Nel serial
INDYA MOORE
femminile non ne faccio un dramma. Le cose cambiano però con quello maschile, perché si riferisce al mio sesso di nascita. Spesso è un modo per screditare noi trans e per farci del male». E quindi: nata nel Bronx, portoricana e dominicana di origini, Indya ha avuto – come molti transessuali – un inizio difficile. Problemi in famiglia, affidamento, bullismo, prostituzione. Finché, a 15 anni, ha iniziato a fare la modella. Oggi le piace di più recitare – in Pose interpreta Angel, una trans che per vivere fa la prostituta e di cui si innamora un broker etero che lavora per Donald Trump – e soprattutto lavorare come attivista per i diritti di tutte le persone queer e transgender. «A causa della violenza di genere, in America, l’aspettativa di vita media di una donna trans è 35 anni. E la mia prospettiva non è cambiata perché adesso la gente usa i pronomi giusti».
Lei immagina un futuro in cui le persone saranno in grado di andare oltre le valutazioni di genere?
È difficile, perché la normativa etero identifica il valore e la capacità umana attraverso l’aspetto e il funzionamento dei genitali. In pratica, la cultura eterosessuale attribuisce valore alle persone in base al sesso di origine. Purtroppo anche molti gay, bisessuali, queer e lesbiche partecipano a questo sistema di valori, in modi diversi, che danneggiano noi trans. Se in futuro le persone riusciranno ad andare oltre il genere, sapranno anche non fare distinzioni di razza. O riconoscere le differenze senza però essere razzisti. Le varianti di genere sono sempre esistite, soprattutto nelle identità pre-coloniali dei miei antenati, degli africani e dei nativi americani. C’è una forte intersezione tra la soppressione di quelle identità e il razzismo. Sono problemi interconnessi. I giovani oggi sono molto più fluidi, tendono a sfumare generi e colori. Le danno speranza?
Assolutamente sì, perché il genere e la sua esistenza sono naturalmente fluidi. Se ci fosse reale possibilità di scelta, forse oggi alle regole binarie rigide non obbedirebbe quasi più nessuno. Le persone trans e queer sono le più colpite da questi sistemi eteronormativi, ma l’esistenza del genere binario resiste per mantenere il patriarcato e il sessismo. Credo che se l’alternativa maschile/femminile venisse abolita, forse scomparirebbero anche la misoginia e la transfobia.
A soli quattordici anni lei è andata via di casa. Che cosa le ha fatto prendere questa decisione?
La mia identità e il modo in cui vivevo la mia 68 / MAGGIO-GIUGNO 2020 crescita erano costantemente non comprese e scambiate per cattiva condotta. I miei genitori pensavano che io mi comportassi male, e a un certo punto ho deciso che non potevo più essere punita per il semplice fatto di esistere. Perché portavo pantaloni troppo stretti o abiti troppo colorati, per esempio. La situazione, per me, era diventata pericolosa. Colpa dei miei genitori? Sì e no: non avevano altro modo di educarmi. Le capacità genitoriali e la comprensione necessarie per crescere figli queer o trans non sono cose da tutti. Quando me ne sono andata di casa credevo che la mia fosse una scelta senza vie d’uscita. Non avrei mai pensato che in seguito, invece, avrei avuto l’amore e il sostegno della mia famiglia. Ora le cose vanno meglio.
Pensa che la distruzione di una idea vecchia di mascolinità sia un passo avanti anche per l’accettazione e la maggiore rappresentazione delle persone trans e queer?
Certo. Viviamo tempi in cui la queerness esiste solo per il consumo di uomini eteronormativi. Significa anche che, quando ci sono due donne che si baciano in tv, spesso alla regia c’è un uomo che pensa sia eccitante, perché quell’immagine soddisfa le fantasie maschili. Sessismo, misoginia: c’è tanta roba che si confonde lì dentro. E la mascolinità è un grosso problema. Penso che molti uomini credano che la propria identità sia influenzata dalla propria fobia dei queer. Ancora troppi di loro pensano che per essere maschili sia necessario essere transfobici e omofobici.
In Pose il suo personaggio, Angel, è una prostituta e ha una relazione con un uomo etero − sposato e con figli − che la tiene nascosta al mondo. Pensa che sia una situazione di molte trans anche nella realtà?
Ci sono persone trans che hanno il privilegio di non dover passare attraverso esperienze simili. Ci sono altre che la prostituzione la scelgono. E altre ancora che lo fanno per sopravvivere. Vendersi quando si è ancora ragazzine, come è capitato a me, non è neanche prostituzione: è traffico di minori.
E poi c’è il rapporto con gli uomini etero. Ci trattano come se fossimo fortunate a stare con loro, come se l’unica cosa che ci meritassimo nella vita fosse proprio la loro attenzione. Parlo ovviamente per esperienza diretta: ci sono stati uomini attratti da me che hanno avuto paura a invitarmi fuori, perché temevano di essere visti in mia compagnia. Capita a tante. I maschi eterosessuali sono attratti da noi, ma ai loro occhi non abbiamo valore. Ci adorano solo al buio e quando è più conveniente per loro.
Lei è stata protagonista di una campagna di Louis Vuitton con Michelle Williams e Jennifer Connelly. Un’esperienza importante?
Quando un brand associato al lusso e al glamour lega la sua immagine a un corpo che è sempre stato trattato come “usa e getta” − e accompagnato da sentimenti di disgusto e di inutilità − credo sia in atto uno spostamento. Perché nella mente di chi ha guardato quella campagna anche il mio volto è stato caricato di valori come il glamour, l’eleganza e la classe. Quindi, sì, è stata una bella esperienza. E non vedo l’ora che ci siano anche altre trans in quel contesto, magari con corpi diversi dal mio e con la pelle più scura.
La moda può aiutare le trans a essere più visibili?
Eccome. Se avverrà una rivoluzione di genere, ci sarà una rivoluzione anche nella moda. Per smantellare tutto ciò che ispira transfobia occorre anche abbattere il binarismo nella moda, che viene utilizzata dalle persone per esprimere le proprie esperienze di genere. È una battaglia che si può combattere insieme.
Dove la vedremo nel prossimo futuro? Non ne ho idea. Non sono particolarmente entusiasta di buttarmi in progetti professionali di puro intrattenimento e distrazione, preferisco occuparmi di iniziative che abbiano anche un valore d’informazione. Perché l’attivismo è la cosa che amo di più.