Il Fatto Quotidiano

Un killer ignorante che tenne in scacco l’Italia: a teatro la storia di “Zu Binnu”

I pizzini del “codice Provenzano” all’Auditorium Parco della Musica: parole e suoni per raccontare il boss

- » ANDREA MANAGÒ

Le parole in dialetto dei pizzini scritti in codice, la fragranza degli odori acri delle campagne vicino a Corleone, e poi il grido di dolore dei siciliani che non si arrendono alla mafia. Sono le note che compongono l’insolito blues che racconta i 43 anni di latitanza di Bernardo Provenzano, il boss di Cosa Nostra più ricercato della storia. A portarlo in scena è Vincenzo Pirrotta, attore e regista, che ha realizzato un adattament­o teatrale de Il codice Provenzano, volume scritto dal giornalist­a di Repubblica Salvo Palazzolo assieme al procurator­e aggiunto di Roma Michele Prestipino, pubblicato nel 2008 da Laterza.

GIOVEDÌ SERAla prima dello spettacolo ha incassato il pieno di applausi del pubblico dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. A testimonia­nza che la struttura sta crescendo anche nella sua proposta teatrale. In prima fila c’è il procurator­e capo di Roma Giuseppe Pigna- tone, nel giorno in cui i pm della Procura romana hanno chiesto 515 anni di condanne nel processo Mafia Capitale.

Quarantaci­nquenne palermitan­o dalle spalle robuste e la voce da baritono, Pirrotta va in scena per un’ora e un quarto senza pause, accompagna­to dalla chitarra puntuale e incisiva di Charlie di Vita. La narrazione è veloce, il monologo alterna il racconto di alcuni spaccati della vita di Provenzano, ma nei momenti topici si infiamma: le note crescono di intensità e la recitazion­e si trasforma in canto. Un blues che mescola il dialetto palermitan­o con parole estratte dai pizzini scritti a macchina dal boss durate la latitanza. È un crescendo di intensità, che mantiene alta l’attenzione del pubblico e poi lo riconduce con una battuta al filo logico del racconto.

“Il blues era il grido di rabbia dei neri d’America co- stretti in schiavitù, è un genere che contiene il germe della contestazi­one, io lo uso per gridare tutta la mia rabbia e quella dei siciliani contro questo uomo che ha rappresent­ato la mafia per 43 anni”, spiega Pirrotta. Che sottolinea: “Nel canto cerco di privilegia­re l’emozione, urlo per chi non è riuscito a capire ancora alcune cose sulla vicenda di questo personaggi­o, che poi è una metafora di questo Paese”.

LO SPETTACOLO prende le mosse sulla scena del feroce omicidio di Michele Cavataio avvenuto nel 1969 a Palermo, un criminale ritrovato col cranio fracassato dai colpi inferti col calcio della pistola da Provenzano. Un delitto efferato, che vale al boss il soprannome di ‘u tratturi( il trattore). Segue il racconto dei primi passi di Provenzano nella malavita organizzat­a: l’unica foto segnaletic­a datata 1958 dopo un furto, il congedo anticipato dall’a er onautica, poi la scelta nel 1963 di diventare “calatino” ovvero latitante e i tentativi di depistaggi­o facendo credere alle forze dell’ordine che fosse deceduto.

Tra un episodio e una canzone lo spettacolo arriva prima all’arresto di Provenzano, l’11 aprile 2006, poi alla lettura di alcuni dei pizzini cha scritto durante la lunghissim­a latitanza. È una lunga teoria di frasi sibilline, sgrammatic­ate: concetti basici e ripetitivi. “Lo metto anche in ridicolo, nel suo italiano stentato, eppure nonostante non riuscisse a scrivere correttame­nte ha tenuto in scacco un intero paese”, riflette l’attore.

Gli ultimi dieci anni di vita di Provenzano sono noti: il carcere e poi la morte la scorsa estate. Ma la sua scomparsa lascia aperti ancora molti interrogat­ivi, che chiudono lo spettacolo: dove sono i suoi soldi e che fine hanno fatto i suoi conniventi e i suoi protettori politici? In autunno Pirrotta porterà questo monologo-blues in tournée nei teatri di tutta Italia.

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In autunno in tournée L’attore e regista Vincenzo Pirrotta

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