→ Tutto in un respiro
, ricominci RISALI IN SUPERFICIE a respirare, ti togli la maschera, unisci indice e pollice in uno o facendo segno di star bene, pronunciando la frase «I am ok» guardando dritto negli occhi il giudice. Questa è la sequenza che ogni freediver conosce a memoria e che deve compiere nell’arco di 15 secondi una volta riemerso, pena la squalifica. «Nell’apnea lasci la realtà del mondo sulla Terra per aprire la porta di un’altra dimensione, che ha un impatto sul corpo, ma anche sulle emozioni: eseguire correttamente il protocollo serve a provare che sei in grado di tornare in superficie con il pieno controllo delle tue facoltà, sia fisiche che mentali», spiega Morgan Bourc’his, tre volte campione del mondo di CNF (Constant weight without fins), la disciplina più pura e tosta del freediving che consiste nel raggiungere una certa profondità (ogni atleta deve annunciare il giorno prima della gara quanti metri sotto la superficie del mare vorrà raggiungere) senza pinne, utilizzando unicamente il proprio corpo.
«Quando inizi a scendere devi contrastare la forza di Archimede, che ti attrae in superficie, mentre da un certo punto in poi, oltre i 20-30 metri di profondità, inizia la parte che noi chiamiamo free falling, in cui le forze si invertono e il corpo viene risucchiato dalla profondità del mare, subendo gli effetti della velocità: l’acqua è 800 volte più densa dell’aria e, anche a 5 o 6 km/h, se ne avvertono sulla pelle gli effetti. È la parte più bella dell’immersione: la temperatura si abbassa e si scoprono nuove sensazioni. Il corpo si ritrova in un ambiente ostile, al quale si deve adattare: i battiti del cuore diminuiscono, si sperimenta una vasocostrizione delle vene periferiche mentre la mente va in slow motion: ci si ritrova in uno stato di funzionamento fisiologico incomparabile con quello che si sperimenta sulla Terra.
Per questo l’apnea è una disciplina che può cambiare la vita delle persone: smettere volontariamente di respirare, e farlo per diversi minuti, consente di entrare in contatto con una parte molto intima di sé». Questo momento catartico incontra la sua fine alla profondità annunciata: un fondello segna il punto in cui è necessario invertire la rotta e nuotare di nuovo verso la superficie. Tutto nello spazio di un unico, profondissimo respiro che, nel caso di Bourc’his, lo ha portato nel 2019 fino a 91 metri sotto il livello del mare: per dare un termine di paragone la Statua della Libertà ne misura 93. Guardandolo in acqua appare chiaro come il motto di Tudor, brand a cui è legato dal 2014, gli calzi a pennello: Born to dare. «Quando sposti i tuoi limiti nell’apnea e trattieni il respiro per molto tempo il rischio più grande è quello del blackout, una perdita di conoscenza che, se non ci fosse il team di sicurezza, comporterebbe annegare. Con i 91 metri ho decisamente spostato un po’ più in là l’asticella dei miei limiti, ma era una situazione nella quale avevo il pieno controllo dell’immersione. Sicuramente ci vuole coraggio per spingersi lì, ma ce ne vuole anche per cambiare la propria vita. Molti anni fa ho lasciato il mondo dell’insegnamento per diventare un atleta e, ora che ho smesso di competere, voglio unire questi due mondi realizzando documentari e prendendo parte a progetti volti a sensibilizzare le nuove generazioni su quanto sia importante tutelare i nostri mari: partirò presto per delle missioni in Norvegia e nell’oceano Indiano. In un modo o nell’altro, osando e spingendomi oltre, sono riuscito a realizzare il sogno di quando ero bambino: vivere grazie allo sport.».
“Ci vuole coraggio per spingersi laggiù e per cambiare vita”
— MORGAN BOURC’HIS