PIONIERI DEL FUTURO
Ai Valldaura Labs, dove si studia come creare le “città rinaturalizzate”
La cattiva notizia è che quando il cambiamento climatico avrà alternativamente desertificato o sommerso di acqua le nostre città probabilmente non saremo ancora pronti a colonizzare Marte. Quella buona è che con un po’ di fortuna non ce ne sarà bisogno, perché le tecniche per rendere ospitale qualsiasi habitat le stanno studiando a Barcellona: le stanno, anzi, vivendo lì. Lo chiamano, ai Valldaura Labs, learning by living: sono esperimenti di trasformazione, più che di sopravvivenza. Dei cicli produttivi, dell’abitare, dell’energia, persino del capitalismo stesso: perché «l’economia è ecologia, e bisogna passare da un modello estrattivo, che sfrutta le risorse per pochi, a uno che porti benefici a tutti quanti», spiega Vicente Guallart, urbanista, architetto, fondatore di The Institute for Advanced Architecture of Catalonia, direttore dei Valldaura Labs e già a capo del consiglio preposto a decidere le strategie per lo sviluppo della capitale catalana. Uno, insomma, che può contendersi con Gaudí il titolo di innovatore concettuale della città e dei suoi spazi: auspicabilmente − almeno lui − senza restare incompiuto. Ci sono d’altronde poco più di dieci chilometri in linea d’aria tra il cantiere della Sagrada Família di Gaudí e il Parco Naturale della Collserola dove si trovano i laboratori in cui Guallart e un gruppo di pionieri, immersi nella natura, stanno reinventando case, cucine, abitudini alimentari, impianti di riscaldamento e utensili di cui ci serviamo, utilizzando unicamente i materiali che si trovano nell’immediato intorno. L’idea affonda negli albori dell’era Internet: nel 2001 Guallart fu uno tra i primi a capire che il digitale era arrivato per restare e che, a dispetto della diffusione di computer, fibra ottica e Google, ancora non avevamo visto quasi nulla. Si decise allora a fondare l’istituto per l’architettura avanzata della Catalogna, nella convinzione che la rivoluzione dei kbit avrebbe cambiato gli edifici e le città, e bisognava non farsi trovare impreparati. Ci sono voluti sei anni perché quell’intuizione originaria di costruzioni avveniristiche e città ultraconnesse si trasformasse in qualcosa di più radicale ancora: «Ci siamo accorti che il vero, fondamentale impatto che poteva avere la tecnologia era consentire di essere produttivi a livello locale restando connessi con il mondo.
Potevamo creare nuovi modelli di vita e produzione mutuati da Internet, decentralizzati, distribuiti, che dessero potere e possibilità a tutti».
Di lì a poco Guallart si è inventato un master in Advanced Ecological Buildings and Biocities (Edifici ecologici avanzati e biocittà) e, insieme ai primi studenti, ha avviato la ristrutturazione di un monastero cistercense del 1150, immerso in un parco di querce e pini esteso per 135 ettari. Qui, il manipolo di sognatori ha iniziato la sperimentazione di modelli di “habitat autosufficiente”: in cui, cioè, ogni cosa necessaria alla vita viene ottenuta a partire dalle risorse disponibili localmente grazie alla tecnologia e a strumenti e processi studiati in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology. «Tagliare un albero in Francia per mandare il legno in Cina per farci una seggiola che sarà poi spedita all’ikea in Europa e smistata a Barcellona non ha alcun senso», spiega l’architetto, dando voce a un pensiero ormai diffuso anche tra chi ha meno esperienza di lui. «Qui invece abbiamo il Green Fablab, evoluzione ecologica dei normali Fablab, e usiamo materiali del bosco e attrezzi del Mit per stampare oggetti: abbiamo fatto alveari ma anche mobili, macchinari per depurare le acque e sistemi di riciclaggio. Abbiamo creato persino un drone di legno, integrando l’elettronica più avanzata con ciò che è disponibile nel nostro ecosistema». E siccome non si mangiano gli oggetti, per quanto naturali, nei Valldaura Labs ci sono anche galline e cinghiali, terreni coltivati con ortaggi e frutta, nonché sistemi di biomassa per concimare e per produrre il calore e l’energia necessaria a ogni attività. La sfrutta anche il primo ristorante hipster-bio (copyright Guallart) autarchico, recentemente aperto sulla collina per i curiosi che vogliono capire esattamente cosa significhi essere autosufficienti, anche a tavola. Ma a Valldaura ci sono soprattutto le Tiny Home: case a chilometro zero, energicamente autonome, realizzate solo con legno del parco «e, visto che si tratta del nostro bosco, sappiamo sempre quanto se ne può usare senza mettere in crisi l’ambiente». Nei prototipi vivono oggi 25 persone, tra studenti internazionali del master e personale, ambasciatori volontari della rivoluzione che sarà. L’idea, infatti, è che il concetto delle piccole case − questo significa in inglese tiny home − possano essere esportate in giro per il mondo, e particolarmente nei Paesi da cui gli studenti provengono. «Molti di loro arrivano da nazioni che ancora definiamo poco o sottosviluppate, dove la coscienza ambientalista non è così forte: sono impazienti di applicare quello che hanno imparato vivendo nel Lab per 11 mesi a casa propria, dando un contributo reale allo sviluppo sostenibile».
Se saremo fortunati, insomma, l’entusiasmo di questi giovani bio-architetti potrebbe aiutarci a uscire dal disastro ambientale in cui ci siamo cacciati. Il problema, a volerne trovare uno, è la fretta: la conversione a un nuovo modo di vivere, la natura e nella natura, a emissioni zero, difficilmente potrà avvenire prima del 2050, come da obiettivi stabiliti dall’unione europea. E accettare le lungaggini del tempo è uno degli ostacoli più grossi alla trasformazione: per gli studenti del Valldaura Labs e per tutti coloro che, sull’onda del nuovo ecologismo, vorrebbero un mondo à la Greta Thunberg pronto e infiocchettato. «C’è grande ansia: una volta avute le idee è normale desiderare che diventino realtà. Ma sappiamo che fare città rinaturalizzate, capaci di produrre quello che serve, richiede investimenti e una fase di transizione. Noi siamo in quella transizione e dobbiamo ricordarci che le trasformazioni più lente sono quelle che più durano nella storia». Un monito particolarmente importante, specie quando il rischio è che la storia stessa si fermi.
Ai Valldaura Labs, che fanno parte di una rete di laboratori legati al Mit e che occupano un ex monastero (in basso) fuori Barcellona, si pratica il learning by living: nuovi modelli di vita e produzione mutuati da Internet, decentralizzati e distribuiti a tutti