VINS DE GARAGE ALLA TOSCANA
Pochi, ma buoni. Storia di un’eccellenza particolare
Da un garage può sbucare una Seicento, così come una Lamborghini. Ma da un garage può uscire anche un purosangue dell’enologia italiana, il Redigaffi, un Merlot in purezza dal solenne incedere, che a mettere il naso nel bicchiere è come infilarlo in un cassetto dove sono state dimenticate alla rinfusa spezie arrivate da un lungo viaggio, resine di pino, schegge di ematite.
Che poi il garage non è proprio un’autorimessa in mattoni ma un’idea, mutuata da quei finti tonti dei francesi, che definiscono vins
de garage quelli prodotti da viticoltori della domenica in quantità tali da essere stoccati in un deposito di pochi metri quadrati. Un atto di snobismo enologico, visto che dietro questa definizione così catastale si celano non certo vinacci del contadino acidi e burberi, bensì bottiglie che spesso sono oggetti di culto per collezionisti entusiasti. E vini da garage erano quelli prodotti da Rita Tua e dal marito Virgilio in quei due ettarucci che assediavano la casa nella campagna di Suvereto, ai piedi delle Colline Metallifere, in Maremma, in cui decisero di accampare il loro buen retiro campestre dopo la pensione.
Che fai, non produci del vino da bere la sera davanti al camino o da dare agli amici? Eccolo, il nettare da garage che già faceva rombare i motori. Perché in un’epoca in cui la Maremma era un Close West dell’immaginario, l’hinterland selvaggio della Toscana enologica, Rita e Virgilio capirono subito che c’era stoffa per abiti da gran signori. E gli ettari divennero sempre di più, e quei vini vennero imbottigliati. Il primo si chiamava Giusto di Notri e viene fatto tuttora, e poi nel 1994 arrivò il Redigaffi – nome proprio di torrente ivi serpeggiante – e dell’annata 2000 di quest’etichetta si accorse pure Robert Parker, il più importante critico enologico del
pianeta Terra, che dette cento centesimi a quel vino, e fu una faccenda storica perché non era mai accaduto a nessuna etichetta italica una simile onorificenza, e prova a non essere orgoglioso di una roba così.
Oggi l’azienda Tua Rita (cognome e nome della proprietaria) è gestita dalla figlia Simena Bisti – nessun errore, è proprio Simena – e soprattutto da suo marito Stefano Frascolla. I vini sono tutti Igt (indicazione geografica tipica), che lascia più spazio all’espressione del territorio e della stagione. Tutti sono buoni, alcuni in modo decisamente eclatante. E tutti – oltre al Redigaffi e al Giusto di Notri (un taglio bordolese, ovvero Cabernet Sauvignon più Cabernet Franc più Merlot) ci sono un pugno di rossi come il Palazzetto, il Rosso dei Notri, il Perlato del Bosco, il Keir, il Per Sempre e due bianchi, il Lodano e il Vermentino Perlato del Bosco – hanno questo possente scheletro di ferro che gli deriva dalle componenti minerali di cui è ricco il terreno, e la salinità e la balsamicità che arrivano infradito dal mare che nelle giornate limpide si indovina in fondo allo sguardo. Le viti sono accudite in modo rigoroso e poco interventista, ai limiti del biologico.