“Diesel troppo inquinanti Processo al ministero”
Imputazione coatta per 3 alti dirigenti dei Trasporti: “Favori a Iveco e Pirelli”
Dopo un anno dalla prima richiesta di archiviazione del pm Orano, la palla è tornata al Gip, Paola Di Nicola, e stavolta è arrivato l’ordine di “imputazione coatta” per tre alti dirigenti del ministero delle Infrastrutture e Trasporti (Mit), quello di Graziano Delrio, per “rifiuto e omissione d’atti d’ufficio” in relazione al “Dieselgate italiano”, inchiesta conosciuta ai lettori del Fatto e a pochi altri italiani pur riguardando la salute (e le tasche) di tutti. In sostanza, il Gip ha deciso il rinvio a giudizio dei vertici della Motorizzazione: il numero 1 Maurizio Vitelli e i due capi della divisione che “omologa” i veicoli (Vito Di Santo e Alessandro De Grazia).
LA VICENDA è annosa, ma ai nostri fini basti ricordare che nel 2014 arriva alla Procura di Roma, da Terni, un’inchiesta in cui sono coinvolti alcuni dipendenti del Mit per aver rilasciato in maniera per così dire allegra “l’omologa” ai Filtri anti-particolato (Fap) prodotti da Pirelli e Iveco, all’epoca monopolisti del mercato, e averla invece negata a una ditta veneta, la Dukic Day Dream. Gli atti arrivano a Roma con queste parole: “Valutare l’opportunità di procedere al sequestro dei filtri (...) nonché le conseguenze negative in materia ambientale”.
Era venuto fuori, infatti, durante l’inchiesta che non c’era solo un problema di autorizzazioni al commercio, ma anche di pericolosità dei Fap, filtri che dovrebbero fermare il cosiddetto “particolato”, le polveri sottili Pm10 prodotte dai motori e pericolose per la salute. Le cose, dice la Gip di Roma, stanno così: “Di Grazia, Di Santo e Vitelli (gli indagati, ndr) sanno da anni che i Fap abbattono il Pm10, ma facendolo creano il ‘nanoparticolato’che ha effetti assai più nocivi per la salute pubblica e non è misurabile dagli strumenti utilizzati per monitorare la qualità dell’aria”, come ha detto anche l’Istituto superiore di sanità in un parere del 2015.
Tre funzionari pubblici, spiega la giudice, avevano il dovere di intervenire quando il diritto costituzionale alla salute fosse anche solo minacciato: non averlo fatto neanche dopo che la loro qualità di indagati li ha portati a conoscenza dei rischi e neanche dopo le sollecitazioni del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone è già “la prova” del reato di omissione di atti d’ufficio (non bastassero le ammissioni in documenti ufficiali). Di fatto, però, Vitelli e Di Santo si sarebbero persino operati - in almeno una riunione al ministero dell’Ambiente nel 2015 (quindi da indagati) - per minimizzare le preoccupazioni sull’inquinamento da diesel sollevate dall’inchiesta romana.
Il secondo reato ( rifiuto d’atti d’ufficio) per cui i tre dirigenti saranno rinviati a giudizio è invece la prima buona notizia per Dukic Day Dream dal 2008, quando questa storia è iniziata. In quell’anno la so- cietà veneta si presentò al Centro Prove Auto di Bari della Motorizzazione per omologare un suo dispositivo anti-inquinamento. A differenza dei filtri Fap - che bloccano le Pm10 a valle del motore e poi le bruciano sminuzzandolo in nanoparticelle -il dispositivo Dukic lavora sulla combustione diminuendo il particolato prodotto: il Cpa di Bari ritiene che funzioni e dà l’omologa. Non effettua, però, la “prova di durabilità”, che consiste nel vedere come sta il filtro dopo 100mila km e con la buona ragione che non è un filtro.
IL MINISTERO, però, su su fino al numero uno Vitelli, avoca a sé la pratica, minaccia i dirigenti di Bari e blocca l’omologa. Motivo: non c’è la “prova di durabilità”. Secondo il Gip, i tre quasi imputati - nascosti dietro i codicilli della burocrazia - hanno in sostanza rifiutato di fare il loro dovere (che era verificare se il dispositivo funzionasse o meno) e bloccato pervicacemente Dukic “con l’unico fine di favorire i monopolisti del settore, Iveco Spa e Pirelli & Co. Technology”. Un settore ricchissimo, specie all’epoca: circa 11 milioni di veicoli diesel da rendere “ecologici”. Beffa finale: i Fap di Pirelli e Iveco non hanno mai fatto le prove di durabilità.
Filtri “Fap” pericolosi ”Pur conoscendo i rischi non hanno fatto nulla: omissione e rifiuto d’atti d’ufficio”