GENI RIBELLI
Con il primo romanzo, sei anni fa, lo scrittore irlandese ROB DOYLE ha scatenato il plauso della critica. Ora, con il nuovo Threshold, si parla addirittura di una rinascita letteraria del genere testosteronico “giovane maschio arrabbiato”. Che deve ringraziare le ragazze, per˜
A soli 37 anni, Rob Doyle è considerato il più originale e audace romanziere irlandese. Alle sue spalle: famiglia proletaria, una gioventù con «troppi cuori spezzati e rovine private» − secondo la versione bohémienne dell’apprendistato dello scrittore −, l’esordio in libreria nel 2014 con Here Are the Young Men (di cui è in uscita il film). Ora pubblica Threshold, salutato dal New York Times come la rinascita letteraria del giovane maschio arrabbiato e ambizioso. Il romanzo, autobiografico, è la storia di una maturazione morale in capitoli contraddistinti da viaggi (Bangkok, Parigi, Berlino, Alcamo...), abuso di psichedelici, farmaci e alcol, e dall’esuberante presenza femminile. In questa cronaca palpitante del passaggio dei trent’anni, quando si smette di consumare soltanto esperienze o persone, sono proprio le donne a traghettare dal nichilismo alla creatività. Threshold (soglia) trabocca di amore per l’arte ed è un omaggio alla generosità di molte figure femminili, alla maniera di Milan Kundera o di Henry Miller.
Sono state le donne a spingerla verso la maturità?
Diciamo che il protagonista del libro ha un rapporto difficile con l’archetipo femminile: è alla matta ricerca di un accordo. Fatica, perché c’è questo mix di desiderio, amicizia, ammirazione e ostilità. La mia relazione con le donne è stata una risorsa primaria della maturazione, anche se alcuni aspetti della mia psiche restano sottosviluppati. Non mi sono mai sposato, per esempio. Lei scrive che la giovinezza di Rob, il protagonista, era stata una guerra di attrito con le donne. Perché?
I rapporti del narratore con le donne sono turbolenti, pieni di rabbia e di altra roba incandescente. Penso che sia piuttosto universale. In più, Rob è un irlandese che ha appena superato i trenta, con il tormentato bagaglio postcattolico che ne consegue. All’epoca del #Metoo si è frenato nel vocabolario o nelle immagini? Per niente. Se inizi a censurare un libro così, lo perdi. È un’esplorazione spudorata della psiche maschile, inclusi gli aspetti bestiali. Oggi gli scrittori corrono il pericolo di autocensurarsi, descrivendo le cose non come sono, ma come le vorremmo. Threshold è ricco di desiderio esplicito, però ci sono dolore, pentimento e la paura di perdere il desiderio o di non esserne più oggetto. Nell’episodio in Sicilia, Rob si perde di fronte alla bellezza delle donne... C’era qualcosa di irreale in tutta quella bellezza concentrata in un solo posto. Mi sembrava che fosse così comune da non riuscire a notarla. Ero intossicato di desiderio, ma io ero uno straniero introverso che passava il tempo libero scrivendo.
Tutti i personaggi femminili sono, in qualche modo, superiori a Rob. È andata così anche a lei?
Lui è attratto da donne più centrate di lui. Anch’io sono stato fortunato ad avere relazioni ricche di valore con donne brillanti e spesso migliori di me: era questo ad attrarmi. E, sì, mi hanno migliorato. Threshold descrive una transizione. Dalla solitudine distruttiva a cosa? Al tentativo di costruire relazioni importanti e trovare sollievo nell’arte o nel viaggiare.
Il piacere più grande dello scrivere? Trasformare la materia grezza della vita – disastri e smarrimenti – in qualcosa che riesca ad andare oltre.
Una scrittrice che ammira?
Rachel Kushner: Mars Room (Einaudi, ndr) ha tutto quello che cerco in un romanzo. Intensità, grandezza di visione, potere, ricerca filosofica, humour.