione. Questo film, raccontando di un uomo ossessionato dal controllo, chiedeva di essere allo stesso modo: controllato e clinico. Il prossimo sarà diverso.
L’horror, come genere, sembra non avere declino. L’anno scorso It ha incassato 700 milioni di dollari, Halloween 300, Get Out 250. Questi film portano letteralmente la gente al cinema.
Se stai guardando un dramma indipendente intimista non devi necessariamente vederlo in una grande sala con altre persone. Ma un film horror è viscerale e la sua visione dipende dalla partecipazione del pubblico: è come andare sulle montagne russe. Non penso che farle da soli sarebbe divertente: ci vogliono altre persone intorno, che gridano e provano le tue stesse emozioni.
Gli horror degli Anni 80 erano completamenti diversi da quelli odierni e all’epoca il genere non era così rispettato. Perché?
Ci sono grandi horror negli Anni 80: Shining su tutti. Quello che accadde allora fu l’avvento del VHS che aprì il mercato alle produzioni a basso costo. Molti produttori e cineasti ne hanno sfruttato la convenienza per girare film con budget minimi e all’improvviso l’horror non era più un genere serio, artisticamente degno. Oggi è trattato di nuovo seriamente. L’horror è come la commedia. Per fare una commedia fantastica devi prendere sul serio l’umorismo, non cercare risate a buon mercato. Oggi gente come Robert Eggers, Ari Aster, Jordan Peele stanno dando nuova dignità al genere.
Ha citato Jordan Peele: Get Out è considerato un horror politico.
In un certo senso lo sono tutti: l’horror è uno specchio che riflette le ansie della società. Quando il primo Saw uscì era un momento in cui si parlava molto dell’uso della tortura da parte del governo americano. L’horror è il modo in cui si elaborano le paure del momento. I film di John Carpenter sono politici. Lo stesso
Robocop, tutto sul capitalismo. Negli Anni 80 la paura veniva dalla guerra fredda, dieci anni fa dalla tecnologia, oggi dalle tensioni razziali: cambia la fonte, ma la razza umana non esaurirà mai i motivi per avere paura o essere preoccupata. Non ci sarà mai un momento storico in cui noi umani vivremo in completa serenità. Già il fatto che nasciamo e sappiamo di dover morire è sufficiente per costruirci intorno un film horror.
Non solo: la paura, a differenza dello humor, è universale, uguale in tutte le culture. Ecco perché un horror italiano può andare altrettanto bene negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Ciò che ci unisce è in realtà ciò che ci spaventa.
Se le chiedo i suoi tre horror preferiti?
Shining, La cosa e Lo squalo, ammesso di volerlo chiamare horror. E se devo dire un italiano aggiungo Profondo rosso, per me il migliore Dario Argento.