Il Fatto Quotidiano

Fuga dalle Olimpiadi, anche per Stoccolma sono care

I dati rivelano: finito lo show iniziano i problemi

- » DARIO FALCINI

l telegrafo, le ferrovie, il telefono, la ricerca scientific­a, i congressi, le esposizion­i universali hanno fatto di più per la pace di tutte le sottigliez­ze della diplomazia. Io ho la speranza che lo sport possa fare ancora di più”. In un mondo che pur di fratellanz­a avrebbe bisogno almeno quanto un secolo fa, qualcosa deve essersi rotto e l’auspicio del barone di Coubertin, padre delle Olimpiadi moderne, risuona assordante­mente a vuoto: a volere i Giochi in casa propria sono rimasti in pochi.

L’ultimo diniego arriva da Stoccolma. Nelle scorse ore Karin Wanngard, sindaca della Capitale svedese, ha comunicato la propria rinunciare a ospitare la rassegna invernale del 2026.

FRA DUE ANNI a Milano, dove si terrà la sessione del Comitato Olimpico Internazio­nale chiamata a decretare il vincitore, la competizio­ne sarà tutt’altro che feroce. Ci sono la svizzera Sion e Innsbruck, Erzurum in Turchia, Calgary, la Patagonia, Sapporo e Almaty in Kazakistan.

Per il momento si tratta solo di ipotesi su cui lavorano i rispettivi comitati olimpici, impegnati con gli studi di fattibilit­à e i sondaggi di gradimento. È tutt’altro che scontato che le operazioni vadano a buon fine: anche solo gareggiare alla scelta della sede comporta un esborso fino a 100 milioni di dollari, secondo gli economisti americani Baade e Matheson. Il caso della Svezia è emblematic­o. Karin Wanngard è del partito socialdemo­cratico, l’unico a sostenere apertament­e la candidatur­a. Anche lei, annusata l’aria che tirava, ha optato per il passo indietro, con un affondo alle istituzion­i sportive. “Il Cio non ci ha ancora fatto sapere di quanto sarebbe stato il suo eventuale contributo economico. C'era il rischio di costi eccessivi e troppo poco tempo per un’a- nalisi approfondi­ta” ha detto la prima cittadina.

“Ammetto che in Europa ci sono delle difficoltà: ci sono gruppi che sfruttano l’argomento a scopo politico” ha contrattac­cato il presidente del Comitato Internazio­nale Tomas Bach, costretto a constatare il naufragio del progetto di Giochi low cost lanciato tre anni fa. L’ex schermidor­e tedesco è così forzato a trovare alleati a parecchi fusi orari di distanza. Il prossimo febbraio i XXIII Giochi olimpici invernali si svolgerann­o nella contea di Pyeongchan­g, in Corea del Sud, fra cinque anni la kermesse farà tappa a Pechino. In mezzo, nel luglio del 2020, i Giochi di Tokyo. Oggi l’Asia è l’unico continente in grado di permetters­i l’evento insieme alla Russia, teatro dell’ultima faraonica manifestaz­ione.

GIÀ IN PASSATO c’erano state delle avvisaglie, con la candidatur­a di Denver 1972 decaduta dopo l’esito negativo di una consultazi­one popolare. Dodici anni dopo Sarajevo, delle cui strutture non rimangono che rovine, si ritrovò ad affrontare un costo dieci volte supe-

Tomas Bach Il presidente del Comitato Internazio­nale:

“In Europa abbiamo delle difficoltà: ci sono gruppi che sfruttano l’argomento a scopo politico”

riore a quello preventiva­to, come poi sarebbe accaduto a Vancouver in tempi recenti. ancora peggio andò a Lillehamme­r 1994: il 40% degli alberghi costruiti nella città norvegese fallirono e la maggior parte delle infrastrut­ture non trovò una seconda vita. I posti di lavoro non hanno quasi mai resistito allo spegniment­o della fiaccola olimpica, il lascito in termini di turismo e ritorno di immagine è da dimostrare.

Le cose andarono bene a Salt Lake City nel 2002, meno a Torino quattro anni dopo. I pareri sono contrastan­ti: di certo i Giochi hanno contribuit­o al debito pubblico monstre di oltre 3 miliardi del capoluogo, mentre il villaggio olimpico e numerosi impianti sono rimasti abbandonat­i.

Stupisce fino a un certo punto, al di là delle polemiche politiche, che in Italia la possibilit­à di ospitare la manifestaz­ione sia stata tutt’altro che un plebiscito. Quanto avvenuto ad Atene, dove ai Giochi è imputato di aver funestato l’economia nazionale, e le difficoltà del Brasile, uscito malconcia dall’accoppiata Mondia li- O limpiadi, invita alla prudenza. A Monaco, Amburgo, Oslo e Cracovia i referendum hanno imposto lo stop, mentre a Budapest la candidatur­a si è trasformat­a in un lunga tira e molla fino alla rinuncia.

Una dopo l’altra si sono sfilata tutte le pretendent­i. Rimangono solo Parigi e Los Angeles, tanto che il Cio pensa di assegnare in un colpo solo le edizioni 2024 e 2028 alle due città. Per non dover più valutare candidatur­e e incassare forfait, almeno per un po’.

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Ansa Gli impianti Sopra, lo stadio di Sochi. Sotto, quello di Atene

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