La ricetta per il jeans perfetto
Nata nel 1938 a pochi chilometri da Milano, Candiani ha fatto del jeans la sua missione rendendolo più di un semplice capo
Sindicare E DOVESSIMO un capo capace di rappresentare il concetto di “moda democratica” probabilmente la nostra scelta ricadrebbe su un paio di jeans. Testimone di cambiamenti epocali, ha attraversato vere e proprie rivoluzioni culturali diventando un simbolo generazionale, raccontando l’american Dream anche per chi in America non c’è mai stato. I jeans sono uno di quei capi la cui fascia di prezzo oscilla maggiormente: dalle catene di fast-fashion alle boutique di alta moda, lo potete acquistare per una cifra a uno o a quattro zeri. Ha schiere di appassionati e cultori che saprebbero risalire all’origine di un paio di jeans solamente guardandoli. Ma, soprattutto, chiunque ne ha almeno un paio nel proprio armadio. «È quello che abbiamo tutti in comune, la passione per il jeans è quello che ci unisce» mi dice Simon Giuliani, Global Marketing Director di Candiani, quando lo incontro nello spazio di piazza Mentana, a Milano. Vestito completamente in bianco con una maglia infilata in un paio di pantaloni perfettamente fitted, Simon non fa parte dell’albero genealogico della famiglia. Ma in un certo senso è come se lo fosse.
«Candiani nasce producendo tessuti da lavoro nel 1938 a Robecchetto con Induno, un paesino alle porte di Milano, 45 km dal centro» inizia a raccontarmi appena gli chiedo qualche notizia sulla storia dell’azienda. «Oggi è ancora a conduzione familiare, ma nel frattempo è diventata l’azienda produttrice di tessuti denim più grande d’europa». Non è l’unico primato per Candiani, che può vantare anche lo status di unica realtà completamente verticale, capace di racchiudere in sé l’intero processo produttivo. «Partiamo dalla fibra di cotone. La filiamo, la tingiamo, la tessiamo e poi facciamo il finissaggio, la nobilitazione del tessuto. Quattro procedimenti che di solito sono fatti da quattro aziende separate. Questa nostra caratteristica ci permette di spingere molto sull’innovazione, potendo controllare direttamente le variabili di ogni singolo dipartimento» mi racconta con trasporto Simon. Se oggi l’azienda può vantare uno status così invidiabile, lo deve principalmente a due elementi che ne hanno caratterizzato la storia. Nel 1974 l’intera zona in cui si trova è stata dichiarata il primo parco regionale d’italia, il Parco del Ticino. Una riserva naturale che ha messo la famiglia davanti a un bivio: spostare la produzione o adeguarsi alle norme e alle regolamentazioni del parco. Da questa scelta è nata quella che è a tutti gli effetti una convivenza. A oggi, infatti, il parco è uno stakeholder attivo dell’azienda, che intanto negli anni ha portato avanti un investimento continuo per migliorare la sua efficienza produttiva e ridurre l’impatto sull’ambiente. «Quindi per noi la transizione ecologica è iniziata 50 anni fa e in questi anni è diventata parte della nostra mentalità. Alla fine la sostenibilità è misurazione, e quando si parla di un impianto industriale misurazione significa capire come lavora un impianto. Più riesco a risparmiare, a ridurre e a riciclare, più efficiente è l’azienda. Ecco, quella che oggi chiamiamo sostenibilità una volta si chiamava efficienza industriale e veniva praticata già dalle due generazioni precedenti all’attuale presidenza», mi spiega. Il secondo elemento che ha cambiato la storia dell’azienda è stata la sua prossimità a Milano e al mondo della moda. «Una volta nata, Candiani forniva i grandi brand di moda, come Levi’s o Wrangler», racconta Simon.
«Quando poi negli anni ’70 Armani e Fiorucci hanno creato il designer jeans, portando quello che era un abito da lavoro in passerella, l’azienda ha iniziato a lavorare con questi marchi per diventare con il tempo il primo fornitore di tutto quello che è premium denim e lusso». Un ruolo e una posizione che hanno spinto fin da subito Candiani a dare vita a un processo di ricerca continua: «Mentre un marchio come Levi’s può usare lo stesso tessuto per dieci anni, le Maison volevano qualcosa di nuovo ogni stagione. Una richiesta continua che ha creato la nascita di un ciclo di innovazione che ha da sempre contraddistinto l’azienda quando si parla di ricerca sul prodotto». Mentre parliamo, arriva nel negozio il primo cliente della giornata. È ancora presto, ma nonostante il negozio abbia aperto da pochi minuti non è passato molto prima che qualcuno entrasse. Parla in inglese, in mano stringe una borsa in pelle da lavoro e, con ai piedi un paio di Veja bianche, chiede di poter provare un paio di jeans.
È qui che inizia la magia di Candiani. Se a Robecchetto con Induno si trova il polo produttivo dell’azienda, a piazza Mentana c’è forse la sua declinazione più affascinante. Il motivo per cui mi trovo qui. Ribattezzato Candiani Custom, il servizio offre la possibilità ai clienti di creare il proprio paio di jeans da zero, scegliendo qualsiasi tipo di dettaglio. Ma per capire da dove arriva questa idea, bisogna prima fare un passo indietro nella storia di Simon. «Diversi anni fa avevo lanciato un brand di abbigliamento basic in stile American Apparel, si chiamava 2357», mi dice mentre ormai sono affondato in una delle due poltrone di pelle presenti nel negozio. Con l’idea di portare verso il suo brand la generazione di cool kids che popolava Milano in quel periodo, Simon crea quella che sarebbe poi diventata una versione embrionale di Candiani Custom: «Avevo aperto un temporary store con sei tavoli, tre da un lato e tre dall’altro, su ogni tavolo avevo messo una felpa girocollo smembrata nelle sue componenti. Quindi, ad esempio, avevi la manica destra in dodici colori diversi, così quella sinistra e tutte le altre parti. Tu potevi prendere i tuoi pezzi, andare dalla sarta che era lì nello store e in venti minuti avevi il tuo capo confezionato». L’esperimento, nato nel 2008, si è trasformato poi in un format portato in giro per alcuni store in Italia e, infine, nella telefonata che ha dato inizio a tutto. «Dopo il lancio del mio secondo marchio ho ricevuto la telefonata da Candiani che mi fa “ma quella roba lì della sarta, riesci a farla anche con il jeans?”».
Mentre il racconto prosegue altri clienti arrivano nel negozio, mentre il più mattiniero di tutti è ancora alle prese con la customizzazione di un paio di jeans regular dal lavaggio classico. «Sia l’uomo che la donna hanno quattro fit a disposizione» interviene Simon quando il sarto si piega sui pantaloni del cliente per sistemare un orlo un po’ troppo generoso. «Scegli il colore, i lavaggi e la taglia. Dal capo prova possiamo andare a crearne uno in linea con quello che mi chiedi. Magari lo vuoi più lungo, stretto in fondo o con la gamba dritta. Una volta definiti tutti i parametri del fit, puoi procedere con i dettagli: quali bottoni vuoi usare, il colore del filo per cucire il jeans e il colore dell’etichetta dietro. Puoi anche scriverci qualcosa sopra, ma di solito lì svengono». Una volta completata questa parte, inizia la produzione, che richiede un massimo di due settimane e che vede un processo interamente centralizzato all’interno degli spazi di Candiani per ridurre gli scarti e aumentare l’efficienza. «Il tessuto è l’unica cosa che non viene prodotta qui, ma arriva dagli stabilimenti di Robecchetto con Induno», ci tiene a precisare Simon mentre mi spiega il processo che avviene direttamente alle mie spalle. Dopo lo store inaugurato nel 2019, due anni dopo Candiani ha infatti creato quella che somiglia a una vera e propria cucina a vista di un ristorante stellato. «Abbiamo scelto di non creare una sartoria, ma una produzione industriale pensata per una boutique», puntualizza mentre mi illustra quella che è a tutti gli effetti una fabbrica in miniatura frutto di uno sforzo tecnologico di gruppo.
«La Tonello ha creato una lavatrice appositamente per noi con dentro tutte le ultime tecnologie», mi dice con un filo di orgoglio più che comprensibile. «Si producono molti più capi di quanti ce ne sia realmente bisogno. Ma se molti dicono “comprate meno abiti e usateli più a lungo”, mi chiedo cosa facciano affinché questo succeda veramente. Noi non siamo un brand, non abbiamo quel richiamo. Ma offriamo un prodotto di cui conosci gli ingredienti. È come cucinare, se gli ingredienti sono di qualità anche il piatto lo sarà. È lo stesso per un capo, anche se non è altrettanto visibile». Sarà per l’innegabile fascino delle analogie con la cucina tirate fuori da Simon, o più semplicemente per la bellezza dei capi che mi hanno fatto compagnia durante l’ultima ora, ma se Candiani è un ristorante allora possiamo stare sicuri che da qualche parte nasconde la ricetta per i jeans perfetti. Lo sanno i brand che ci collaborano (l’ultimo di una lunga serie è Gucci, fate voi), lo so io che sono ormai diventato un tutt’uno con la mia poltrona, ma soprattutto lo sa quel cliente uscito soddisfatto dopo aver creato il suo nuovo jeans preferito.