GQ (Italy)

Un debutto in GRANDE STILE

40 anni di storia e una nuova collezione luxury che mixa tradizione e futuro. Il gruppo cinese alla conquista dell’italia

- WWW.K-BOXING.COM

L’estetica orientale si coniuga all’eleganza italiana con il debutto del gruppo K-BOXING durante l’ultima Settimana della Moda meneghina con le proposte menswear. Il gruppo cinese con sede a Shanghai ha scelto Milano per celebrare una carriera che ha all’attivo 40 anni di successi. Da quando il fondatore nel 1980 inventò il primo capospalla su un paio di tavole accostate l’ascesa è stata costante, tanto da far diventare K-BOXING leader nel settore del business-casual di qualità. Il lancio del nuovo brand KB HONG ha tracciato la traiettori­a per un’importante apertura sul mercato italico e lo ha fatto in gr ande stile con il maxi evento Into The Mirage organizzat­o nella splendida location del Museo del Novecento. Sulla passerella una collezione strutturat­a per rispondere alle esigenze dell’uomo contempora­neo, con capi innovativi e allo stesso tempo portabili.

Un tailoring moderno giocato su contrasti cromatici, tra cui spiccano le tinte grafiche del bianco e nero, affiancate da sfumature materiche come arancio e blu. Una quarantina di look, uno per ogni anno di storia, all’insegna del motto ‟open doors and open hearts will lead the mind to the mirage of the world”, che rappresent­ano un ideale ponte tra tradizione e futuro, con pattern suggestivi ispirati all’arte e alla natura del Paese del Dragone, a cui si aggiungono motivi classici del guardaroba maschile come il check. «Ci siamo impegnati per far sì che K-BOXING diventasse sinonimo di un menswear di altissima qualità», ha dichiarato Boming Hong, CEO e direttore creativo, «abbiamo sempre puntato su design, tagli, tessuti e tecniche artigianal­i uniche, per un risultato timeless che andasse oltre le tendenze passeggere».

meno 11 gradi e di notte scende a meno 24, anche romperti una gamba e non riuscire a raggiunger­e la slitta, dove hai sacco a pelo e fornello, può esserti fatale. Ma fermarsi non è mai una scelta saggia: in parte è anche per questo che sono andato avanti.

Come sceglie le sue imprese?

Alcune arrivano in maniera consequenz­iale: dopo la Atene-sparta-atene di 500 chilometri era naturale fare la Badwater 135, nella Dead Valley, in California. A quel punto mi mancava la Brazil 135 per completare il ciclo delle Seven Sisters. Quando ho messo gli occhi sulla Arrowhead 135 c’era la voglia di completare il ciclo delle 135 miglia americane: la più calda (la Badwater), la più umida (la Brazil) e la più fredda (la Arrowhead). E poi c’era la scommessa fatta con Daniele Nardi, l’amico alpinista morto l’anno scorso con Tom Ballard sul Nanga Parbat, mentre tentavano l’ascensione della montagna pakistana in pieno inverno. Mi diceva sempre che è troppo facile compiere certe imprese al caldo, quindi mi sono iscritto alla gara in Minnesota: lui sarebbe dovuto essere nella mia crew. Se non ho mollato è stato anche per onorare la promessa.

Ha mai pensato a un progetto tutto suo? Molte volte. Sono già direttore di gara della Milano-sanremo, però mi piacerebbe lanciare una sfida che sia l’edizione zero di una corsa che faccia storia.

Che tipo di training occorre per affrontare un’ultramarat­ona?

Io abito a Milano, mi è capitato di presentare il mio libro in provincia di Pavia: ci sono andato correndo. Mi sono allenato tutto l’inverno trainando un copertone, per abituarmi al peso della slitta. Alla fine è stato battuto all’asta e con il ricavato verrà costruito il Bosco dei runner, al Parco Nord di Milano: abbiamo calcolato quanta CO2 ho prodotto con i voli per andare e tornare dal Minnesota e pianteremo tanti alberi quanti ne serviranno per riequilibr­are l’impronta ecologica.

Prima di compiere 29 anni non correva. Poi che cosa è successo?

Ho visto una foto. Era il matrimonio di amici e io, in mezzo agli sposi, mi sono visto brutto, stanco, in sovrappeso. Correre mi è sembrato il rimedio più immediato. La prima volta sono stati sette chilometri: finiti quelli, la sensazione è stata talmente potente che non ho più smesso. Tre anni dopo ho fatto la prima ultramarat­ona: diciamo che ho bruciato le tappe.

Ha scritto un libro: Spostando il limite. Quanto è difficile ammettere di averne? Per me moltissimo. Credo che i paletti esistano solo nella nostra testa, quanto meno per quanto riguarda i desideri realizzabi­li. Bisogna sempre tenere conto del proprio punto di partenza. Chiarament­e ci sono dei confini, imposti dal corpo o dalla natura: se non li comprendi, ti metti in pericolo. L’asticella va spostata per gradi. Un’ultramarat­ona prima ti toglie tutto, poi ti dà tutto. È una perfetta metafora della vita: è la continua lotta tra il corpo, che vuole farti fermare, e la mente che ti vuole far continuare. Chi vince determina il successo. Ma è quello che accade tutti i giorni di fronte a un problema: chi ascolta il pensiero e si scoraggia, fallisce; chi affronta la questione, invece, magari vince.

C’è una componente di egocentris­mo nello sport estremo?

Sicurament­e bisogna avere una forte personalit­à e una convinzion­e totale nei propri mezzi, altrimenti non ha nemmeno senso partire. Molti aspiranti atleti si affidano a me per la preparazio­ne: io non lo farei mai, gestisco da solo anche quella, altrimenti viene meno il senso della sfida. So che certe imprese possono farmi apparire come un esaltato, ma la verità è che io lo faccio solo ed esclusivam­ente per me: non mi interessa degli altri e le gare che faccio non le vinco, ma arrivo in fondo. Corro per stare meglio e perché credo che rimettere in gioco la sfida mi renda una persona migliore.

Qual è il suo limite più grande?

Sono pigro, mi piacciono le comodità.

Ha uno strano concetto di comodità. Nella corsa mi scatta qualcosa. Nella vita resto nella mia comfort zone. Prendiamo il lavoro in ferrovia: finora sono rimasto lì perché è la scelta più facile, ho un buono stipendio e la libertà che mi serve per allenarmi. In quel caso diventa per me difficile spostare il limite.

Vorrebbe cambiare lavoro?

Lo farò, ma mi è stato proposto da altri. Sarò il manager di una società che si occupa di tematiche ambientali.

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Il finale della sfilata-evento Into The Mirage che si è svolta a Milano e uno dei key look della collezione KB HONG
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Simone Leo durante l’allenament­o per partecipar­e alla Arrowhead 135, gara di 217 chilometri corsi a una temperatur­a che è scesa anche a -28 gradi
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