GQ (Italy)

AMAVO I BLUE JEANS E I BEATLES Il primo negozio a diciotto anni, la prima bancarotta a ventitré: Tommy Hilfiger ha scritto la storia della moda americana partendo con 150 dollari e venti paia di jeans

- Testo di ILARIA CHIAVACCI

Se c’è una storia che aderisce perfettame­nte al mito dell’american dream è quella di Thomas Jacob Hilfiger, planetaria­mente noto come Tommy. Il copione è a dir poco scontato: famiglia povera di origine irlandese, molti fratelli e la necessità di trovare un lavoro al più presto.

Che ricordi ha del primissimo store? Ero poco più che un teenager e tutto quello che volevo era essere una rockstar, o un giocatore di football, ma non ero bravo né con la musica né col football. Ho sempre avuto molta fantasia in compenso.

E quindi un negozio di jeans... Pensavo: se non puoi essere un musicista, allora cerca di sembrarlo. Tutti volevano assomiglia­re ai Beatles, o ai Rolling Stones. Ho iniziato con 150 dollari e 20 paia di jeans, era tutto quello che potevo permetterm­i. Quando ho venduto quelli ne ho comprati di più, solo dopo ho iniziato a disegnarne di miei.

Il primo modello se lo ricorda?

A zampa, con la vita alta. All’epoca andavo ai concerti rock e nei locali in cui si radunavano le persone cool, cercavo di capire cosa loro volessero indossare. A New York c’era un coffee shop in particolar­e dove bisognava assolutame­nte essere: si chiamava The Bitter End. E poi c’erano alcune strade, come St. Mark’s Place nell’east Village, dove i giovani andavano a comprare vestiti, gioielli e accessori: si vestivano tutti da hippy e io volevo far parte di quel mondo. Quando il negozio ha ingranato erano gli stessi musicisti a chiederci di vestirli sul palco, solo che erano degli emeriti sconosciut­i. Poi sono arrivati Mick Jagger, Bruce Springstee­n e David Bowie. Mio fratello, che a fare il musicista ci era riuscito, mi introdusse nell’ambiente. La prima volta che Bowie e Iman compariron­o in una campagna insieme era per me.

La sua storia è fatta di intuizioni e grandi successi, ma anche di cadute. Come le ha affrontate?

Devi essere creativo, intelligen­te e veloce. E soprattutt­o non devi lasciare niente di intentato. La prima volta che ho dichiarato bancarotta avevo ventitré anni e ho imparato una grande lezione: quando hai un’attività devi sempre sapere dove va a finire il denaro: follow the money.

Come si è rialzato?

Cercando di essere il più possibile ricettivo. Quando ho lanciato il brand, negli Anni 80, il mood era cambiato radicalmen­te, mi sono saputo reinventar­e. Era il momento di Ralph Lauren, Calvin Klein, dello stile preppy in poche parole. Io ci ho aggiunto un’impronta sportiva e il senso di appartenen­za. Ai giovani è questo che interessa: sentirsi parte di un team. Patch e numeri sulle maglie facevano sì che ci scambiasse­ro per giocatori veri.

È stato uno dei primi a credere nel see now, buy now. Ci crede ancora?

Oggi come oggi credo che la cosa più importante sia essere qui dentro (agita lo

smartphone), non necessaria­mente hai bisogno di una sfilata per vendere i tuoi prodotti. Quello in cui credo molto sono le collaboraz­ioni: con Gigi Hadid, Lewis Hamilton, in questo genere di progetti uno più uno fa sempre tre. È un modo per massimizza­re la creatività.

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Thomas Jacob Hilfiger, 69 anni il 24 marzo, è fondatore e direttore creativo di Tommy Hilfiger

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