La singolare lotta di una illustratrice per un Marocco più giusto
Giulia Cuter e Giulia Perona
Ben prima di scoprire l’esistenza della Valentina di Guido Crepax, Zainab Fasiki è rimasta incantata da
Tagliati i capelli, ha cercato un modo per rispondere all’eccesso di controllo della sua famiglia, alle molestie per strada, al sessismo in università. Insomma, al Marocco più conservatore. «Mi sono disegnata nuda. E mi sono sentita forte, libera. Ma quando ho condiviso l’immagine sui social, ho innescato una serie di reazioni a catena. Ottima ragione per insistere». Aveva 19 anni. A 26 arriva in Italia con la sua graphic novel,
In cui spiega tutto, ma proprio tutto, quello che molti suoi connazionali ancora non sanno.
Dagli studi di ingegneria all’illustrazione: come è andata?
Sono sempre stata appassionata di robotica e di meccanica, ma mentre studiavo conducevo una seconda vita, quella del disegno. Mi ero detta: intanto divento ingegnere, poi faccio l’artista. Al diploma, a 23 anni, pensavo che sarebbe stato un passaggio, quasi uno sfizio: invece nell’illustrazione ho trovato la felicità e pure l’indipendenza economica. Morale: tornerò all’ingegneria per un dottorato, ma intanto uso le mie conoscenze di meccanica per costruire i miei progetti creativi.
È bersaglio di reazioni violente, a causa delle sue scelte.
Mi attaccano tanto i conservatori quanto le femministe: i miei autoritratti sono finiti al centro di una battaglia incrociata con insulti, pettegolezzi sui giornali, minacce sotto casa. E tutta questa potenza di fuoco contro una ragazza, il che spiega bene la frustrazione della società marocchina verso il corpo femminile.
Ha uno stile psichedelico, ma per Hshouma usa solo bianco, nero e rosso. Perché? 52 / MAGGIO-GIUGNO 2020
Utilizzo i colori dell’arcobaleno perché rappresentano la mia gioia di vivere, la pace e la calma, cose che non riesco a trovare nel quotidiano reale. Per il libro invece ho scelto il bianco e nero per dare neutralità al colore della pelle e il rosso per rappresentare il sangue delle vittime della violenza. Ho fatto del mio meglio per mantenere il racconto semplice: volevo che i magrebini che non sanno nulla di identità di genere e di orientamento sessuale possano leggere e comprendere. È il primo passo per cancellare gli estremismi del mio Paese.
Sembra una lotta per la prossima generazione, piuttosto che per l’attuale.
Vero: bisognerà aspettare che i nostri figli crescano per iniziare a toccare il cambiamento. Se almeno le donne fossero unite, la nostra non sarebbe la voce di una minoranza, ma di una maggioranza che ancora non può parlare.
Cosa conta di più: coalizzarsi tra donne o trovare un sostegno nella società in generale? Le due cose. Una delle ragioni per cui le nostre libertà individuali non progrediscono è l’emigrazione degli intellettuali e dei militanti all’estero. Se fossero rimasti, il Paese sarebbe ben diverso. Perciò non accetto l’idea di andare via, lontano da chi amo: resto in Marocco e faccio del mio meglio per cambiarlo.
Quattro anni fa, Giulia Cuter e Giulia Perona hanno fondato il podcast letterario con l’obiettivo di tirare un “filo rosso” tra le donne italiane di ieri e di oggi attraverso le voci di autrici come Bianca Pitzorno ed Elena Stancanelli. Ora pubblicano «narrazione in prima persona di un unico personaggio» che − attraverso le sue esperienze di vita − consente di «fare il punto su ciò che è successo negli ultimi decenni della lunga battaglia per i diritti delle donne nel mondo occidentale e, in particolare, in Italia». La storia continua.
IMMUNITÀ DI GENERE
Tra tutte le storie di donne diventate famose grazie a Instagram, quella di Celeste Barber è la più bella di tutte. Australiana, comica, femminista senza esserne troppo consapevole, una vita di gavetta e poi nel 2015 l’hashtag che la fa diventare strafamosa. La sfida che Celeste accetta − da cui #celestechallenge accepted − nasce come uno scherzo tra lei e la sorella. «Non ho iniziato per lanciare un messaggio di body positivity», dice. «È stato più una cosa del tipo: ecco come le celebrità escono dalle piscine. E io: veramente no, ecco come le persone normali escono dalle piscine». Sette milioni di follower dopo − tra cui tantissime delle star che lei prende in giro nelle sue foto − la sfida di Celeste è diventata 54 / MAGGIO-GIUGNO 2020 qualcosa che è impossibile non leggere anche in termini di critica al sessismo che c’è nei media e all’ipocrisia che impera sul social nato per rappresentarci al naturale (sembrano secoli fa) e che invece è diventato il luogo finto per eccellenza, dove non sono autentici i fondali, figurarsi i corpi delle donne. Affianco a Kim Kardashian sdraiata mollemente su un terreno sabbioso per lanciare la sua linea di biancheria intima c’è Celeste rannichiata in posa sofferente sulla ghiaia, in mutande. Affianco a Lara Stone nuda con due bicchieri di vino che le coprono il seno c’è Celeste, sempre nuda, con due bottiglie giganti di succo d’arancia. Le sue pose sono irresistibili, anche perché il suo non è un umorismo contro la singola donna: è una presa in giro dell’idea folle ma dominante che solo le magre e le straordinariamente belle sono degne del nostro sguardo. Il suo umorismo parla di verità collettiva. È genuina, è dalla parte di tutte quelle che non sono Lara Stone ma che hanno diritto a esibirsi, se lo vogliono. Ovvero la maggioranza. «È ancora un tabù», dice del modo in cui alcune donne stanno cercando di cambiare l’immagine del corpo femminile. «Invece di guardare le modelle che sembrano tutte uguali e accettare che quello è il modo in cui secondo alcuni dovrebbero apparire le donne, dobbiamo parlarne e cercare di abbattere certe norme». Fregarsene del perfezionismo e dell’occhio onnipresente dell’uomo come Celeste stessa argomenta nel suo libro un manuale che parla di come si diventa l’anti it-girl più amata di Instagram.
Un po’ come fa anche Elsie Hewitt (@elsie), che ai suoi 900 mila follower ogni tre per due deve ribadire che no, le sue straordinarie tette non sono rifatte, è tutta roba sua, e che di lei c’è molto di più, un fidanzato, un certo gusto per la comicità surreale, l’amore per il cibo che le ha fatto anche creare lo spin-off @elsiefood. «Sono favorevole al movimento in circolo adesso che parla di inclusività e di celebrazione di corpi diversi perché penso
SIMONA SIRI
sia molto importante e io stessa non so bene dove posizionarmi, con questo corpo con cui sono nata e che non ho alterato di un millimetro», ha scritto di recente come didascalia a un video in costume da bagno, il suo fisico maestoso in vista, bello ma per alcuni non abbastanza perfetto (metà dei commenti sono stati sul fatto che avesse la cellulite, per dire). Eppure Elsie piace proprio per il suo essere genuina e per un senso di libertà che traspare dai suoi scatti e che non si può fingere, o ce l’hai o non ce l’hai.
«I miei soggetti sono donne libere», dice la fotografa Maria Clara Macrì (@meryornot). Il suo progetto si intitola per più di un anno è andata in giro per il mondo − Los Angeles, New York, Barcellona, Manchester, Parigi, Valencia, Marsiglia, Milano, Roma − a fotografare ragazze nude nelle loro stanze. Ben diverso da quello che di solito si vede su Instagam, il suo progetto parla di verità e di empatia, di una nudità che non