APPRODO DEL RE
Caraibi: dove Coppola girò Apocalypse Now c’è una Marina a 5 stelle
In nome del golf. «La mia prima volta a Casa de Campo è stata 35 anni fa», racconta Piero Giacosa. «Con mia moglie, Chiara Pozzi, arrivammo per le vacanze di Natale nel resort ai Caraibi ospiti degli amici Patti e Maurizia Croze. Casa de Campo nella Repubblica di Santo Domingo era conosciuta da noi golfisti: c’erano 2 campi progettati dal celebre Pete Dye. Siamo tutti dei vecchi soci di Barlassina; con lo sci, il golf è sempre stata la nostra passione. Che handicap? Ricordo quando al Golf di Monza per la gara Città di Milano oltre a me iscrissi Chiara e mia figlia Marina. In quel momento eravamo tutti 8 di handicap. “Testa di... non sai nemmeno fare l’iscrizione!”, mi sgridò l’allora presidente Livraghi. “No! Sei tu una testa...», ride ancora Piero Giacosa, 87 anni portati alla grandissima, a quel lontano ricordo. Oltre l’oceano, a mille miglia dall’italia, Giacosa, dopo aver salutato il capitano di Dar – il maxiyacht di 90 metri di Ziyad al Manaseer, magnate russo d’origine giordana, che è appena attraccato davanti allo Yacht Club di stile coloniale –, entra nel suo studio di presidente della società Marina di Casa de Campo, il porto commerciale a sud delle Bahamas meglio attrezzato dei Caraibi con 400 posti barca, tutti i servizi possibili (acqua, luce, eccetera) e infrastrutture come poche marine al mondo: 65 negozi, un supermercato, 7 ristoranti, 4 cinema e, per le emergenze, anche uno studio dentistico. Latitudine 18°24’11 N, longitudine 68°53’59 W. A soli 20 minuti dall’aeroporto internazionale de La Romana (voli diretti della compagnia Neos da Milano, Roma, Verona), Casa de Campo assicura per chi può permetterselo sole e totale relax nella magnifica vegetazione tropicale. Il lussuoso e superprotetto resort di proprietà di Central Romana – la corporation della famiglia Fanjul, magnati dello zucchero d’origine cubana – più volte si è aggiudicato la classifica di migliore al mondo per praticare il golf. Frequentato da Juan Carlos di Spagna e Bill Clinton, Sean Connery e sir Lindsay Owen-jones (oggi ha 5 campi per un totale di 90 buche, a cominciare dal celebre Teeth of The Dog dove ogni Pasqua si gioca il famoso torneo Sugar) girando in golf kart tra ville dagli eclettici stili (tra le altre quelle dei venezuelani Cisneros e Vargas e della francese Puig; tra gli italiani quelle di Paolo e Giuliana Clerici, di Luisa Loro Piana, dei Bassani, di Alberto Rusconi, Nicola Carraro e Mara Venier e, sul porto, dei Mentasti), l’albergo, il campo da polo, quelli da tennis e il maneggio. Superata la spiaggia con il Minitas Beach Club si scende alla foce del rio Chavon. Dove nel 1978 Francis Ford Coppola girò
Apocalypse Now, il mitico film della Paramount sulla guerra in Vietnam, ora ci sono le banchine della Marina di Casa de Campo costruita in una posizione privilegiata per le gite nelle acque turchesi della isla Catalina e della Palmilla e per la pesca d’altura al marlin (ma per evitare il peggio il ministero dell’ambiente dominicano ha creato lungo la costa la riserva naturale Santuario Marino Arrecifes del Sureste). Nel bel mezzo del Caribe la Marina de Casa de Campo batte bandiera italiana: è stata infatti ideata dal milanese Piero Giacosa e progettata dall’architetto romano Gianfranco Fini (omonimo dell’ex leader di An, ndr).
Come ricorda quest’ultimo nel libro Casa de
Campo Marina. Genesis de una idea (Edicion studio Fini Design), l’ispirazione nasce dai
vecchi «porti di pescatori del Mediterraneo». E, soprattutto, dall’indimenticabile esperienza negli Anni 60 in Sardegna, dove Fini aveva collaborato con Giacosa e gli amici Luigino e Nicolò Donà dalle Rose alla fondazione di Porto Rotondo. Rewind.
«L’ultima sera di quella vacanza ai Caraibi», spiega Piero Giacosa, «andammo a un cocktail nella stupenda villa sul mare di don Pedro, uno spagnolo molto noto. Quella sera Chiara e io ci siamo innamorati del luogo. Dapprima siamo tornati come affittuari. Quando decidemmo di comprare chiesi ad Alfonso detto “Alfi”, il maggiore dei fratelli Fanjul, se mi trovava qualcosa. Ormai i terreni più belli erano stati venduti, ma lui mi disse che forse un suo amico americano – causa divorzio miliardario – era costretto a vendere un lotto bellissimo a Cacique. Ero in Engandina quando ricevetti la telefonata di Alfonso dalla Florida (i Fanjul hanno casa a Palm Beach e uffici a Miami). Mi annunciò: “Sei proprietario, manda subito i soldi”. Era l’agosto 1989. Chiamai Fini: “Voglio costruire nel resort una casa”. “Dov’è Santo Domingo?”, mi rispose da Ponza. Progettò una villa magnifica con un tetto di 1.700 metri di canne». In seguito i Giacosa vendettero la villa che era vicino a quella di Silvana Mangano a Nanni Bassani, padre di Luca, l’inventore degli yacht Wally. Da anni in quel posto sorge la bianca villa di un altro supergolfista, Alberto Rusconi (anche questo Natale tra i suoi ospiti l’ad di Mondadori Ettore Mauri e moglie e il fotografo Bob Krieger) mentre Luca Bassani con la bella e supersportiva moglie, l’avvocato Daniela Missaglia, è tornato dopo anni a Casa de Campo dove ha comprato un’altra casa sul mare. Questione di tycoon. Charles G. Bluhdorn, fondatore d’origine austriaca di Gulf and Western Industries, il colosso che oltre a Paramount possedeva nella sola Repubblica Dominicana sterminati ettari coltivati a canna da zucchero, aveva iniziato a fare del resort inizialmente riservato ai dirigenti della vicina raffineria un luogo d’amena vacanza con l’aiuto di Pete Dye e di Oscar de la Renta, il famoso stilista dominicano (curò tutto l’albergo, dagli arredi alle uniformi, e costruì la villa d’ispirazione thai poi comprata da Augusto Perfetti, ora da Mr. Safra). Alla morte di Bluhdorn la sua vedova vendette il tutto alla Central Romana dei fratelli Fanjul, che hanno avuto l’intuizione di sviluppare la parte turistica del loro impero caraibico. Una bella estate Alfonso, amico e sostenitore dei Clinton (suo fratello José “Pepe” lo è di Donald Trump) fu invitato dai Giacosa e Alberto Rusconi a Porto Rotondo. «Gli proposi di fare un’operazione simile a Casa de Campo. Il problema era proteggerci dal mare e dalla foce del Chavon, ma con Gianfranco Fini avevamo tutta l’esperienza per realizzare anche in condizioni difficili il porto. Abbiamo fatto il business, un’operazione da circa 50 milioni di dollari. Fini è stato bravissimo, ci siamo quasi autofinanziati con gli anticipi dei clienti dominicani e nordamericani. Alcuni hanno comprato il posto barca prima di avere una barca. Dopo solo due anni abbiamo dovuto creare nuovi posti costruendo una diga foranea di 1.200 metri. Fini è riuscito a tagliare quella vecchia fino al faro ricavando uno spazio per negozi e ristoranti. Cambiamenti climatici? Qui ormai si viene anche d’estate, è meno caldo di Milano. In tutta l’isola il turismo sta portando sviluppo e soprattutto, a differenza di altri luoghi, non abbiamo problemi di sicurezza», sostiene Giacosa.
C’era una bella Italia. Giacosa si era fatto le ossa nell’impresa del padre, l’ingegnere Lao, che aveva fatto la tangenziale di Milano, una parte della autostrada del Sole, il ponte vicino a Bologna sul Panaro e 145 chilometri di strade nel deserto in Arabia Saudita. «Lavoravamo con Lodigiani e i Torno; eravamo specializzati nel manto di usura, nell’asfalto...». Cosa pensa dei crolli di casa nostra? Piero Giacosa accende l’ennesima sigaretta e commenta amaro: «Come si può sperare che quei conglomerati di ferro e cemento durino anni senza manutenzione?». Infine, sorride: «Ma il ponte di Renzo Piano, sono sicuro, sarà bellissimo».