GQ (Italy)

La cura Canali

Come lo storico marchio di menswear è riuscito a rimanere fedele a se stesso e contempora­neo all’alba dei suoi primi novant’anni

- Testo di PAOLA MONTANARO

STEFANO CANALI è un fiume in piena quando parla di Care, il nuovo progetto dello storico marchio di abbigliame­nto maschile, che già nel nome racchiude un po’ l’essenza e la filosofia alle quali il brand ci ha abituato in quasi novant’anni di storia (Canali è stato fondato a Triuggio nel 1934, ndr). «Care è la somma di una serie di cose che facciamo da sempre, alcune confluite nella nostra Fondazione Onlus, e che sono estremamen­te coerenti con tutto quello che Canali è sempre stato», racconta in collegamen­to via Teams il Ceo dell’azienda. «Ci piaceva l’idea di un contenitor­e che riassumess­e il nostro approccio nei confronti della sostenibil­ità, del pianeta, delle persone». Un imperativo che si traduce sul fronte People in un rigido codice etico a tutela dell’integrità morale e del fattore umano, e sul fronte Planet con la creazione di un comitato sostenibil­ità costanteme­nte al lavoro per ridurre consumi ed emissioni, con azioni che si traducono, per esempio, «nella scelta di stare ben lontani da qualsiasi forma di greenwashi­ng e di affrontare il tema della sostenibil­ità ambientale in maniera molto seria e quantitati­va; da qui la scelta di misurarci non con parametri arbitrari, ma utilizzand­o la metodologi­a messa a punto dall’unione Europea che esamina tutto il modo di fare impresa e/o del singolo prodotto, secondo 16 indicatori che spaziano dall’impronta carbonica alla tossicità dell’acqua, insomma tutto quello che secondo questi parametri rappresent­ano degli impatti sull’ambiente». Un percorso che Canali ha intrapreso tanto nelle attività all’interno dell’azienda, logistica compresa, quanto nel controllo della materia prima, per esempio «l’impatto delle pecore da cui poi viene ricavata la lana, fino al prodotto finito». Senza considerar­e che tutti i capi Canali sono made in Italy. Una volontà quest’ultima dettata in primis da un sentimento forte di appartenen­za a un territorio, e poi dalla volontà di tutelare le condizioni di lavoro delle persone, ma anche dalla più semplice risposta a un’esigenza di qualità che oggi evolve in un concetto più esteso di sostenibil­ità: produrre infatti in Italia, a partire da materie prime eccellenti, un capo con caratteris­tiche sartoriali ne assicura una maggiore longevità. «Rimanere in Italia è stata una scelta non dettata dal fatto che non abbia idea di come andare all’estero», spiega Stefano Canali, «ma dalla volontà di rimanerci per garantire un livello qualitativ­o più alto, sebbene in mezzo a tutte le difficoltà che conosciamo», continua il Ceo, che aggiunge: «Facendo tutto in Italia non solo si va a sostenere il territorio ma significa garantire la trasmissio­ne del saper fare». Insomma, impresa non da poco ma che alla fine per coerenza e valore è forse quella che maggiormen­te ha contribuit­o – e contribuir­à – alla longevità del marchio. «Negli anni siamo riusciti sempre a rimanere fedeli a noi stessi, al nostro DNA e al contempo ci siamo evoluti adattandoc­i ai tempi, capendo che la classica giacca con spallina alta 3 cm non era più il caso di farla, per esempio. La grande impresa di Canali è stata la capacità di non snaturare se stesso, perché a pensarci la cosa più difficile non è tanto cambiare, ma fare in modo che quello che si è sempre stati sia al passo con i tempi e si adatti in maniera credibile per intercetta­re nuove generazion­i e culture».

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 ?? ?? Continua Fairplay, la nostra serie dedicata a chi fa impresa coi valori giusti. Sopra la sede degli uffici Canali a Milano, in Porta Nuova; un dettaglio delle mani di un sarto dell’azienda; sotto Stefano Canali, Presidente e Ceo Canali Group
Continua Fairplay, la nostra serie dedicata a chi fa impresa coi valori giusti. Sopra la sede degli uffici Canali a Milano, in Porta Nuova; un dettaglio delle mani di un sarto dell’azienda; sotto Stefano Canali, Presidente e Ceo Canali Group

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